Quanto al mobilio, c'è una stufa con una voluminosa canna; un vecchio scrittoio di pino e accanto uno sgabello a tre gambe; due o tre sedie dal sedile di legno, decrepite e malandate oltre ogni dire, e - per non dimenticare la biblioteca - su alcuni scaffali una o due dozzine di raccolte di leggi del Congresso e un voluminoso Digesto delle leggi tributarie. Un tubo sottile, che sale fino ad attraversare il soffitto, funge da mezzo di comunicazione vocale con altre parti dell'edificio. E qui, circa sei mesi orsono - intento a misurare la stanza camminando avanti e indietro, oppure a riposare sull'alto sgabello, con il gomito appoggiato allo scrittoio, mentre con gli occhi scorreva su e giù le colonne del quotidiano della mattina - avreste potuto riconoscere, onorevole lettore, lo stesso individuo che vi ha gioiosamente accolto in questo studiolo, dove il sole scintilla in modo tanto piacevole attraverso i rami del salice sul lato occidentale del vecchio Presbiterio. Ma se andaste lì a cercarlo oggi, invano chiedereste del doganiere Loco-foco. Lo ha travolto la ramazza della riforma, e ormai un successore più degno indossa i suoi gradi e intasca i suoi emolumenti.
Questa vecchia cittadina di Salem - il luogo dove, pur essendovi nato, non ho dimorato a lungo durante la fanciullezza e neppure in anni più maturi - ha, o almeno aveva, un'ipoteca sui miei affetti, della cui intensità non mi ero mai reso conto nel corso delle stagioni che mi videro risiedere qui. Invero, considerato l'aspetto esteriore della città, con la sua superficie piatta e monotona, con le sue case di legno - di queste ben poche, se mai ce ne sono, aspirano alla bellezza architettonica - con la sua irregolarità che non è né pittoresca né bizzarra, ma soltanto banale - con la sua strada lunga e pigra, che si stende stancamente per tutta la lunghezza della penisola, con Gallows Hill e New Guinea a una estremità e l'ospizio dall'altra - ecco le caratteristiche della mia città natale - sarebbe altrettanto ragionevole provare un attaccamento sentimentale per una scacchiera in disordine. Eppure, se anche altrove sono immancabilmente più felice, dentro di me c'è per la vecchia Salem un sentimento che, in mancanza di un'espressione migliore, mi accontento di chiamare affetto. È uno slancio che probabilmente è da attribuire alle radici profonde e antiche che la mia famiglia ha affondato in questo suolo. Sono ormai quasi due secoli e un quarto da quando il capostipite britanno, il primo emigrante della mia stirpe, fece la sua comparsa nella rude colonia circondata da foreste, che da allora è diventata una città. E qui sono venuti alla luce e sono morti i suoi discendenti e hanno mescolato alla terra la loro sostanza terrena, tanto che una porzione non piccola deve necessariamente essere affine all'involucro mortale con il quale, per qualche tempo ancora, passeggerò per la strada. L'attaccamento al quale mi riferisco è, almeno in parte, soltanto l'affinità sensitiva della polvere per la polvere. Pochi miei concittadini possono sapere di che si tratta, e non è affatto desiderabile che lo sappiano, visto che il trapiantarsi di frequente forse giova alla schiatta.
Ma il mio affetto ha anche una sua qualità morale. La figura di quel primo antenato, investito dalla tradizione familiare di una grandezza oscura e tenebrosa, fu sempre presente alla mia immaginazione infantile, fin da quando ricordo. Mi segue ancora, instillandomi il senso di un legame intimo con il passato, che mi è difficile riconoscere nell'attuale fase della vita della città. E credo di avere diritto a risiedere qui più in nome di questo progenitore grave, con la barba, il nero mantello e un cappello alto a punta - giunto tanto tempo fa con la sua Bibbia e la sua spada, che percorreva le strade intatte con portamento solenne e fu tanto importante come uomo di guerra e di pace - credo di avere diritto a risiedere grazie a lui più che a me stesso, con un nome che raramente si sente risuonare e con una faccia che è quasi sconosciuta. Fu soldato, legislatore, giudice, rettore della chiesa, con tutti i tratti puritani, nel bene e nel male. Fu anche un feroce persecutore, come attestano i quaccheri che lo ricordano nelle loro storie e riportano a esempio del suo duro rigore il modo in cui si comportò verso una donna della loro setta, un episodio questo che - c'è da temere - durerà più a lungo delle testimonianze delle sue buone azioni, pure numerose. Il figlio, a sua volta, che aveva ereditato lo spirito persecutorio del padre, si distinse talmente nel martirio delle streghe che - si può ben dire - il loro sangue lasciò una macchia su di lui. Una macchia così profonda, invero, che probabilmente ne sono ancora segnate le sue vecchie ossa aride, nel camposanto di Charter Street, sempreché non si siano tutte sbriciolate in polvere! Chissà se questi miei antenati hanno mai pensato di pentirsi e chiedere perdono al cielo per la loro crudeltà, oppure se in un altro stato dell'essere non stiano gemendo sotto le severe conseguenze. Io, lo scrittore, in ogni caso, in loro rappresentanza e per amor loro, mi accollo la vergogna e prego che possano essere d'ora innanzi allontanate tutte le maledizioni in cui siano incorsi, come ho sentito dire e come farebbe supporre ormai da molti anni la condizione desolata e non prospera della stirpe.
Non c'è dubbio, tuttavia, che entrambi questi austeri e arcigni puritani avrebbero considerato giusto fio dei loro peccati il fatto che, dopo tanti anni, il vecchio ceppo della famiglia, ricoperto da tanto venerabile muschio, generasse, ultimo ramoscello, un perdigiorno come me. Nessuna delle mete che mi stanno a cuore sembrerebbe loro encomiabile; nessun mio successo - se la mia vita, al di là dell'ambito domestico, fosse mai stata così allietata - sarebbe loro parso altro che privo di ogni valore, se non addirittura decisamente ignobile. "Che cosa fa?", mormora l'ombra grigia di un mio antenato a un altro. "Scrive libri di racconti! Che razza di lavoro è? Che modo per glorificare Dio o essere utile all'umanità del suo tempo e della sua generazione! Ebbene, tanto valeva che il degenerato fosse un imbroglione!" Ecco i complimenti che attraverso l'abisso del tempo rimbalzano fra me e i miei progenitori! Che mi disdegnino pure, se vogliono: forti tratti della loro natura si sono intrecciati con la mia.
Con queste radici piantate ben fonde durante la prima infanzia e la fanciullezza della città, ad opera di questi due uomini gagliardi - gente che faceva sul serio -, il ceppo familiare da allora esiste qui, sempre in modo rispettabile, non afflitto mai, per quanto ne sappia, da un solo membro indegno, ma d'altra parte raramente, o addirittura mai, dopo le prime due generazioni, nobilitato da qualcuno che avesse compiuto un'impresa memorabile, anzi neppure un'azione in grado di richiamare l'attenzione generale. A poco a poco è quasi scomparso alla vista, come certe vecchie case che, qui e lì nelle strade, sono sommerse sotto l'accumulo di nuovo terreno per metà dell'altezza fino alle grondaie. Di padre in figlio, per oltre cento anni, la stirpe ha seguito la vocazione marinara; ogni generazione ha avuto il suo capitano canuto, che si ritirava dal casseretto per rifugiarsi nel suo orticello, mentre al posto ereditario, davanti all'albero maestro, andava un ragazzo quattordicenne, pronto ad affrontare gli spruzzi salmastri e le tempeste, che avevano infuriato contro gli antenati di due generazioni. A suo tempo il ragazzo passava dal castello di prua alla cabina, attraversava una tempestosa maturità e, ritornato dai suoi viaggi per il mondo, invecchiava e moriva e mescolava la sua polvere con quella del suolo natio. Questo lungo legame fra una famiglia e un luogo - posto della nascita e della morte - crea fra l'essere umano e la località una parentela che prescinde dalla bellezza del paesaggio o dal suo alone morale. Non è amore, bensì istinto. Il nuovo colono - giunto da una terra straniera, oppure figlio e nipote di un nuovo venuto - ha ben poco titolo a farsi chiamare salemita; non ha idea della tenacia da ostrica con la quale chi è arrivato da tempo e sente strisciare su di sé il terzo secolo si aggrappa al luogo dove sono state sotterrate le successive generazioni. Che importa se il luogo è triste, se lui si è stufato delle vecchie case di legno, del fango e della polvere, dell'uggia del luogo e del suo torpore, del gelido vento d'oriente e della gelidissima atmosfera sociale; tutto questo - accanto agli altri difetti che gli capiti di vedere o immaginare - non ha significato.
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