Non vedevo più il palazzo di porcellana verde, e non sapevo che direzione prendere. Fissai lo sguardo nel bosco, e mi chiesi che cosa nascondesse: sotto il fitto intrigo dei rami non avrei potuto neppure scorgere le stelle, e se la foresta non avesse celato in sé altri pericoli - pericoli sui quali il mio pensiero preferiva non fermarsi -, ci sarebbe pur sempre stato un terreno accidentato da percorrere e tronchi d'albero contro i quali avrei urtato a ogni passo.

«Dopo le eccitazioni della giornata, mi sentivo stanchissimo; decisi quindi di non affrontare un cammino tanto impervio e di passare la notte sulla collina, all'aperto.

«Weena fortunatamente dormiva; la avvolsi con cura nella mia giacca, e sedetti accanto a lei ad attendere il sorgere della luna. La collina era tranquilla e deserta, ma dalle oscure profondità del bosco giungeva di quando in quando al mio orecchio un fruscio che sembrava prodotto da cose vive. La notte era limpidissima, e il cielo trapunto di stelle, il cui palpitare mi infondeva un senso di piacevole sicurezza. Tutte le vecchie costellazioni erano sparite; il lento moto degli astri, impercettibile nella durata di cento generazioni, le aveva riunite in raggruppamenti che mi erano sconosciuti; ma ebbi l'impressione che la Via Lattea fosse ancora la stessa scia irregolare disseminata di polvere di stelle. Verso sud - o così mi parve - splendeva la luce rossastra di una stella che non conoscevo e che era ancor più brillante della nostra Sirio. E tra tutti quei punti scintillanti, un luminoso pianeta splendeva di luce fissa, benevolo come il volto di un vecchio amico.

«Tutti i miei guai e tutti i pesi della vita umana parvero rimpicciolire, mentre guardavo le stelle: pensavo alla loro incommensurabile distanza e al lento, ineluttabile corso dei loro movimenti, da un ignoto passato verso un ignoto futuro. Pensavo all'ampio, solenne ciclo precessionale che compie l'asse terrestre: quella silenziosa rivoluzione si era verificata soltanto quaranta volte, negli innumerevoli anni che avevo attraversato, e durante quelle poche rivoluzioni tutte le attività, tutte le tradizioni, le organizzazioni più complesse, le nazioni, i linguaggi, le letterature, le aspirazioni, perfino il ricordo dell'uomo - come io lo conoscevo - erano stati spazzati via, annullati; al loro posto ecco queste fragili creature che avevano dimenticato la propria origine e queste Cose bianche che mi incutevano tanto timore. Considerai inoltre la grande paura che divideva le due specie umane, e per la prima volta ebbi l'esatta percezione - e ne rabbrividii - di quella che poteva essere la carne che avevo visto su quella tavola. Era troppo, troppo orribile! Guardai la piccola Weena addormentata accanto a me, il suo volto pallido sotto la luce delle stelle, e immediatamente respinsi tale pensiero.

«Durante tutta quella lunghissima notte cercai, per quanto mi fu possibile, di non pensar più ai Morlock, e trascorsi il tempo immaginando di ritrovare i segni delle vecchie costellazioni nella nuova disposizione degli astri. Il cielo si manteneva sereno, tranne qualche vaga, leggerissima nuvola. Senza dubbio dovetti assopirmi, di tanto in tanto; poi, durante un periodo di veglia, un debole riverbero di luce rischiarò il cielo verso oriente simile al riflesso di una fiamma priva di colore, e la luna si levò sottile, appuntita e bianchissima. Subito dopo, il lieve chiarore fu soverchiato da quello dell'alba nascente in una luce tenue che si tingeva a poco a poco di un rosa sempre più caldo.

Nemmeno un Morlock si era avvicinato a noi e non ne avevo intravisti neppure sulla collina. La fiducia rinacque in me col rinascere del giorno: la mia paura era stata del tutto irragionevole. Mi alzai, e mi accorsi che il piede calzato con la scarpa senza tacco si era gonfiato sino alla caviglia e mi faceva male; sedetti di nuovo, mi tolsi le scarpe, e le gettai lontano.

«Dopo qualche minuto svegliai Weena; ed entrammo insieme nel bosco, che adesso mi appariva verde e invitante invece che nero e pauroso. Trovammo subito dei frutti con cui rompere il digiuno, poi ne assaggiammo altri ancor più squisiti, e li mordemmo ridendo e danzando nella luce del sole, completamente dimentichi della cosa che aveva nome notte.

 

«Poi il mio pensiero corse di nuovo alla carne che avevo vista: adesso sapevo con certezza da dove proveniva, e dal più profondo del cuore compiansi questo superstite, debole ruscello scaturito dall'immensa fiumana dell'umanità. Evidentemente, in un dato periodo del lunghissimo tempo occorso al decadere del genere umano, il cibo dei Morlock si era fatto scarso, e forse essi erano stati costretti a nutrirsi di topi e di animali simili. Anche ai nostri tempi, l'uomo è meno difficile e meno raffinato, nella scelta del cibo, di quanto lo fosse in epoche precedenti: poco più raffinato di una scimmia; il suo pregiudizio contro l'uso della carne umana non nasce da un istinto ben radicato. E così quegli inumani figli degli uomini...

«Tentai di studiare la cosa da un punto di vista razionale: dopo tutto, costoro erano meno umani e ancor più remoti da noi di quanto lo fossero i nostri antenati cannibali di tre o quattromila anni fa; l'intelligenza che avrebbe reso questo stato di cose un insopportabile tormento si era spenta. Perché avrei dovuto sentirmi turbato? Questi Eloi non erano che bestiame ingrassato che i Morlock formiche custodivano per poi impadronirsene, e di cui probabilmente sorvegliavano anche la riproduzione. Mi volsi a guardare Weena che mi danzava accanto.

«Cercai di allontanare da me l'orrore che mi pervadeva in ogni fibra, e di considerare tutta la faccenda come una dura punizione inflitta all'egoismo umano. L'uomo aveva vissuto felice fra gli agi e i piaceri valendosi della fatica del suo simile; la sua parola d'ordine era stata una sola: "Necessità", e se ne era servito come di una valida scusa: con l'andar del tempo la necessità era divenuta abitudine. Cercai anche di considerare col disprezzo di Carlyle questa miserabile aristocrazia in piena decadenza, ma non mi fu possibile. Per quanto grande fosse il loro invilimento intellettuale, gli Eloi conservavano ancora un'apparenza troppo umana, perché non mi sentissi solidale con loro e perché la loro degradazione e la loro paura non mi toccassero da vicino.

«In quei momenti avevo un'idea molto vaga della strada da seguire; la cosa più importante era trovare un rifugio sicuro e fabbricarmi qualche arma di metallo o di pietra; e dovevo farlo subito. Speravo inoltre di procurarmi, in un secondo tempo, i mezzi per accendere un fuoco: una torcia sarebbe stata l'arma più efficace contro i Morlock. Infine, dovevo escogitare la maniera di aprir le porte di bronzo sotto la sfinge bianca, servendomi di un arnese che facesse le funzioni di un ariete. Ero convinto che, se avessi potuto penetrare oltre quelle porte tenendo in mano una sorgente luminosa, avrei potuto scoprire la Macchina del Tempo e fuggire con essa: certo i Morlock, deboli come erano, non avevano potuto trasportarla molto lontano. Weena sarebbe venuta con me nel nostro tempo.

«Con la mente piena di progetti seguitai a camminare verso il palazzo che avevo scelto come rifugio.

10
Il palazzo di porcellana verde

«Giunsi nei pressi del palazzo di porcellana verde verso mezzogiorno, e vidi che era disabitato e in rovina: alle finestre non restavano che frammenti di vetri, grandi lastre di smalto verde si erano staccate dalla struttura metallica corrosa dal tempo. Il palazzo si ergeva altissimo su un terreno coperto da zolle erbose; prima di entrarvi guardai verso nord-ovest, nel punto dove, secondo me, dovevano essere stati un tempo Wandsworth e Battersea, e fui sorpreso di trovare al loro posto un grande estuario. Pensai allora - e cercai subito di scacciare dalla mente questo pensiero - che cosa poteva essere accaduto, che cosa stesse tuttora accadendo agli esseri viventi del mare.

«Il palazzo era davvero costruito con un materiale simile alla porcellana.