Favetta escirà dallo stuolo e la seguirà ).
MÒNICA: E noi? come siam noi qui rimase
con in capo le nostre canestre?
MARIA CORA: Gran malaugurio sarebbe
se ora ce le volessimo tôrre
del capo senza fare l'offerta.
MARIA DI GIAVE (stringendo la sposa): Figliuola mia, San Luca ti guardi
e San Matteo con Sant'Antonino!
Cércati lo scapolare in seno,
digli tre ave e tiènilo forte.
(Anche Splendore escirà dallo stuolo e seguirà le sue sorelle. Le tre giovanette staranno in piedi davanti alla sconosciuta che resterà curva nell'ambascia).
ORNELLA: Affannata sei, creatura.
Sei piena di polvere, e tremi.
Non piangere più, ché sei salva.
Di sete ardi e bevi il tuo pianto!
Vuoi un sorso d'acqua e di vino?
Ti vuoi rinfrescare la faccia?
(Ella prenderà un boccaletto, attingerà l'acqua dall'orcio, verserà il vino dalla fiasca, mescendoli).
FAVETTA: Sei di questo paese? o di dove?
Venivi di molto lontano?
E dove andavi, creatura,
tu sola così, per la terra?
SPLENDORE: Forse hai qualche male, meschina!
Hai fatto un vóto di dolore.
Andavi forse all'Incoronata,
o a Santa Maria della Potenza?
La Vergine ti faccia la grazia!
(La donna solleverà a poco a poco la faccia nascosta ancóra dall'ammantatura).
ORNELLA (offrendole il ristoro): Bevi, creatura di Cristo.
(S'udrà venire dall'aia uno scalpiccìo di piedi scalzi, e un vocìo confuso. La straniera, ripresa dal terrore, non berrà ma poserà il boccaletto su la pietra del focolare. Balzerà in piedi, e si rifugerà di nuovo nel canto, con gran tremito).
LA SCONOSCIUTA: Eccoli! Eccoli! Vengono. M'hanno
cercata. Mi vogliono prendere.
Non parlate, non rispondete,
per misericordia! Crederanno
la casa deserta, e se n'andranno
senza far male. Ma se odono
parlare, se voi rispondete,
se sanno per certo ch'entrata
sono, forzeranno la porta.
Son pazzi di sole e di vino,
cani furenti. E qui c'è un uomo;
ed essi son molti, e hanno tutti
la falce... Per misericordia!
Per queste giovanette innocenti!
Per voi, serve di Dio, donne sante!
IL CORO DEI MIETITORI (davanti la porta): - La casa di Lazaro! Certo
che qui è entrata la femmina.
- Hanno chiusa la porta, hanno chiusa.
- Cercate per questi pagliai.
- Cerca là nel fenile, Gonzelvo.
- Ah! Ah! Nella casa di Lazaro,
nella gola del lupo! Ah! Ah! Ah!
- O Candia della Leonessa!
- Cristiani, ohé, siete morti?
(Batteranno alla porta).
- O Candia della Leonessa,
ricetto tu dài a bagasce?
- Or ti sei data a fornire
di mala carne tu stessa
il tuo uomo che se ne sazia?
- Se c'è la femmina, aprite,
cristiani, e datela a noi
che la mettiam su la bica.
- Menatela fuori, menatela,
ché la vogliamo conoscere.
- Alla bica! Alla bica! Alla bica!
(Batteranno e schiamazzeranno. Aligi si moverà, e andrà verso la porta).
LA SCONOSCIUTA (implorando sommessa): Giovine, giovine, abbi pietà!
Abbi pietà! Non aprire!
Non per me, non per me, ma per tutte,
ché non prenderanno me sola.
Imbestiati sono. Li senti
alle voci? Il demonio li tiene,
il demonio di mezzodì,
la contagione dell'afa.
E, se entrano, tu che farai?
(Un gran furore agiterà le donne del parentado, ma elle si ratterranno).
LA CATALANA: Or vedi a che siamo ridotte
noi gente di pace, per una
che si nasconde la faccia!
ANNA DI BOVA: Apri, Aligi, apri la porta
per quanto ci passi costei.
Afferrala e cacciala fuori.
Poi richiudi e spranga. E laudato
sia Gesù Nostro Signore.
E sabato sia, per le streghe.
(Il pastore si volgerà all'ammantata, irresoluto. Ornella si frapporrà e l'arresterà; farà il segno del silenzio, andrà alla porta).
ORNELLA: Chi è che batte alla porta?
IL CORO DEI MIETITORI: - Silenzio! Silenzio! Silenzio!.
- Di dentro qualcuno risponde.
- O Candia della Leonessa,
sei tu che rispondi? Apri! Apri!
- Siamo i mietitori di Norca,
la compagnia di Cataldo.
ORNELLA: Non sono Candia. Candia ha faccenda.
Uscita è per tempo stamane.
UNA VOCE: E tu? tu allora chi sei?
ORNELLA: Io sono di Lazaro, Ornella.
Il mio padre è Lazaro di Roio.
Ma voi perché siete venuti?
UNA VOCE: Apri, ché vogliamo vedere.
ORNELLA: Aprire non posso. La mia madre
m'ha chiusa, e col parentado
uscita se n'è; ché abbiamo
le sposalizie. Il mio fratello
Aligi, il pastore, ha tolto moglie,
ha tolto Vienda di Giave.
UNA VOCE: Non hai tu aperto a una femmina,
or è poco, che aveva paura?
ORNELLA: A una femmina? Andate con pace,
mietitori di Norca. Cercate
altrove. Io mi torno al telaio,
ché ogni mandata di spola
perduta non più si racquista.
Dio vi guardi dal fare peccato,
mietitori di Norca; e a voi doni
la forza di mietere il campo
innanzi sera infino alla proda,
a me poverella di trarre
la penerata dai licci.
(D'improvviso, in alto, alla finestra inferriata, si vedranno due mani villose afferrare le sbarre e la faccia bestiale di un mietitore apparire).
IL MIETITORE (urlando): Capoccio, la femmina c'è!
È dentro, è dentro! La zita
ci volea gabbare, la zita.
La femmina c'è. Ecco, è là,
là nel canto. La vedo, la vedo.
E ci sono gli sposi, ci sono,
e il parentado c'è con le dònora,
c'è la raunanza del grano.
Uh, capoccio, quante pollanche!
IL CORO DEI MIETITORI: - Se c'è la femmina, aprite,
ché vi fa vergogna tenerla.
- Menatela fuori, menatela,
ché le daremo la sapa.
- Aprite, aprite, su, e a noi datela.
- Dàtecela ché la vogliamo.
- Alla bica! Alla bica! Alla bica!
(Picchieranno e schiamazzeranno. Dentro, le donne si agiteranno sbigottite. La sconosciuta resterà laggiù nell'ombra, sembrerà che si sforzi di seppellirsi nel muro).
IL CORO DELLE PARENTI: - Aiutaci, Vergine santa!
- Ci dài tu questa vigilia,
o Santo Giovanni Battista!
- Questo danno ci dài, questo scorno
ci dài, Decollato, oggi in punto!
- Candia, t'è fuggita la mente?
- O Candia, che fai, che aspetti?
- Divenuta sei fuori di senno,
Ornella, e le tue suore con teco?
- Già fu sempre mezzo pazziccia.
- Ma datela dunque, ma datela
a questa mala razza incanita!
IL MIETITORE (aggrappato alle sbarre): Pecoraio, pecoraio Aligi,
ti piace alle tue sposalizie
tenerti la pecora marcia,
la pecoraccia scabbiosa?
Bada non t'infetti il tuo branco
e a móglieta non dia contagione.
O Candia della Leonessa,
sai tu chi ricetti in tua casa
con la tua nuora novella?
La figlia di Iorio, la figlia
del mago di Codra alle Farne,
bagascia di fratta e di bosco,
putta di fenile e di stabbio,
Mila, intendi?, Mila di Codra,
la svergognata che fece
da bandiera a tutte le biche.
Ogni compagnia la conosce.
Or è venuta la volta
dei mietitori di Norca.
Menatela fuori, menatela,
ché la vogliamo conoscere.
(Aligi pallidissimo si avanzerà verso la misera che starà rannicchiata nell'ombra; e le strapperà di dosso l'ammantatura scoprendole il volto).
MILA DI CODRA: No, no, non è vero. Menzogna!
Menzogna! Non gli credete,
non gli credete a quel cane.
È il maledetto suo vino
che gli fa regurgito in bocca.
Se Dio l'ha udito, in sangue
nero glie lo converta e l'affoghi!
No, non è vero. È menzogna.
(Le tre sorelle si copriranno gli orecchi con ambe le palme quando il mietitore riprenderà a dir vitupèro).
IL MIETITORE: O svergognata, ti sanno
ti sanno le prode dei fossi.
Sotto di te mille volte
è bruciata la stoppia, magalda.
Gli uomini t'hanno giocata
a colpi di falce e di forca.
Aspetta, aspetta, Candia, il tuo uomo:
e vedrai. Bendato ei ti torna,
certo. Stamane, nel campo
di Mispa, Lazaro ha fatto lite
con Rainero dell'Orno,
per chi? per la figlia di Iorio.
Or tiènitela tu nella casa,
fa che qui se la trovi il tuo uomo,
mettila a giacitura con lui.
Aligi, Vienda di Giave,
datele, datele il vostro letto.
E voi del parentado, comari,
versatele il grano in sul capo.
E noi torneremo co' suoni,
più tardi, tornerem per la fiasca.
(Il mietitore lascerà le sbarre e scomparirà, saltando a terra, tra lo schiamazzo della compagnia).
IL CORO DEI MIETITORI: - Dateci la fiasca! È l'usanza.
- La fiasca, la fiasca e la femmina!
(Aligi starà con gli occhi fissi a terra, ancor tenendo pel lembo l'ammantatura ch'ei tolse).
MILA: Innocenza, innocenza di queste
giovanette, tu udito non hai,
l'iniquità udito non hai.
Ah dimmi che udito non hai,
almeno tu, Ornella, almeno
tu che volevi salvarmi!
ANNA DI BOVA: Non t'accostare, Ornella! Ti vuoi
tu perdere? È figlia di mago,
fa nocimento a chiunque.
MILA: S'accosta perché dietro me
vede piangere l'Angelo muto,
il custode dell'anima mia.
(Aligi si volgerà subitamente verso di lei e la guarderà fiso).
MARIA CORA: Ah sacrilegio, sacrilegio!
LA CINERELLA: Ha biastemato, ha biastemato
contro l'Angelo del Paradiso!
FELÀVIA: Ti sconsacra il tuo focolare,
Candia, se tu non la cacci.
ANNA DI BOVA: Fuori, fuori! È tempo. O Aligi,
afferrala e gettala ai cani.
LA CATALANA: Ti conosco, Mila di Codra.
Alle Farne t'han per flagello.
Io ben ti conosco. Sei tu,
sei tu che facesti morire
Giovanna Camètra e il figliuolo
di Panfilo delle Marane,
e Afuso togliesti di senno,
e désti il mal male a Tillùra.
E di te morì anco il tuo padre,
che è in dannazione e ti danna!
MILA: Che Dio abbia l'anima sua!
Che la raccolga Dio nella pace!
Ah, tu ora hai fatto biastema
contro l'anima del trapassato.
Che la tua parola ricada
sopra di te, davanti alla morte!
(Candia sarà seduta su una delle arche nuziali, taciturna in gran tristezza. Si alzerà, passerà per mezzo allo stuolo iracondo, e s'avanzerà verso la perseguitata, lentamente, senza ira).
IL CORO DEI MIETITORI: - Ohé! Ohé! Quanto s'aspetta?
Avete voi fatto consiglio?
- O pecoraio, pecoraio,
dunque te la vuoi tenere?
- Candia, e se Lazaro torna?
- Uscire non vuole? Aprite,
aprite, che vi diamo una mano.
- Dateci intanto la fiasca.
- La fiasca, la fiasca! È l'usanza.
(Un altro mietitore s'aggrapperà all'inferriata e mostrerà la faccia tra le sbarre).
IL MIETITORE: Mila di Codra, escire t'è meglio,
ché oggi scampare non puoi.
Or ci mettiam qui sotto la querce
a giocarti con gli aliossi,
che ciascun giochi la sua volta.
Per te non faremo noi lite
come Lazaro con Rainero.
Non ti darem sangue ma caglio.
Però, quando l'ultimo cui tocca
giocato abbia, se uscita non sei,
e noi sforzeremo la porta;
poi faremo le cose alla grande.
Or tieniti per avvisata,
Candia della Leonessa.
(Si ritrarrà, saltando a terra. Lo schiamazzo si placherà alquanto.
1 comment