Sulla facciata spiccava un'iscrizione a caratteri sconosciuti; ebbi la sciocca idea che Weena potesse aiutarmi a decifrarla, ma mi accorsi ben presto che la mia piccola amica non aveva la più lontana idea che esistesse la scrittura; credo di aver sempre considerato quella creatura più umana di quanto fosse in realtà, forse perché l'affetto che mi dimostrava era veramente umano.

«Dietro i grandi portali spalancati e rotti, invece del consueto atrio si apriva una lunga galleria illuminata da finestre poste sui due lati, e questo mi fece subito pensare a un museo. Il pavimento di mattonelle e un imponente numero di oggetti disparati erano coperti da un fitto strato di polvere; mi sentivo come sperduto, in quell'enorme ambiente, e mi guardavo attorno sbalordito, quando scorsi quella che doveva essere la parte inferiore di uno scheletro mostruoso dalle estremità ricurve: l'esemplare di una razza ormai estinta, qualcosa di simile a un megaterio; il cranio e poche ossa superiori gli erano accanto nella polvere, mentre il resto dello scheletro doveva esser stato trascinato via dall'acqua piovana caduta da una breccia del tetto. Più avanti si ergeva un altro scheletro, di imponenti dimensioni, che riconobbi per quello di un brontosauro. Si trattava dunque proprio di un museo. Mi avvicinai a una parete, e vidi degli scaffali inclinati su cui posavano, quasi invisibili sotto una coltre di polvere, le vecchie familiari teche di vetro dei nostri musei; dovevano essere impenetrabili all'aria, a giudicare dalla buona conservazione di qualcuno degli oggetti in esse contenuti.

«Ci trovavamo certamente tra le rovine di un modernissimo South Kensington, e probabilmente nella sua sezione paleontologica, ricca di una splendida collezione di fossili; tuttavia, l'inevitabile processo di decomposizione, che era stato ritardato a causa dell'estinzione di funghi e bacteri, perdendo così il novantanove per cento della sua forza, aveva agito nondimeno implacabilmente su tutti quei tesori, se pure con estrema lentezza. Qua e là trovai tracce del minuscolo popolo che aveva ridotto in pezzi e in strisce sui loro scaffali esemplari di fossili rari. Parecchie custodie di vetro erano state rimosse dai loro posti, forse dai Morlock.

«In quel luogo silenzioso, anche il rumore dei nostri passi era attutito dalla polvere; Weena, che aveva fatto ruzzolare un riccio di mare dal suo astuccio di vetro, mi venne accanto mentre ero immerso nei miei pensieri, mi prese silenziosamente una mano e mi restò vicina.

«Ero rimasto talmente sorpreso da questo antico monumento di un'epoca che valorizzava ancora le facoltà intellettuali, da non pensare affatto alle possibilità che poteva offrirmi; perfino la mia costante preoccupazione sulla sorte della Macchina del Tempo era divenuta meno incalzante.

«A giudicare dalle sue dimensioni, il palazzo di porcellana verde non doveva contenere soltanto la galleria paleontologica; forse c'erano anche gallerie storiche, forse una biblioteca: persino nelle presenti circostanze, queste ultime mi avrebbero interessato molto di più della raccolta di antichi pezzi geologici in decomposizione. Procedendo nella mia visita, mi trovai in una galleria più corta, orientata in senso trasversale rispetto alla prima, e che sembrava dedicata ai minerali; la vista di un blocco di zolfo mi fece pensare alla polvere da sparo. Non trovai però traccia di salnitro né di altri nitrati; senza dubbio si erano disciolti da chi sa quanti secoli. Mi si era fitta in mente l'idea dello zolfo, e questa idea ne aveva provocate infinite altre; ma i minerali contenuti nella galleria, quasi tutti meglio conservati del materiale che avevo già visto, suscitavano in me un interesse molto relativo.

«Non mi intendo molto di mineralogia, quindi abbandonai il luogo, e mi trovai in una specie di corridoio diroccato, parallelo alla prima galleria. Si trattava, evidentemente, della sezione dedicata alla storia naturale, ma tutto ciò che vi si trovava era da lungo tempo divenuto irriconoscibile: non vidi che vestigia annerite e raggrinzite di antichi animali imbalsamati, mummie ormai disseccate in barattoli senza più alcol, piante ridotte a una polvere bruna. Ne rimasi contrariato, perché ben volentieri avrei seguito l'evoluzione compiuta durante i secoli dalla natura animata.

«Giungemmo poi a una galleria di proporzioni colossali ma assai male illuminata, il cui pavimento inclinato formava un leggero angolo nel punto in cui ero entrato. Globi bianchi, - quasi tutti spezzati - pendevano dal soffitto a intervalli regolari: segno che il luogo, in origine, era illuminato artificialmente. Qui mi trovavo nel mio elemento, fra una quantità di grosse macchine più o meno corrose, alcune a pezzi, altre invece del tutto complete. Sapete che ho una certa debolezza per la meccanica, quindi vi sarà facile comprendere il mio desiderio di indugiare in quella galleria, tanto più che quasi tutte le macchine contenutevi erano interessanti come altrettanti enigmi, dato che potevo solo a mala pena immaginare per che uso fossero state costruite; pensavo che se fossi riuscito a risolvere tali enigmi, mi sarei procurato le forze necessarie a combattere i Morlock.

«Weena si strinse al mio fianco così improvvisamente, da farmi trasalire; se non fosse stato per lei, non credo che avrei notato che il pavimento della galleria era inclinato1. Il punto da cui ero entrato si trovava al livello del terreno; il locale prendeva luce da poche finestre verticali, strette e alte; seguendo la lunghezza della galleria il pavimento si sollevava contro le finestre in modo che, davanti a quelle in fondo, si formava una specie di zona simile al fossato prospiciente il fronte di alcune case di Londra, con solo una piccola striscia di luce filtrante dalla sommità.

«Camminavo adagio, troppo intento a studiare le macchine per notare la graduale diminuzione della luce, fino a quando il crescente timore di Weena attrasse la mia attenzione; notai allora che la galleria era quasi immersa nell'oscurità. Mi fermai esitante e, guardandomi intorno, mi accorsi che lo strato di polvere s'era fatto meno spesso e meno uniforme; e sul davanti, ove la luce era ancora più fioca, appariva segnato da numerose orme corte e sottili. Ebbi l'impressione dell'immediata presenza dei Morlock, e compresi che stavo perdendo il mio tempo, nell'accademico esame di quelle macchine. Il pomeriggio era già molto avanzato e non avevo ancora trovato né un'arma né un rifugio né i mezzi per accendere un fuoco. Laggiù, nella remota oscurità della galleria, udivo il caratteristico scalpiccio e gli stessi misteriosi rumori che avevo già avvertiti in fondo al pozzo.

«Presi Weena per la mano; poi, colpito da un'idea improvvisa, la lasciai, e mi avvicinai a una macchina da cui sporgeva una leva simile a quella di una cabina di segnalazione. Mi arrampicai sulla piattaforma della macchina, afferrai la leva e mi ci appoggiai sopra premendo con tutto il mio peso.» Weena, rimasta sola in mezzo alla galleria, cominciò a lamentarsi; avevo esattamente calcolato la resistenza della leva, che si spezzò dopo poco, e io raggiunsi la mia amica stringendo in pugno una mazza più che sufficiente a spezzare il cranio di qualsiasi Morlock avessi incontrato. Desideravo ardentemente ucciderne almeno un paio. Troverete che è piuttosto inumano il desiderio di spedire all'altro mondo i propri discendenti, ma vi assicuro che mi era impossibile scorgere la minima traccia di umanità, in quegli esseri. Soltanto la mia riluttanza a lasciare sola Weena, e la convinzione che se mi abbandonavo alla mia sete di delitti la Macchina del Tempo ne avrebbe pagate le conseguenze, mi trattennero dal raggiungere l'estremità opposta della galleria e uccidere i bruti di cui avvertivo la presenza.

«Bene, con la mazza in mano e la manina di Weena nell'altra, uscii dalla galleria per entrare in un'altra ancora più grande, che alla prima occhiata mi fece l'impressione di un sacrario militare adorno di bandiere lacerate; guardai meglio, e mi accorsi che gli stracci scuri che pendevano dalle pareti erano resti di libri ridotti a pezzi da chi sa quanto tempo, poiché ogni traccia di stampa era scomparsa da essi; ma i margini arricciati e i fermagli spezzati rivelavano abbastanza bene la loro natura. Se fossi stato un letterato, avrei potuto trarre considerazioni assai interessanti sulla caducità delle ambizioni umane; comunque, la cosa che mi colpì maggiormente fu l'enorme spreco di fatiche di cui testimoniava quel triste ammasso di carta deteriorata. Confesso che pensai soprattutto alle Relazioni filosofiche e ai miei diciassette saggi sulla fisica ottica.

«Salimmo uno scalone, e ci trovammo in una galleria certamente dedicata alla chimica termica, dove però non avevo la minima speranza di scoperte utili.

La galleria era ben conservata, tranne verso il fondo, ove il tetto era sbrecciato. Mi avvicinai curioso a ogni teca ancora intatta, e in una di esse, che doveva essere davvero a perfetta tenuta d'aria, trovai una scatola di fiammiferi. Mi precipitai ad accenderne uno: si accese, la scatola era assolutamente asciutta.

«Mi volsi a Weena: "Si dia inizio alle danze", le dissi nella sua lingua; possedevo finalmente un'arma contro le orribili creature che temevamo tanto. E là, in quell'avanzo di museo, su un morbido e spesso tappeto di polvere, mi esibii solennemente, con somma gioia di Weena, in una specie di danza composita, fischiettando con gran foga Il paese dell'onestà; poi mi avventurai in un moderato cancan, cui seguì un tentativo di balletto classico (per quanto me lo permetteva il mio abito a coda di rondine), con qualche passo assolutamente inedito: sapete che non mi manca una certa facilità inventiva.

«Penso ancora adesso di essere sfuggito alla perpetua prigione del tempo per merito di una scatola di fiammiferi; circostanza quanto mai bizzarra e, per quel che mi riguarda, quanto mai fortunata. Poco dopo trovai della canfora, che scambiai da prima per una sostanza sconosciuta: era in un barattolo a chiusura, per fortuna, veramente ermetica; credetti, quando ruppi il vaso, che fosse paraffina, ma l'odore della canfora è inconfondibile; e questa sostanza volatile era miracolosamente sopravvissuta, forse attraverso migliaia di secoli, al disfacimento generale: ricordai di aver visto una volta un disegno a nero di seppia fatto con l'inchiostro di una seppia morta e fossilizzata da milioni di anni.