“Perché dovrò rimanere?”, si domandò. “Perché per quindici giorni o più devo abbandonare la mia casa per questa gente?”

Si mosse, attraversò la camera, aprì un poco il verone e sollevò la fronte.

Voleva pensar meglio. Sul paesaggio giallo e rorido il cielo d’autunno s’incurvava con freschezze e trasparenze indescrivibili; sul noce le allodole e le foglie umide scosse dalla brezza eseguivano una sonora mattinata musicale.

Con l’aprirsi del verone tutta la freschezza e l’azzurra luminosità del mattino invasero la camera, e Maria pensò instintivamente quanto, quando sarebbe stata felice in quella casa e…

«Maria?», chiamò Stefano con supplichevole voce di bambino.

Ella lasciò il balcone: già l’amara voce taceva.

12

«Resterò», disse, «purché tuo padre sia contento.»

«È contento», rispose Stefano, ed entrambi si contentarono della pietosa menzogna.

«Sta bene allora.»

«Chiama Serafina, fa il piacere.»

Maria s’avvicinò alla porta e chiamò, ma Serafina non venne subito, e più tardi Stefano seppe che don Piane proibiva alle domestiche di risponder alla chiamata della nuora.

Intanto Maria, per prendere possesso della casa, si tolse il fazzoletto, lo stese a piè del letto di Stefano, e mise in ordine la camera. Camminava con passo lieve, ma naturale, e nel seguirla con gli occhi Stefano notava una certa disinvolta eleganza ne’ suoi movimenti e nel suo modo di camminare.

La camera era già rimessa in ordine, quando sull’uscio dell’attiguo salotto apparve il viso rosso di Serafina.

«Che vuole?», gridò la ragazza.

Maria le fe’ cenno di avanzarsi, ed ella attraversò le stanze con passo pesante e rumoroso.

Stefano, che cominciava ad assopirsi, aprì lentamente gli occhi, guardò la domestica e parve ricordarsi.

«Va da donna Maurizia e dille che per oggi non aspetti donna Maria.»

Serafina lo fissò fra meravigliata e beffarda, ma egli la guardò duramente negli occhi e le accennò di andarsene.

«Non comanda altro?»

«Va!»

«Be’!», disse Serafina, e voltò i tacchi rumorosi, battendosi una mano sulla guancia come per schiacciarvi una mosca.

Maria le si mise dietro, e quando furono nel salotto le disse piano:

«Cammina e parla piano. Dirai a mia madre che ti consegni la mia blusa e la calzetta cominciata».

“Che il diavolo mi abbruci, che idea ha costei? Di rimanersi qui?”, pensò Serafina con dispetto; e, scese rumorosamente le scale, andò a riferir tutto a don Piane, che leggeva gli annunzi di un giornale sardo.

Ogni mattina don Piane, che leggeva senza occhiali, ma stentatamente, scorreva il giornale, cominciando dagli annunzi e fermandosi particolarmente sulle corrispondenze dei villaggi e specialmente su quelle che descrivevano feste con corse di cavalli o che contenevano polemiche elettorali. Spesso i suoi due grossi gatti gli salivano sulle ginocchia, allungandogli la testa sul petto e spargendogli di pelo le vesti; li grattava sotto il mento, comunicando loro ad alta voce i commenti sulle cose lette.

«Eh, cosa ne dici tu, Speranza?», domandò alla gatta più piccola, quando Serafina ebbe spiegato la commissione da far presso donna Maurizia. Speranza aprì la bocca nera e miagolò; ma se questa era una risposta, don Piane non riuscì a capirla.

«E la lasci andare!», esclamò Serafina, dando un manrovescio alla gatta, che saltò in mezzo alla stanza. «Non vede che le sporca tutto l’abito?»

«Figlia di…», gridò don Piane. «La sporca sei tu! Se torni a toccar il gatto ti mando fuori a pedate.»

«E provi un po’!», disse l’altra ridendo e sfidando. «Ma vado o non vado in quella casa?»

«Va in casa del diavolo!»

«Vado dunque, e obbedisco la padrona nuova!», concluse ella amaramente.

La padrona vecchia era lei, ed ora l’addolorava che il suo dominio finisse: intanto, per profittare delle ultime occasioni, prima di recarsi da donna Maurizia entrò in dispensa e rubacchiò qualche cosa.

Maria trepidava pensando al suo primo decisivo incontro col suocero; e tutta la mattina, mentre Stefano, assopito dopo la lunga notte insonne, riposava in una dolcezza di sogno, ella vagò in punta di piedi fra la camera e il salotto, guardando ogni cosa con occhi timidi e stupiti, prendendo silenziosamente possesso di ogni angolo. Sulle prime provò uno sbalordimento quasi spiacevole nel trovarsi fra tanta ricchezza ed eleganza di mobili e di stoffe, intravedute appena in un tempo lontano, quando il marito le parlava della casa paterna.