Quei rintocchi lo chiamavano: egli non vedeva più nulla delle cose esterne, sebbene cercasse di sfuggire alle sue cose interne; l’odore della sua camera gli dava un turbamento fisico; i ricordi lo pungevano tutto. Quei rintocchi lo chiamavano, ma egli non si decideva a lasciare la sua camera, e vi si aggirava quasi rabbiosamente: si avvicinò e tosto si allontanò dallo specchio: aveva un bel fuggire; l’immagine della donna gli stava dentro come la sua nello specchio; egli poteva rompersi in mille pezzi: ogni pezzo l’avrebbe conservata intera.

Il secondo tocco della Messa insisteva, sollecitandolo; egli andava qua e là cercando qualche cosa che non trovava. Finalmente sedette davanti al tavolino e cominciò a scrivere.

Dapprima copiò i versetti della porta stretta “entrate per la porta stretta, ecc…” poi li cancellò e sul rovescio del foglietto scrisse: “La prego di non aspettarmi più. Noi ci siamo avvolti scambievol-mente in una rete d’inganni: bisogna tagliare subito per liberarsi, per non cadere a fondo. Io non verrò più: mi dimentichi, non mi scriva, non cerchi di vedermi più”.

Scese e chiamò la madre nel corridoio d’ingresso: le porse la lettera. senza guardarla.

“Portatela subito”, disse con voce rauca, “procurate di consegnarla a lei, e venite via subito.” Si sentì portar via dalle mani la lettera e corse fuori, di nuovo momentaneamente sollevato.

La campana suonava già il terzo tocco, sopra il paesetto silenzioso, sopra le valli ancora grigie del grigio argenteo dell’alba.

Figure di vecchi paesani, col bastone di radica appeso al polso con una correggia, e di donne dalla testa quadrata grossa sul corpo piccolo, venivano su dalla strada in pendio e pareva salissero dalla profondità della valle.

Quando tutti furono dentro la chiesetta, e i vecchi presero posto sotto la balaustrata dell’altare, un odore di selvatico si sparse intorno.

Antioco, però, il sagrista adolescente, che assisteva la Messa, agitava il turibolo mandando il fu-mo verso i vecchi per allontanarne la puzza.

A poco a poco una nuvola d’incenso divise l’altare dal resto della chiesetta, e il sagrista bruno nel suo càmice bianco, e il prete pallido nei suoi paramenti di broccato rossastro vi si mossero in mezzo come in una nebbia perlata.

A tutti e due piaceva molto il fumo e l’odore dell’incenso, e ne facevano un grande uso. Volgendosi verso la navata, il prete chiudeva gli occhi come non vedesse bene attraverso quella nebbia: indi aggrottava la fronte. Pareva scontento dello scarso numero dei fedeli, e che ne aspettasse altri.

Qualche ritardatario infatti arrivava: arrivò in ultimo anche la madre, ed egli si fece pallido fin sulle labbra.

La lettera era dunque consegnata, il sacrifizio compiuto: un sudore di morte gli inumidiva le tem-pia; e quando consacrò l’ostia gemette tra sé: “Dio mio, vi offro la mia carne, vi offro il mio sangue”.

E gli parve di veder la donna, anche lei col foglietto in mano come un’ostia consacrata: leggeva e cadeva a terra tramortita.

Finita la Messa s’inginocchiò stanco, recitando con voce monotona una preghiera in latino; i fedeli rispondevano, ed egli provava un’impressione di sogno, un desiderio di buttarsi giù bocconi ai piedi dell’altare e dormire come un pastore sulla nuda roccia.

Vedeva tra il fumo dell’incenso, dietro il vetro della nicchia, la piccola Madonna che il popolo credeva miracolosa, nera e fine come un cammeo entro un medaglione: e la guardava, con l’impressione di rivederla solo allora, dopo lungo tempo, dopo una lunga assenza. Dove era stato, in tutto quel tempo? Non ricordava bene, aveva la mente confusa: ma d’un tratto si scosse, s’alzò, si volse, e, cosa del resto non nuova ma non troppo frequente, si mise a parlare ai fedeli. Parlava in dialetto, con voce aspra, come sgridasse i vecchi paesani che sporgevano il viso barbuto fra gl’intercolunnii della balaustrata per ascoltare meglio, e le donne che stavano accovacciate per terra tra curiose e 18

paurose. Il sagrista, col libro sul braccio, lo guardava coi lunghi occhi bistrati, poi guardava i fedeli e scuoteva la testa come per minacciarli scherzosamente.

“Sì”, diceva il prete, “il vostro numero è sempre più scarso: se io mi volgo ho quasi vergogna a guardare: mi sembra d’essere un pastore che ha perduto le sue pecore. Solo la domenica la chiesa è un poco più piena; ma si direbbe che venite più per scrupolo che per credenza; per abitudine e non per bisogno; come vi mutate d’abito, come vi riposate. Ebbene, è tempo di svegliarsi: è tempo di svegliarsi tutti. Non dico che vengano qui, tutte le mattine, le madri di famiglia, e gli uomini che avanti l’alba devono andare al lavoro; ma le giovani donne, i vecchi, i fanciulli, tutti quelli che io adesso uscendo di chiesa vedrò sulle soglie delle loro porte a salutare il sole nascente, tutti devono venire qui a cominciare la giornata con Dio, a salutare Dio nella sua casa, e prendere forza per il tratto di strada da percorrere.