La Madre
LA MADRE
di Grazia Deledda
Anche quella notte, dunque, Paulo si disponeva ad uscire.
La madre, nella sua camera attigua a quella di lui, lo sentiva muoversi furtivo, aspettando forse, per uscire, ch’ella spegnesse il lume e si coricasse.
Ella spense il lume ma non si coricò. Seduta presso l’uscio si stringeva una con l’altra le sue dure mani di serva, ancora umide della risciacquatura delle stoviglie, calcando i pollici uno sull’altro per farsi forza; ma di momento in momento la sua inquietudine cresceva, vinceva la sua ostinazione a sperare che il figlio s’acquetasse, che, come un tempo, si mettesse a leggere o andasse a dormire.
Per qualche minuto, infatti, i passi furtivi del giovane prete cessarono: si sentiva solo, di fuori, il rumore del vento accompagnato dal mormorio degli alberi del ciglione dietro la piccola parrocchia: un vento non troppo forte ma incessante e monotono che pareva fasciasse la casa con un grande na-stro stridente, sempre più stretto, e tentasse sradicarla dalle sue fondamenta e tirarla giù.
La madre aveva già chiuso la porta di strada con due spranghe incrociate, per impedire al diavolo, che nelle notti di vento gira in cerca di anime, di penetrare in casa: in fondo però credeva poco a queste cose, e adesso pensava con amarezza, e con vaga derisione verso se stessa, che lo spirito maligno era già dentro la piccola parrocchia; che beveva alla brocca del suo Paulo e si aggirava intorno allo specchio di lui appeso accanto alla finestra.
Ecco che infatti Paulo si moveva di nuovo; forse era appunto davanti allo specchio, sebbene ai preti ciò non sia permesso. Ma che cosa non si permetteva Paulo, da qualche tempo in qua?
La madre ricordava di averlo spesso sorpreso, in quegli ultimi tempi, a specchiarsi a lungo come una donna, a pulirsi e lucidarsi le unghie, a spazzolarsi i capelli che si tirava in su dopo averli la-sciati crescere, quasi cercando di nascondere il sacro segno della tonsura.
Egli poi usava dei profumi, si puliva i denti con polveri odorose e si passava il pettine persino sulle sopracciglia…
Le sembrava di vederlo, adesso, come se la parete divisoria si fosse spaccata: nero sullo sfondo della sua camera tutta bianca, alto, fin troppo alto, dinoccolato, andava e veniva col suo passo distratto di ragazzo, inciampando e scivolando spesso, ma tenendosi sempre in equilibrio. Aveva la testa un po’ grossa sul collo sottile, e il viso pallido oppresso dalla fronte prominente che pareva co-stringesse le sopracciglia ad aggrottarsi per lo sforzo di reggerla e gli occhi lunghi a star socchiusi; mentre le mandibole forti, la bocca grande e carnosa e il mento duro parevano a loro volta ribellarsi con sdegno a questa oppressione, senza però potersene liberare.
Ma ecco che egli si fermava davanti allo specchio, e tutto il suo viso diventava luminoso perché le palpebre si sollevavano e nella trasparenza degli occhi castanei la pupilla raggiava come un diamante.
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La madre si compiaceva, in fondo, nel suo cuore di madre, a vederlo così, bello e forte; quando il passo furtivo di lui la richiamò alla sua pena.
Egli usciva, non c’era più dubbio, usciva. Aprì l’uscio della sua camera. Si fermò di nuovo. Forse tendeva anche lui l’orecchio ai rumori intorno. Solo il vento continuava a sbattersi contro la casa.
La madre tentò di alzarsi, di gridare.
“Figlio, Paulo, creatura di Dio, férmati.”
Ma una forza superiore alla sua volontà fermava lei. Le ginocchia tremavano, come cercando di ribellarsi a quella forza infernale: le ginocchia tremavano, ma i piedi non volevano muoversi; era come se due mani possenti li fermassero al pavimento.
Così il suo Paulo poté scendere silenzioso la scaletta, aprire la porta e andarsene: il vento parve portarselo via d’un colpo. Solo allora ella riuscì ad alzarsi, a riaccendere il lume, ma anche questo con difficoltà, perché gli zolfanelli lasciavano lunghe scie di luce violetta sul muro ov’ella li sfrega-va ma non si accendevano.
Finalmente la piccola lucerna d’ottone sparse un velo di luce nella cameretta nuda e povera come quella di una serva, ed ella aprì l’uscio e si sporse, ascoltando. Tremava; eppure si moveva tutta d’un pezzo, dura, legnosa, con la testa grossa sul corpo bassotto e forte che, rivestito d’un panno ne-ro scolorito, pareva ritagliato a colpi di scure dal tronco d’un rovere.
Dall’alto del suo uscio ella vedeva la scaletta di ardesia, ripida fra le pareti bianche, e in fondo la porta che il vento scuoteva sui cardini. Vide le stanghe levate da Paulo appoggiate al muro, e fu presa da un impeto d’ira.
No, voleva vincere il demonio. Depose il lume sull’alto della scaletta, scese e uscì anche lei.
Il vento la investi con violenza, gonfiandole il fazzoletto e le vesti; pareva volesse costringerla a rientrare: ella si legò forte il fazzoletto sotto il mento, e procedé a testa bassa come per dar di cozzo all’ostacolo: così rasentò la facciata della parrocchia, il muro dell’orto e la facciata della chiesa: arrivata all’angolo di questa, si fermò. Paulo aveva svoltato di là e attraversava quasi di volo, come un grande uccello nero, con le falde del mantello svolazzanti, il prato che si stendeva davanti ad una casa antica addossata quasi al ciglione che chiudeva l’orizzonte sopra il villaggio.
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