O Maria, voi lo vedete.

Non le labbra, dianzi (siete voi

testimone) non furono le labbra.

E, s'io tremai, ch'io porti nel trapasso

il tremito con me nell'ossa mie.

Mi chiudo gli occhi miei con le mie dita.

 

(Con l'indice e il medio di ciascuna mano si premerà le pàlpebre; e curverà la faccia sino a terra).

 

Sento la morte, me la sento appresso.

Cresce il tremito. E il cuore non si ferma.

 

(Si leverà impetuosamente).

 

Ah sciagurata! Quel che mi fu detto

non feci, e per tre volte me lo disse:

“Rimetti l'olio”. Ed ecco, ora si spegne!

 

(Correrà verso l'otro, appeso a un asse, ma vigilando con l'occhio la fiammella tremula dinanzi all'imagine e cercando di sostenerla con la preghiera mormorata).

 

Ave Maria, gratia plena, Dominus tecum...

 

(Spiccherà l'otro che le si affloscerà tra le mani. Cercherà la caraffa per versarvi l'olio; ma non potrà dall'otro spremuto trarre se non qualche stilla).

 

È vuoto! È vuoto! Vergine, tre gocce,

che mi sien sante per l'estrema Unzione,

due per le mani, l'altra per la bocca

e tutt'e tre sopra l'anima mia!

Ma se ancóra son viva, quando torna,

che gli dirò, Madre, che gli dirò?

Certo che, prima di veder me, vede

che la làmpana è spenta. E se l'amore

non mi valse a tenerla accesa, Madre,

che mai varrà per lui quest'amor mio?

 

(Ella spremerà anche una volta l'otro, frugherà una bisaccia, capovolterà gli orciuoli, mormorando la preghiera).

 

Fate che v'arda, Madre intemerata,

ancóra per un poco, ancóra quanto

dura un'Avemaria, dura una Salve

regina, Madre di misericordia!

 

(Nella ricerca affannosa ella andrà verso il limitare, udrà un passo, scorgerà un'ombra. Si farà a chiamare, gridando).

 

O donna, buona donna, cristiana,

accòstati, che Dio ti benedica!

Accòstati, ché forse Dio ti manda.

Che porti nella còscina? Hai un poco

d'olio? Per carità, dàmmene un poco!

Poi entra e scegli e piglia quel che vuoi:

cucchiai mortai conocchie fusi, tutto!

Bisogno c'è per la Signora nostra,

per rimettere l'olio nella làmpana

che non si spenga; ché, se mi si spenge,

non vedo più la via del Paradiso.

M'intendi, cristiana? Me la vuoi

tu fare questa carità d'amore?

 

(La donna apparirà sul limitare, col volto coperto dall'ammantatura nera, si toglierà dal capo lo staio di legno, senza dir parola, e lo poserà a terra; di sopra vi toglierà il pannolino, cercherà dentro, prenderà un utello pien d'olio e lo porgerà a Mila di Codra).

 

Ah benedetta, benedetta! Dio

ti rimeriterà in terra e in cielo.

Tu l'hai, tu l'hai! Vestita a lutto sei;

ma la Madonna ti concederà

di riveder la faccia del tuo morto

per questa carità che tu mi fai.

 

(Ella prenderà l'utello e si volgerà con ansia per correre alla làmpana moribonda).

 

Ah, perdizione sopra me! S'è spenta.

 

(L'utello le sfuggirà dalle mani e si spezzerà sul suolo. Ella rimarrà immobile per alcuni attimi, stretta dall'orrore dei presagi. La donna ammantata si chinerà con un atto rapido e tacito verso l'olio sparso, toccandolo con le dita della destra e poi segnandosi).

 

 

Scena quarta

 

Mila guarderà la donna con una tristezza composta, e la rassegnazione disperata farà sorda e tarda la sua voce.

 

MILA: Perdóno, passeggiera di Cristo.

La tua carità non mi valse.

L'olio è sparso, e rotto l'utello.

La mala ventura è su me.

Dimmi che vuoi. Queste cose

le ha lavorate il pastore.

Una conocchia nuova col fuso

vuoi? Vuoi mortaio e pestello?

Dimmi tu, ché io nulla so.

Ormai son nel mondo di giù.

 

L'AMMANTATA (con la voce tremante): Figlia di Iorio, venni per te,

e ti portai questa còscina,

per dimandarti una grazia.

 

MILA: Ah voce di cielo, nel mezzo

dell'anima mia, sempre udita!

 

L'AMMANTATA: Per te venni dall'Acquanova.

 

MILA: Ornella! Ornella tu sei!

 

(Ornella si scoprirà la faccia).

 

ORNELLA: Sono la sorella di Aligi,

sono la figliuola di Lazaro.

 

MILA: Ti bacio i tuoi piedi umilmente,

che ti portarono a me

perch'io rivedessi il tuo viso

nell'ora dell'ambascia mortale.

Tu alla pietà fosti la prima

ed ora sei l'ultima, Ornella!

 

ORNELLA: Se la prima fui, penitenza

grande n'ho fatta. Te lo dico

in verità, Mila di Codra.

E la penitenza mi dura.

 

MILA: Ti trema la voce tua dolce.

Nella piaga il coltello che trema

fa più strazio, ah quanto più strazio!

E tu non lo sai, giovanetta.

 

ORNELLA: Sapessi quale ho io dolore!

Sapessi quanto male rendesti

per quel poco di bene ch'io feci!

Dalla casa mia desolata

venni, dove si piange e perisce.

 

MILA: Perché vestita sei a lutto?

Chi ti morì? Tu non rispondi.

Forse... forse... la cognata tua?

 

ORNELLA: Ah quella vorresti tu morta!

 

MILA: No, no. Dio mi vede. Ho temuto,

ho avuto spavento di dentro.

Dimmi, dimmi: Chi dunque? Rispondi,

per Dio e per l'anima tua!

 

ORNELLA: Nessuno ancor ci morì,

ma tutti il lutto si fa

del caro che andarsene volle

in ruina del capo suo.

Però se vedessi tu quella,

se tu la mia madre vedessi,

tremito ti prende. Per noi

venne la state nera, venne

l'autunno amaro intoscato,

ché più tristo l'anno bissesto

non poteva a noi essere. Pure,

quand'io chiusi la porta a salvarti,

in ruina del capo mio,

tu non parevi già dispietata,

tu che ci pregavi pietà.

E tu mi dimandasti il mio nome

per volermi in lode nomare!

E al mio nome è fatta vergogna

mane e sera nella mia casa,

e vituperata e cacciata

io sono in disparte, ché ognuno

grida: “Eccola dunque colei

che mise la spranga alla porta

perché dentro restasse il malanno

appiattato nel focolare”.

E più non posso. E dico: “Piuttosto

cavate le vostre coltella

e a pezzi stracciatemi”. Questa

è la mercé, Mila di Codra.

 

MILA: È giusto, è giusto che tu

mi percuota, è giusto che tu

m'abbeveri in questa amarezza,

con questo patimento accompagni

la mia colpa nel mondo di giù.

Forse per me il sasso e la stipa

e la paglia e il legno insensato

parleranno, e l'Angelo muto

che al fratel tuo è vivo in quel ceppo

e la Vergine senza il suo lume

parleranno; e non io parlerò.

 

ORNELLA: Creatura, ora sembra che a te

l'anima tua sia vestimento

e ch'io possa toccarla stendendo

verso te la mia mano di fede.

Or come tu sai tanto male

gettare alla gente di Dio?

Se Vienda nostra vedessi,

tremi tutta. Fra poco la pelle

le si schianta su l'ossa per l'arido,

e le sue gengive più bianche

son che i denti nella sua bocca.

E, come cadeva la prima

pioggia, sabato, mamma ci disse

piangendo: “Ecco, ecco, ora sen va,

nella frescura si piega e si disfa”.

Ma non piange il mio padre: il suo fiele

ei mastica senza far motto.

Gli s'invelenì la ferita.

La resipola trista lo colse

(San Cesidio e San Rocco ci guardi!)

e nell'enfiagione la bocca

gli lasciò per dì e notte latrare.

Tutto un fuoco scuro eragli il capo.

E incanito le grandi biasteme

ei facea, da scuoter la casa:

e noi sbigottivamo... Tu batti

i denti, creatura. Hai la febbre,

che così ti ricorre riprezzo?

 

MILA: Sempre, a calata di sole,

m'entra addosso il freddo; ché usa

non sono alla sera dei monti.

A quest'ora s'accendono i fuochi.

Ma parla, parla senza pietà.

 

ORNELLA: Ieri da un motto compresi

ch'ei s'era messo in pensiero

di salire quassù allo stazzo.

Tornar non lo vidi iersera,

e il sangue mi si fermò.

Allora apprestai questa còscina.

M'aiutarono le mie sorelle;

ché tre siamo, nate di madre,

tutte e tre segnate al dolore.

E stanotte lasciai l'Acquanova,

passai il fiume alla scafa

e la montagna pigliai...

Ah, creatura di Cristo,

a questa pena non reggo.

Che posso io fare per te?

Or tu tremi più malamente

che quando eri presso il camino

e i mietitori incanivano.

 

MILA: E tu l'hai scontrato? Tu sai

che venuto egli è allo stazzo?

Sei certa, Ornella, sei certa?

 

ORNELLA: Non l'ho più veduto. Né so

s'egli siasi partito per monte.

So che anco aveva faccenda

al Gionco. E forse non viene.

Non isbigottire! Ma sentimi,

sentimi. Per l'anima tua

salvare, Mila di Codra,

abbi pentimento e rimuovi

questo malificio da noi.

Ridónaci Aligi: e con Dio vatti,

che abbia misericordia di te!

 

MILA: Sorella d'Aligi, contenta

sempre sono a te d'ubbidire.

È giusto che tu mi percuota,

me femmina malvagia, me figlia

di mago, svergognata sortiera,

che per carità supplicai

alla viatrice di Cristo

che un poco d'olio mi desse

da nutrire una làmpana santa!

Forse dietro a me l'Angelo piange

un'altra volta; e forse le pietre

per me parleranno, ma io

non parlerò. Soltanto, pel nome

di sorella, ti dico (se il vero

non dico, in questo punto sobbalzi

dalla fossa la madre mia cara

e pe' capegli prendami e in nera

terra mi sbatta e testimonio

faccia contro la figlia bugiarda)

soltanto ti dico: Io son senza

peccato inverso il fratel tuo.

Te lo dico: Innanzi al giaciglio

del fratel tuo, sono monda.

 

ORNELLA: Dio possente, miracolo fai!

 

MILA: E questo è l'amore di Mila,

questo è l'amor mio, giovanetta.

Altra cosa non parlerò.

Contenta sono a te d'ubbidire.

Sa le sue vie la figlia di Iorio;

e incamminata già s'era

l'anima sua, prima che tu

venissi a chiamarla, o innocente.

E non diffidare, sorella

d'Aligi, che non hai d'onde.

 

ORNELLA: Fede ho più ferma che pietra.

Tra ciglio e ciglio t'ho vista

la verità. E il resto è caligine.

E io poverella mi sperdo.

Per ciò ti bacerò i tuoi piedi

che sanno le vie, umilmente.

T'accompagnerò nel viaggio

col mio compianto nascosto;

pregherò che ti sieno contati

tutti i tuoi passi e ti sia

rallentato il dolore ad ognuno.

E la pena che abbiamo patita

non più la metterò sopra te.

Non giudicherò la sciagura.

Non giudicherò l'amor tuo.

Poiché tu inverso fratelmo

sei senza peccato, in cuor mio

ti chiamerò la mia suora,

la mia suora sbandita; e vederti

vo' talvolta ne' sogni dell'alba.

 

MILA: Ah, coricata già fossi

su la terra nera con chiusi

già gli occhi, e fossero queste

le ultime parole da me

udite in promessa di pace!

 

ORNELLA: Per la vita tua ho parlato.

E t'ho recato il consólo,

che almeno nel primo cammino

non ti manchi un po' di viatico.

Per te apprestai questa còscina

col mangiare e col bere (ora l'olio

è versato!); ma un fiore non misi,

perdonami, ché non sapevo...

 

MILA: Un fiore turchino, l'acònito,

messo non me l'hai nella còscina:

e messo non m'hai né il lenzuolo

tagliato nella tela tessuta

in quel tuo telaio che vidi

tra il focolare e la porta!

 

ORNELLA: Mila, aspetta l'ora da Cristo.

Dov'è il fratello? Allo stazzo

non era, dianzi. Dov'è?

 

MILA: Tornerà, certo, prima di notte.

Bisogna ch'io m'affretti, bisogna.

 

ORNELLA: Non vuoi tu rivederlo? parlargli?

Dove andrai tu di notte? Rimanti

e anch'io mi rimarrò nel ricetto,

e dinanzi al dolore saremo

noi tre. Poi all'alba tu andrai

per la tua via, noi per la nostra.

 

MILA: Son già lunghe le notti. Bisogna

ch'io m'affretti. Non sai.

Te lo dico: Da lui anche m'ebbi

il viatico, che non si può

dare due volte.