Attraversò le stanzette seguendo quel sentieruolo di luce, inciampò sullo scalino dell’uscio di cucina e arrivò fino al focolare con le mani tese in avanti come per salvarsi dalla caduta.

“E perché siete ancora alzata?”, domandò con tono brusco.

La madre si volse, pallidissima nel viso, ancora improntato dalla maschera del sogno; era ferma, però, quieta, quasi dura: i suoi occhi cercavano gli occhi del figlio, mentre lui sfuggiva quello sguardo.

“Ti aspettavo, Paulo. Dove sei stato?”

Egli sentiva che qualunque parola che non fosse la verità, sarebbe stata fra loro due una commedia inutile: eppure bisognava mentire.

“Da una malata”, rispose subito.

La sua voce forte parve per un attimo dissipare il cattivo sogno. Un attimo. La madre s’illuminò di gioia: poi l’ombra le ricadde sul viso, sul cuore.

“Paulo”, disse piano, abbassando gli occhi con un senso di vergogna, ma senza esitare oltre, “av-vicinati, devo parlarti.”

E sebbene egli non s’avvicinasse, continuò sottovoce, come parlandogli all’orecchio: “Lo so, dove sei stato. È da parecchie notti che ti sento uscire; e questa sera ti son venuta appresso, e ho veduto dove entravi. Paulo, pensa a quel che fai”.

Egli taceva: pareva non avesse sentito. La madre tornò a sollevare gli occhi; lo vide alto sopra di lei, d’un pallore di morte, immobile sulla sua ombra sul muro come Cristo sulla croce.

E avrebbe voluto che egli gridasse, protestando la sua innocenza.

Egli invece ripensava al grido dell’anima sua davanti alla porta della chiesa: ed ecco che Dio l’aveva inteso e gli mandava incontro la madre stessa per salvarlo. Desiderò piegarsi, caderle sul grembo, pregarla di condurlo subito via così un’altra volta dal paesetto; e nello stesso tempo sentiva il mento tremargli per l’umiliazione e la rabbia: umiliazione di vedere la sua debolezza scoperta; rabbia di essere stato sorvegliato e spiato. Eppure soffriva anche per il dolore che dava a lei.

Pensò subito che non solo bisognava salvarsi, ma salvare anche le apparenze.

“Mamma”, disse avvicinandosi e posandole una mano sulla testa; “vi dico che sono stato da una malata.”

“Non vi sono malati in quella casa.”

“Non tutti i malati stanno a letto.”

“E allora tu sei malato più della donna che vai ad assistere, e bisogna che ti curi. Paulo, io sono una donna ignorante, ma sono tua madre: e ti dico che il peccato è una malattia peggiore di ogni altra perché intacca l’anima. Eppoi”, aggiunse prendendogli la mano e tirandolo giù perché egli si piegasse e ascoltasse meglio, “non sei tu solo che devi salvarti, figlio di Dio… Pensa che non devi perdere l’anima di lei… e neppure portarle danno in questa vita.” Egli si era piegato alquanto, ma tosto si raddrizzò come una verga d’acciaio: la madre lo aveva colpito al cuore. Sì, era vero, in tutta quell’ora d’inquietudine, dopo lasciata la donna, non aveva pensato che a sé solo.

11

Tentò di ritirare la mano, da quella dura e fredda di lei, ma la sentì stretta in modo insostenibile; ed ebbe l’impressione di essere legato, arrestato, condotto in carcere.

Di nuovo pensò a Dio. Era Dio che lo legava; bisognava lasciarsi condurre; ma provava anche l’irritazione e la disperazione dell’arrestato colpevole, che non vede via di scampo.

“Lasciatemi”, disse aspro, ritirando a forza la mano, “non sono più un ragazzo, e vedo da me il mio bene e il mio male.”

Allora la madre si sentì gelare tutta: le parve ch’egli le avesse confessato il suo errore.

“No, Paulo, tu non vedi il tuo male. Se tu lo vedessi non parleresti così.”

“E come dovrei parlare?”

“Dovresti non gridare, e dirmi che non c’è nulla di male, fra te e la donna. Invece, questo tu non dici, perché in tua coscienza non puoi dirlo: e allora è meglio che tu non parli.