Sedetevi

qui, figli, all'uscio della vostra camera,

che bene aperto sia, ché s'ha da scorgere

il letto grande, grande che per empiere

il sacco, dico, io ebbi a manomettere

tutto un pagliaio e ci rimase l'anima,

lo stollo nudo con in vetta il péntolo.

 

(Ella e Splendore porranno due trespoletti contro gli stipiti, e sópravi faranno sedere gli sposi, che composti e immobili si guarderanno. Ornella e Favetta spieranno dalla soglia della porta esterna, al sole ardente).

 

FAVETTA: Ecco, vengono su per la viottola,

tutte in fila: Teòdula di Cinzio,

la Cinerella, Mònica, Felàvia,

la Catalana delle Tre Bisacce,

Anna di Bova, Maria Cora... E l'ultima?

 

CANDIA: Vieni, Splendore, aiutami a distendere

meglio la coltre; che di seta doppia

io te l'ho fatta, nuora cara, e vérzica

come un pratello d'erba vetturina

dove tu sei la pecchia mattutina.

 

(Entrerà con Splendore nella camera nuziale).

 

ORNELLA: Non t'apponi, Vienda? Chi è l'ultima?

Nella canestra ha oro di calbigia,

oro che brilla. Chi può esser mai?

Sotto la spara la sua tempia è grigia

come le piume che fa la vitalba.

 

FAVETTA: La tua vecchia, Vienda, la tua vecchia!

 

(Vienda si leverà, tratta dal balzo del cuore, come per correre in contro; ma nel movimento si lascerà sfuggire dal grembiale il pane spezzato. S'arresterà, sbigottita. Si udranno, di dentro, i colpi dati con la mano aperta a sprimacciare le materasse).

 

ORNELLA (con la voce soffocata): Ah! Libera nos, Domine! Raccatta,

raccatta e bacia, che mamma non veda.

 

(Vienda, come impietrita dal terrore superstizioso, non si chinerà a raccogliere ma guaterà con occhi sgomenti i due pezzi del pane caduti a terra. Aligi, levatosi, occuperà il vano dell'uscio come per impedire la vista alla madre).

 

FAVETTA: Raccatta e bacia, ché l'Angelo piange.

Fa un vóto muto, il più grande che puoi.

Chiama San Sisto, se vedi la morte.

 

(S'udranno i colpi delle sprimacciate. Verranno sul vento, di men lungi, le grida dei mietitori).

 

ORNELLA: San Sisto, San Sisto,

lo spirito tristo

e la mala morte,

di giorno e di notte,

tu caccia da questa

tu caccia da noi;

tu strappa e calpesta

ogni occhio che nuoce.

Qui faccio la croce.

 

(Mormorando lo scongiuro, ella raccatterà rapidamente i due pezzi del pane, li premerà l'un dopo l'altro su la bocca della cognata, poi li riporrà nel grembiale, col pollice vi farà il segno. E trarrà gli sposi a risedére, mentre la prima delle donne con l'offerta frumentaria apparirà nel vano della porta soffermandosi dinanzi alla cintura tesa).

 

 

Scena quarta

 

Le donne porteranno sul capo una canestra di grano adorna di nastri variati e sul grano un pane e fitto nel pane un fiore. Ornella e Favetta prenderanno le estremità della banda vermiglia, cui rimarran poggiati il bidente forbito e la conocchia col pennecchio; e le terranno in pugno a precludere il passo.

 

TEÒDULA DI CINZIO: Ohé, chi guarda il ponte?

 

FAVETTA E ORNELLA: Amore e Ciecamore.

 

TEÒDULA: Io passare lo voglio.

 

FAVETTA: Voler non è valore.

 

TEÒDULA: Ho pur passato il monte,

ho pur passato il piano.

 

ORNELLA: La piena ha rotto il ponte,

il fiume va lontano.

 

TEÒDULA: Passami con la barca.

 

FAVETTA: La barca mi fa acqua.

 

TEÒDULA: Ti do io stoppa e pece.

 

ORNELLA: La barca ha sette falle.

 

TEÒDULA: Ti do sette tornesi.

Passami con le spalle.

 

FAVETTA: No, no, non mi conviene.

E dell'acqua ho pavento.

 

TEÒDULA: Passami con le schiene.

Ti do un tarì d'argento.

 

ORNELLA: È poco: otto baiocchi.

Non basta pel ristoro.

 

TEÒDULA: Su, nùdati i ginocchi.

Ti do un ducato d'oro.

 

(La donna darà una moneta a Ornella, che la riceverà nella palma sinistra, mentre le altre portatrici di canestre sopraggiunte si aduneranno sul limitare. I due sposi resteranno seduti su i trespoli aspettando in silenzio. Candia e Splendore esciranno dalla stanza nuziale).

 

ORNELLA E FAVETTA: Passate, Signoria,

con vostra compagnia.

 

(Ornella riporrà in seno il tributo e toglierà la conocchia. Favetta toglierà il bidente, poggiando contro gli stipiti i due emblemi rurali. Ornella trarrà verso di sé la cintura che, agitata, serpeggerà nell'aria come un vessilletto. Le donatrici entreranno l'una dopo l'altra, in fila, con le canestre sul capo).

 

TEÒDULA DI CINZIO: Pace a te, Candia della Leonessa.

Pace al figlio di Lazaro di Roio.

Pace alla sposa che gli ha dato Cristo.

 

(Ella deporrà la sua canestra ai piedi della sposa; prenderà un pugno di grano e lo spargerà sul capo di lei; ne prenderà un altro pugno e lo spargerà sul capo del giovine).

 

Questa è la pace che vi manda il Cielo.

E che i capegli vi si faccian bianchi

su l'istesso guanciale, in gran vecchiezza!

E che tra voi non sia colpa e vendetta,

non sia menzogna, né cruccio né guasto,

dì per dì, sino all'ora del trapasso!

 

(La seguente ripeterà la cerimonia; le altre resteranno in fila aspettando la lor volta, con le canestre sul capo. L'ultima, la madre della sposa, starà ancóra presso la soglia, soffermata; e col lembo del grembiale si asciugherà le gocce del sudore e del pianto. Crescerà la sciarra dei mietitori e sembrerà avvicinarsi. Vi si mescerà, or sì or no, il suono delle campane).

 

LA CINERELLA: Questa è la pace e questa è l'abondanza.

 

(Scoppieranno d'improvviso grida di donna nell'aia riarsa).

 

LA VOCE DELLA SCONOSCIUTA: Aiuto, per Gesù Nostro Signore!

Gente di Dio, gente di Dio, salvatemi!

 

 

Scena quinta

 

In corsa, ansante di fatica e di spavento, coperta di polvere e di pruni, simile alla preda di caccia inseguita dalla muta, una donna col volto tutto nascosto dall'ammantatura entrerà per la porta aperta e si ritrarrà in un canto, dalla parte avversa a quella degli sposi, presso il focolare inviolato.

 

LA SCONOSCIUTA: Gente di Dio, salvatemi voi!

La porta! Chiudete la porta!

Mettete le spranghe! Son molti,

hanno tutti la falce. Son pazzi,

son pazzi di sole e di vino,

di mala brama e di vituperio.

Mi vogliono prendere, me

creatura di Cristo, me

sventurata che male non feci.

Passavo. Ero sola per via.

Allora le grida, gli insulti,

le zolle scagliate, la corsa...

Ah, son come cani furenti.

Mi vogliono prendere. Strazio

faranno di me sventurata.

Mi cercano. Gente di Dio,

salvatemi! La porta, chiudete

la porta! Son pazzi. Entreranno.

Di qui mi strapperanno, dal vostro

focolare (Dio non perdona),

dal focolare benedetto

(Dio tutto perdona e non questo).

Sono un'anima battezzata.

Aiuto, per Santo Giovanni,

per Maria dei Sette Dolori,

per l'anima mia, per l'anima vostra!

 

(Ella starà sola presso il focolare. Tutte le altre donne saranno adunate dalla parte avversa. Vienda sarà stretta al fianco della sua madre, e da presso avrà la sua matrina Teòdula di Cinzio. Aligi sarà in piedi, fuori dello stuolo donnesco; e guaterà senza batter ciglio, poggiato alla sua mazza. Subitamente Ornella si precipiterà alla porta, chiuderà le imposte, metterà la spranga. Un mormorio inimichevole correrà nel parentado).

 

Ah, dimmi come ti chiami,

ch'io possa lodare il tuo nome

quando me n'andrò per la terra,

tu che alla pietà fosti la prima,

tu che sei la più giovanetta!

 

(Affranta ella si lascerà cadere su la pietra del focolare; e, tutta curva in sé medesima, con il viso quasi tra le ginocchia, romperà in singhiozzi. Ma le donne resteranno adunate, in guisa di greggia, diffidenti. Soltanto Ornella farà un passo verso la sconosciuta).

 

ANNA DI BOVA (a bassa voce): Chi è costei, santa Vergine?

 

MARIA CORA: Or s'entra così nelle case

della gente di Dio timorata?

 

MÒNICA DELLA COGNA: E tu, e tu, Candia, che dici?

 

LA CINERELLA: Or lascerai chiusa la porta?

 

ANNA DI BOVA: All'ultima di tua figliuolanza

or passata è la signoria?

 

LA CATALANA DELLE TRE BISACCE: Ti reca la mala ventura

la cagna randagia, per certo.

 

FELÀVIA SÈSARA: Hai tu visto? Entrata è nel punto

che la Cinerella spargeva

su Vienda il pugno di grano,

né Aligi avuto ha la sua parte.

 

(Ornella farà un altro passo verso la dolente.