Il proiettile, nell'urto, aveva scavato un'enorme buca, la sabbia e la ghiaia erano state violentemente lanciate in ogni direzione sulla brughiera e sull'erica, formando cumuli visibili a due chilometri di distanza. L'erica, verso est, stava bruciando, e un sottile fumo azzurro saliva nitido contro il chiarore dell'alba.

La cosa giaceva quasi completamente affondata nella sabbia tra le schegge sparse di un abete che aveva frantumato cadendo. La parte scoperta aveva l'aspetto di un enorme cilindro di massa compatta, i suoi contorni erano addolciti da un'incrostazione spessa, scagliosa, di colore scuro. Aveva un diametro di circa venticinque metri. Egli si avvicinò a quella massa, stupito delle sue dimensioni e più ancora della sua forma, perché la maggior parte dei meteoriti sono quasi completamente rotondi. Ad ogni modo era ancora così calda per il suo volo attraverso l'atmosfera da non consentirgli di avvicinarsi di più. Attribuiva il rumore insistente che si udiva dentro al cilindro al raffreddamento ineguale della sua superficie, perché ancora non gli era venuto in mente che potesse esser cavo.

Rimase lì in piedi sull'orlo della buca che l'oggetto si era scavato, fissando il suo strano aspetto, stupito soprattutto dalla forma e dal colore inconsueti, e anche allora intuì solo confusamente che poteva non trattarsi di una caduta casuale. Il mattino era meravigliosamente calmo, e il sole, che si alzava sui pini verso Weybridge, era già caldo. Egli non ricordò di aver udito il canto degli uccelli: quel mattino, certo, non c'era alito di vento, e gli unici rumori erano i lievi cigolii che venivano dall'interno del cilindro cinerino. Egli era assolutamente solo nella landa.

Poi, d'un tratto, si accorse con un brivido che una parte di quella specie di vernice grigia, di quell'incrostazione cinerina che ricopriva il meteorite, si stava staccando dall'orlo circolare dell'estremità che affiorava. Si staccava via in scaglie che cadevano sulla sabbia. D'improvviso se ne staccò un grosso pezzo, che cadde con un rumore violento e gli fece saltare il cuore in gola.

Per un momento non riuscì a capire che cosa questo significasse, e, sebbene il calore fosse eccessivo, si calò nella buca vicino alla massa per vedere più chiaramente il fenomeno. Pensò anche allora che il raffreddamento del bolide potesse spiegare quel fatto, ma ciò che non rendeva plausibile quell'idea era che l'incrostazione si stava staccando solo sull'estremità del cilindro.

Allora si accorse che, molto lentamente, la sommità circolare del cilindro stava ruotando: era un movimento così graduale che egli lo scoprì solo notando che una macchia nera, che cinque minuti prima stava accanto a lui, si trovava adesso dall'altra parte della circonferenza. Anche allora non capì che cosa questo significasse, finché non udì un cigolio soffocato e non vide la macchia nera balzare in avanti di qualche centimetro. Allora ebbe un lampo: il cilindro era artificiale - cavo - con una delle due estremità svitabile! Qualcosa dentro il cilindro ne stava svitando la sommità!

- Santo Dio! - esclamò Ogilvy. - Lì dentro c'è un uomo, ci sono degli uomini! Saranno quasi bruciati! Tentano di fuggire!

Subito, con un'associazione d'idee rapidissima, collegò questo fatto con l'esplosione su Marte.

Il pensiero di quelle creature gli riuscì così spaventoso, che dimenticò il calore e si avvicinò al cilindro per svitarlo. Fortunatamente, le pesanti irradiazioni lo fermarono prima che si bruciasse le mani sul metallo ancora incandescente. Per un momento restò lì indeciso, poi si girò, s'inerpicò sul pendio e cominciò a correre a gambe levate verso Woking. Dovevano essere circa le sei. Incontrò un carrettiere e cercò di spiegargli il fatto, ma il suo racconto e il suo aspetto erano così anormali (aveva perso il cappello nella buca), che l'uomo tirò avanti per la sua strada. Fece ugualmente fiasco con un garzone che stava aprendo in quel momento la locanda presso il ponte di Horsell. Costui pensò che si trattasse di un pazzo in libertà e fece un tentativo infruttuoso di rinchiuderlo nella sala delle mescite. Questo fatto lo fece tornare un poco in sé, e quando vide Henderson, il giornalista di Londra, nel suo giardino, lo chiamò al di sopra della palizzata e riuscì a farsi capire.

- Henderson, - disse, - ha visto quella stella cadente, stanotte?

- Ebbene? - disse Henderson.

- E' nella landa di Horsell, adesso.

- Buon Dio! - esclamò Henderson. - Un meteorite! Bello.

- Ma è qualcosa di più di un meteorite. E' un cilindro: un cilindro artificiale, figliolo! E dentro c'è qualcosa.

Henderson si rizzò con la zappa in mano.

- Che cosa? - fece. Era sordo da un orecchio.

Ogilvy gli disse tutto quello che aveva visto. Henderson ci mise qualche minuto per capirlo, poi lasciò cadere la zappa, afferrò la giacca e uscì nella strada. I due uomini tornarono di corsa nella landa, e trovarono il cilindro che giaceva ancora nella stessa posizione, ma ora i rumori all'interno erano cessati, e un sottile cerchio di metallo lucido appariva tra la sommità e il corpo del cilindro. L'aria entrava o sfuggiva intorno al bordo con un suono sottile, sibilante.

Essi tesero l'orecchio, batterono sull'incrostazione con un bastone e, non ricevendo risposta, conclusero entrambi che l'uomo o gli uomini all'interno dovevano essere svenuti o morti.

Naturalmente, erano nell'impossibilità di fare qualsiasi cosa. Gridarono incoraggiamenti e promesse, e tornarono in città per cercare aiuto.