Avrei voluto che ci fosse un fuoco per mettermi a fumare vicino ad esso, poco immaginando il significato del piccolo bagliore che avevo visto, e tutto quello che di lì a poco mi avrebbe portato. Ogilvy restò al telescopio fino all'una; a quell'ora smise, accendemmo la lanterna e ci dirigemmo verso la sua casa. Sotto di noi, nell'ombra, c'erano Ottershaw e Chertsey, e le loro centinaia di abitanti che dormivano in pace.
Ogilvy, quella notte, aveva la mente piena di teorie sulle condizioni di Marte, e rideva dell'idea diffusa secondo la quale lassù ci sarebbero stati degli abitanti che ci stavano facendo delle segnalazioni. Riteneva, invece, che sul pianeta si stesse scaricando una pioggia di meteoriti, o che fosse in atto un'enorme esplosione vulcanica. Mi spiegò quanto fosse inverosimile che l'evoluzione organica avesse preso la stessa direzione nei due pianeti adiacenti.
- Le probabilità contro l'esistenza di esseri simili agli uomini su Marte sono un milione contro una, - disse.
Centinaia di Osservatori videro la fiammata quella notte, poi la notte seguente, verso mezzanotte, e ancora la notte dopo, e così per dieci notti, una fiammata ogni notte. Perché quelle esplosioni cessarono dopo la decima, nessuno sulla terra ha saputo spiegarlo. Può darsi che i gas delle accensioni provocassero dei disturbi ai marziani. Dense nuvole di fumo o di polvere, visibili attraverso il telescopio più potente come masse grigie, fluttuanti, si allargarono attraverso la limpidezza dell'atmosfera planetaria e oscurarono i suoi tratti più noti.
Finalmente anche i quotidiani si occuparono di quei fenomeni, e ovunque apparvero cronache divulgative sui vulcani di Marte. Il settimanale semiumoristico «Punch», ricordo, se ne servì felicemente nella vignetta politica. Senza che nessuno ne avesse il minimo sentore, quei proiettili che i marziani avevano lanciato contro di noi venivano verso la terra, volando alla velocità di molti chilometri al secondo attraverso l'abisso dello spazio, ora dopo ora e giorno dopo giorno, sempre più vicini. Ora mi sembra stupefacente, quasi incredibile, che, con quel fato sospeso sul nostro capo, gli uomini potessero seguitare a occuparsi delle loro meschine faccende. Ricordo com'era giubilante Markham quando riuscì a ottenere una nuova fotografia del pianeta per il giornale illustrato che dirigeva a quell'epoca. Quanto a me, ero molto occupato a imparare ad andare in bicicletta, e assorbito dagli articoli che scrivevo per tutta una serie di giornali che discutevano i probabili sviluppi delle idee corali a mano a mano che la civiltà progrediva.
Una sera (il primo proiettile poteva trovarsi allora appena a quindici milioni di chilometri) uscii con mia moglie per fare una passeggiata. Il cielo era stellato, e io le spiegai i segni dello Zodiaco, le indicai Marte, brillante punto luminoso che scivolava verso lo zenit, sul quale erano puntati tanti telescopi. Faceva caldo. Mentre tornavamo a casa, un gruppo di gitanti che venivano da Chertsey o da Isleworth ci passò accanto cantando e suonando. Le finestre dei piani superiori delle case erano illuminate, mentre la gente andava a letto. Dalla lontana ferrovia, giungeva il rumore dei treni che manovravano gli scambi, fischiavano e sferragliavano; attutito dalla distanza, pareva quasi una melodia. Mia moglie m'indicò lo splendore delle luci segnaletiche rosse, verdi e gialle, sospese su un sostegno contro il cielo. Tutto sembrava così tranquillo e sicuro!
2. LA STELLA CADENTE.
Poi venne la notte della prima stella cadente. Fu vista di mattino presto che passava su Winchester diretta verso est, una linea di fiamma, alta nell'atmosfera. Centinaia di persone devono averla vista e devono averla presa per una stella cadente, come tante altre. Albin disse che si lasciava dietro una scia quasi verde che splendeva per qualche secondo. Denning, il nostro più grande scienziato sui meteoriti, stabilì che l'altezza alla quale era stata vista al suo primo apparire era di circa centocinquanta chilometri. Gli parve che cadesse sulla terra a circa centocinquanta chilometri da lui, verso oriente.
Io ero a casa, a quell'ora; stavo scrivendo nel mio studio, e, sebbene le portefinestre guardino verso Ottershaw e le persiane fossero aperte (perché in quei giorni mi piaceva guardare il cielo, di notte), non vidi nulla. Tuttavia questa cosa, fra le più strane che mai giunsero sulla terra dallo spazio, deve essere caduta mentre io sedevo lì, perfettamente visibile ai miei occhi, se soltanto li avessi alzati mentre passava. Molti di coloro che videro la sua corsa dicono che era accompagnata da un rumore sibilante; io non udii niente di niente. Molta gente nel Berkshire, nel Surrey e nel Middlesex deve averla vista cadere, e tutt'al più, avrà pensato che si trattasse di un altro meteorite. Nessuno, a quanto pare, si prese, la notte stessa, il disturbo di andare a cercare il masso caduto.
Di buon mattino, il povero Ogilvy, il quale aveva visto la stella cadente, ed era persuaso che un meteorite giaceva da qualche parte nella zona tra Horsell, Ottershaw e Woking, si alzò di furia con l'idea di trovarlo: e lo trovò, subito dopo l'alba, non lontano dalle cave di sabbia.
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