La speranza tenace e continua - un'allucinazione che, davanti a ogni sconfitta, immemore degli insuperabili ostacoli, lo perseguita finché vive e, immagino, lo tormenti, come gli spasimi convulsivi del colera, per un breve intervallo dopo la morte - è di essere, alla fine, entro breve tempo, per qualche felice coincidenza di circostanze, reintegrato nell'incarico. Questa fiducia, più di ogni altra cosa, svigorisce e fiacca qualsiasi iniziativa si sia mai sognato di intraprendere. Perché dovrebbe sfacchinare duramente e darsi tanti fastidi per tirarsi fuori dalla melma, quando, fra poco, il forte braccio dello Zio lo solleverà e lo sosterrà? Perché dovrebbe lavorare per vivere qui, oppure andare a cercare l'oro in California, quando fra poco sarà felice, a scadenze mensili, con un piccolo mucchietto di scintillanti monete prese dalla tasca dello Zio? È tristemente curioso notare come basti un piccolo assaggio di ufficio per contagiare un poveraccio con questa singolare malattia. L'oro dello Zio Sam - senza voler mancare di rispetto al vecchio signore - possiede, al riguardo, una qualità magica simile a quella della mercede del diavolo. Chiunque lo tocca, faccia bene attenzione, altrimenti se la vedrà brutta scoprendo che la mercede coinvolge, se non l'anima, molte delle sue qualità migliori: la forza risoluta, il coraggio e la costanza, la sincerità, la sicurezza di sé e tutto quanto costituisce una tempra virile.
Ecco una bella prospettiva sui tempi lunghi! Non che il sovrintendente abbia fatto tesoro della lezione o abbia ammesso di rischiare la rovina completa perché restava nell'ufficio o perché ne era cacciato. Cominciavo a farmi malinconico e irrequieto; sempre intento a frugare nella mente per scoprire quale delle sue mediocri qualità se ne fosse già andata e a quale grado di deterioramento fossero giunte le altre. Mi arrovellavo a calcolare quanto ancora sarei potuto restare alla Dogana continuando a essere un uomo. Confesso la verità: il mio cruccio più tormentoso - non sarebbe mai stata buona politica buttar fuori un individuo tranquillo come me e le dimissioni non si addicevano alla natura di un funzionario pubblico - la mia apprensione principale era di invecchiare nell'incarico di sovrintendente fino a essere decrepito e di diventare un animale simile al vecchio ispettore. Non poteva accadere anche a me, nei tediosi anni di vita d'ufficio che mi si stendevano davanti, come era accaduto al venerabile amico, di fare dell'ora del pasto il nucleo della giornata e trascorrere il resto delle ore, come le trascorre un cane, assopito al sole o all'ombra? Una lugubre prospettiva per un uomo convinto che la vera felicità sia vivere tutta la gamma delle sue facoltà e dei suoi sentimenti. Ma per tutto questo tempo mi allarmavo senza che ce ne fosse bisogno. La Provvidenza aveva in serbo per me cose migliori di quante non avessi immaginato io stesso.
Un notevole evento nel terzo anno della mia sovrintendenza - per adottare il tono di P.P. - fu l'elezione alla presidenza del generale Taylor. Per valutare pienamente tutti i vantaggi della vita di ufficio è essenziale considerare la posizione del titolare nel momento in cui si insedia un'amministrazione ostile. Si tratta di una posizione quanto mai gravosa, una delle più incresciose e moleste che possano capitare a un disgraziato mortale, con di rado un'alternativa favorevole, sebbene quella che gli appare la soluzione peggiore sia molto probabilmente la più auspicabile. Ma è una strana esperienza per chi abbia il suo orgoglio e la sua sensibilità sapere che il suo futuro è nelle mani di individui che non gli vogliono bene e non lo capiscono e dai quali preferirebbe essere offeso che beneficiato, visto che prima o poi succederà una di queste due cose. Strano anche per chi abbia conservato la calma durante tutta la gara elettorale osservare la sete di sangue che si sviluppa nell'ora del trionfo e rendersi conto di essere uno dei bersagli! Pochi tratti della natura umana sono più abietti della tendenza - ne sono stato testimone in uomini non peggiori dei loro simili - a diventare crudele soltanto perché si ha il potere di fare del male. Se la ghigliottina, applicata ai titolari di un ufficio, fosse un fatto reale, anziché una delle metafore più efficaci, è mia sincera convinzione che i membri attivi del partito vittorioso sarebbero contentissimi di mozzare tutte le nostre teste e ringrazierebbero il cielo per la felice occasione! Mi sembra - e sono stato un osservatore calmo e curioso nell'ora della vittoria e nell'ora della sconfitta - che questo spirito feroce e accanito di cattiveria vendicativa non abbia mai contraddistinto i trionfi del mio partito, come invece è accaduto con gli Whigs. I democratici assumono un ufficio perché ne hanno bisogno e perché la pratica di molti anni ne ha fatto una norma della guerra politica, nei confronti della quale - a meno che non venga adottato un sistema diverso - sarebbe codardia e debolezza mormorare. Ma la lunga consuetudine alla vittoria li ha resi generosi. Sanno usare la clemenza quando scorgono l'occasione, e, se colpiscono, l'accetta sarà forse affilata, ma la lama di rado è intinta nel veleno della cattiveria. E non è loro abitudine prendere ignominiosamente a calci la testa appena mozzata.
In breve, per quanto la mia situazione nel migliore dei casi potesse definirsi sgradevole, scoprivo buone ragioni per congratularmi con me stesso di essere dalla parte del perdente anziché da quella del vincitore. Se anche non ero mai stato un acceso attivista, cominciai, in quella stagione di pericoli e avversità, a percepire con acutezza a quale partito andavano le mie predilezioni e, non senza un sentimento affine alla vergogna e al rammarico, capivo che, secondo un ragionevole calcolo delle probabilità, le mie prospettive di conservare l'incarico erano migliori di quelle dei confratelli democratici. Ma chi può vedere nel futuro un palmo più in là del suo naso? La mia testa fu la prima a cadere!
Il momento in cui viene mozzata la testa è di rado - anzi forse non lo è mai, sono incline a pensare - il più felice nella vita di un individuo. Tuttavia, come la maggior parte delle nostre sventure, perfino una evenienza così grave reca con sé i suoi rimedi e le sue consolazioni, se soltanto la vittima vuole trarre il meglio, anziché il peggio, da quanto capitatogli. Nel mio caso particolare i temi consolatori erano a portata di mano, e invero si erano proposti alla mia meditazione molto tempo prima di trovarmi nella condizione di doverli utilizzare. Considerando l'uggia che avevo per il mio lavoro e i vaghi pensieri di dimettermi, il mio destino sembrava, in qualche modo, quello di chi, accarezzando l'idea di suicidarsi, abbia, al di là di ogni speranza, la buona fortuna di essere assassinato. Nella Dogana, come prima nel vecchio Presbiterio, avevo trascorso tre anni, un periodo abbastanza lungo per riposare un cervello stanco, abbastanza lungo per rompere vecchie abitudini e fare spazio a nuove, abbastanza lungo, anzi troppo lungo, per vivere in modo innaturale, facendo quello che non era né di utilità né di diletto a nessun essere umano, ritraendomi da una fatica che sarebbe almeno servita a placare un impulso inquieto dentro di me. Inoltre, per quanto riguarda la cacciata poco cerimoniosa, l'ex sovrintendente non era affatto dispiaciuto di essere considerato un nemico dagli Whigs, perché lo scarso impegno nell'attività politica - la sua tendenza a spaziare liberamente in quel vasto e tranquillo campo dove tutta l'umanità può incontrarsi, invece di confinarsi in angusti sentieri dove dissentono fra loro i confratelli di una stessa casata - aveva a volte fatto sorgere degli interrogativi ai compagni democratici se considerarlo o meno un amico. Ora, dopo essersi conquistato la corona del martirio (sebbene non avesse più la testa per portarla), la perplessità si poteva considerare risolta. Da ultimo, per quanto non fosse un tipo eroico, gli sembrava più decoroso essere travolto nella caduta del partito da lui sempre sostenuto volentieri che sopravvivere negletto, mentre cadevano uomini tanto più degni, e, infine, dopo esser vissuto per quattro anni appellandosi alla benevolenza di un'amministrazione ostile, essere costretto a definire da capo la propria posizione appellandosi a quella ancora più umiliante di un'amministrazione amica.
La stampa, nel frattempo, impossessatasi della mia vicenda, per una settimana o due aveva continuato a farmi scorrazzare sulle sue pagine, decapitato com'ero, come il cavaliere senza testa di Irving, torvo e spettrale, desideroso di essere sepolto, come dovrebbero sempre essere gli uomini politicamente morti.
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