Che cosa ne dite, ancora una volta, fratello Dimmesdale? Sarai tu o sarò io a dibattere con l'anima di questa misera peccatrice?"
Corse un mormorio fra i dignitosi e reverendi occupanti del balcone, e il governatore Bellingham diede espressione a quel fremito, parlando con voce autorevole, seppur temperata dal rispetto per il giovane pastore cui si rivolgeva.
"Buon messer Dimmesdale, voi soprattutto avete la responsabilità dell'anima di questa donna, a voi spetta pertanto esortarla al pentimento e, quale prova e conseguenza della sua contrizione, alla confessione".
La schiettezza dell'appello attrasse gli sguardi di tutta la folla sul reverendo Mr Dimmesdale, un giovane pastore che era venuto da una delle grandi università inglesi, portando nella nostra terra di selvagge foreste tutto il sapere della sua epoca. La sua eloquenza e il suo fervore religioso facevano prevedere che avrebbe raggiunto alte vette nella professione. Era un uomo di aspetto non comune, con una fronte alta, bianca, incombente, con grandi occhi scuri melanconici e una bocca che, portata a fremere, salvo quando non si serrava con forza, esprimeva una sensibilità nervosa e, nello stesso tempo, un grande potere di autocontrollo. Malgrado le nobili doti innate e le affermazioni che si era meritato come studioso, c'era intorno a questo giovane uomo di Dio un alone - l'aria apprensiva, turbata, un po' atterrita - della creatura che si sente smarrita e perduta lungo il cammino della vita umana e che soltanto in un eremo tutto suo potrebbe trovarsi a proprio agio. Per quanto glielo consentivano i suoi doveri, perciò, egli procedeva lungo gli ombrosi sentieri laterali e in tal modo restava semplice e infantile, mostrando, quando se ne presentava l'occasione, una freschezza, una fragranza e una purezza rugiadosa di pensiero che, a dire di molti, commuovevano come le parole di un angelo.
Ecco il giovane che il reverendo Mr Wilson e il governatore avevano tanto apertamente portato all'attenzione generale, chiedendogli di rivolgersi, davanti a tutti, a quel mistero che è l'animo femminile, così sacro perfino nella sua turpitudine. La sofferenza penosa della situazione gli sbiancò le guance e gli fece tremare le labbra.
"Parla alla donna, fratello", disse Mr Wilson. "È di grande momento per la sua anima e quindi, come dice l'eccellentissimo governatore, di grande momento anche per la tua, che ne ha la cura. Esortala a confessare la verità!"
Il reverendo Mr Dimmesdale piegò il capo, quasi in silenziosa preghiera, quindi si fece avanti.
"Hester Prynne", disse sporgendosi dal balcone e guardandola intensamente negli occhi, "hai sentito quello che ha detto questo buon uomo e vedi sotto quale fardello io mi dibatta. Se senti che gioverà alla pace della tua anima e che quindi la punizione terrena opererà meglio per la tua salvezza, ti impongo di dire il nome di colui che ha peccato con te e ha sofferto con te! Non tacere in nome di un'errata pietà e di un errato affetto verso di lui. Credimi, Hester, se anche dovesse scendere da un posto molto elevato per venire accanto a te, sul tuo piedistallo di vergogna, sarebbe meglio così che nascondere per tutta la vita un cuore colpevole. Che cosa può fare per lui il tuo silenzio, tranne indurlo in tentazione, costringerlo, per così dire, ad aggiungere l'ipocrisia al peccato? Il cielo ti ha concesso un'ignominia pubblica perché tu possa ottenere un pubblico trionfo sul male dentro di te e sul dolore intorno a te. Attenta a non negare a lui, che forse non ha il coraggio di afferrarlo con le mani, il calice amaro, ma salutare, che ora ti porti alle labbra!"
La voce del giovane pastore fremeva dolce, ricca, intensa, spezzata. Il sentimento che vi trapelava in modo così manifesto, più ancora del senso diretto delle parole, la faceva vibrare nei cuori di tutti, in tutti generando uno slancio di commozione. Perfino la piccina al petto di Hester percepì quell'influenza, perché, volgendo verso Mr Dimmesdale lo sguardo fino a quel momento vacuo, levò le braccine con un mormorio per metà di letizia, per metà di lamento. Così potente suonò l'appello del pastore che nessuno pensò che Hester Prynne non avrebbe pronunciato il nome colpevole, o che il colpevole stesso, alto o basso che fosse il suo posto nel mondo, spinto da un imperativo interiore ineluttabile, non sarebbe stato indotto a salire sul palco.
Hester scosse il capo.
"Donna, non trasgredire oltre i limiti della misericordia del cielo!", gridò il reverendo Mr Wilson con maggior asprezza di prima. "A quella piccina è stato fatto il dono della voce per assecondare e confermare il consiglio che hai udito. Di' il suo nome! Questo, insieme al tuo pentimento, forse servirà a toglierti dal petto la lettera scarlatta".
"No, mai!", replicò Hester Prynne, non guardando Mr Wilson ma fissando gli occhi profondi e tormentati del giovane ministro di Dio. "Il marchio è troppo profondo. Non potete toglierlo. Se almeno potessi soffrire il suo tormento insieme al mio!"
"Parla, donna!", disse con fredda severità un'altra voce che veniva dalla folla intorno al palco. "Parla e da' un padre alla tua bambina!"
"Non parlerò!", rispose Hester, facendosi pallida come una morta, ma rispondendo a quella voce che certamente aveva riconosciuto. "La mia bambina cercherà un Padre Celeste; non ne conoscerà mai uno terreno!"
"Non parlerà!", mormorò Mr Dimmesdale, che, sporgendosi dal balcone, aveva atteso l'effetto del suo appello con la mano sul cuore. Ora si tirò indietro con un lungo respiro. "Meravigliosa forza e generosità di un cuore di donna! Non parlerà!"
Consapevole di quanto fosse impervio l'animo della povera colpevole, il vecchio pastore, che si era preparato con cura all'occasione, rivolse alla moltitudine un discorso sul peccato, in tutti i suoi multiformi aspetti, ma riferendosi in particolare alla lettera ignominiosa. Con tanta forza indugiò su quel simbolo per tutta l'ora e più durante la quale le sue frasi si riversarono incalzanti sulla testa dei convenuti, che nella loro immaginazione l'emblema si impregnò di nuovi terrori e parve che derivasse il colore scarlatto dalle fiamme dell'abisso infernale. Hester Prynne, nel frattempo, rimaneva sul piedistallo della vergogna, con occhi velati e un'aria di spossata indifferenza. Aveva sopportato, quella mattina, tutto quello che poteva tollerare la natura, e, poiché il suo non era il temperamento di chi si sottrae con il deliquio alla sofferenza troppo intensa, il suo spirito trovava riparo soltanto sotto una crosta pietrosa di insensibilità, mentre restavano integre le facoltà della vita animale. In quello stato, alle sue orecchie la voce del predicatore rombava impietosa e inefficace. Durante l'ultima parte del giudizio la piccina perforò l'aria con strilli e pianti; la madre cercò di quietarla in modo meccanico, ma non sembrava partecipare a quella sofferenza. Con la stessa aria dura fu ricondotta in prigione e scomparve allo sguardo di tutti al di là del portale con le sbarre di ferro.
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