La mano rossa

Edgar Wallace

La Mano Rossa

The Fourth Plague © 1913

Il Giallo Economico Classico - N° 108 - 23 marzo 1996

Personaggi principali

Sir Ralph Morte-Mannery

magistrato integerrimo

Vera

sua moglie

Marjorie Meagh

sua nipote

Conte Festin

una figura enigmatica

Antonio Tillizzini

criminologo italiano

Frank Gallinford

ingegnere

Crock

ispettore di polizia

1.

Sir Ralph, il magistrato

Era proprio una cosa assurda chiamare quell’affare: “Il processo della Mano Rossa”, perché la Mano Rossa non vi aveva preso alcuna parte, almeno per quel che si riferiva al furto.

Il furto era dei più banali e di esso era stato incolpato un abitante del comune di Burboro. Nelle prime ore del mattino costui era stato scoperto nascosto dentro una casa; aveva dato spiegazioni insufficienti e incoerenti al robusto maggiordomo che lo aveva scoperto e, a parte quella sua sconclusionata storiella, che fosse stato cioè un misterioso italiano a mandarlo là, non vi era nessun altro indizio che indicasse che quel lavoro era opera della terribile società che da qualche tempo teneva in scacco tutta la magistratura.

Ma sarebbe stato ugualmente assurdo e ingiusto affermare che i giornali facevano del puro “sensazionalismo” chiamando quell’affare “Il processo della Mano Rossa”. Infatti, dopo tutto vi era quel misterioso italiano immischiato e in quei tempi di terrore questo bastava a giustificare un simile titolo.

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La sala del tribunale dove si svolgeva il processo rigurgitava di curiosi, tanto era l’interesse che aveva destato. Tutto il cosiddetto bel mondo era presente. La signora Morte-Mannery occupava, come era suo diritto, uno dei posti privilegiati; la maggior parte dei parenti di questo casato, venuti apposta in automobile dall’est di Mannery, occupavano le poltrone che sarebbero spettate agli avvocati e ai rappresentanti della stampa, uno dei quali, indignato, si lagnava apertamente di questa invasione nel loro già ristretto territorio.

Ma sir Ralph Morte-Mannery, presidente della Sessione, non ammetteva le critiche e, benché poi in pratica non seguisse sempre la sua teoria, era convinto che la stampa non fosse che una montatura e che fosse bene far vedere a quei signori in qual conto li tenesse.

Hilary George, cavaliere della Corona, sedeva, benché semplice spettatore, coi suoi colleghi di toga; curioso di veder funzionare la macchina della giustizia, e di constatare come questa fosse concepita da sir Ralph.

Poiché le sentenze di sir Ralph erano famose; e molte erano quelle già annullate o ridotte in Corte d’Appello. Sir Ralph era forse l’uomo più odiato di tutto il paese. Le madri spaventavano i loro ragazzi turbolenti minacciandoli di riferire le loro marachelle a sir Ralph. Era il terrore dei ladruncoli e lo spauracchio dei vagabondi, dei senza tetto e di tutti i pericolosi individui di ogni specie.

Era un uomo di piccola statura, tutto ossa; i vestiti benché accurati nel taglio sembravano appesi al suo corpo: il volto era magro, lungo, bianco e solenne, e le labbra gli si incurvavano tristemente agli angoli. Portava un paio di occhiali, montati in oro, e questi formavano un tale angolo sul suo lungo naso che veniva spontaneo pensare che fossero stati messi là, anziché per aiutare, per impedire la vista. I capelli erano bianchi e radi e portava un paio di baffi color grigio sporco. La sua voce, quando parlò, si fece querula, quasi lamentosa, dando l’impressione che lui provasse un vero risentimento personale contro quel povero diavolo che era là sul banco per averlo obbligato a lasciare la sua comoda biblioteca per quella sudicia sala mal ventilata.

Sir Ralph era un uomo sulla sessantina; sua moglie invece, supremamente bella nella sua giacchetta di velluto nero e con quel suo grande cappello pure nero rischiarato solo da una grande piuma bianca, aveva trent’anni meno di lui. Una magnifica donna, giunonica, maestosa, Edgar Wallace

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imponente. Le sue labbra, quando erano a riposo, erano sottili e diritte e, a dir il vero, persino un poco sdegnose. Così almeno pensavano molti e fra questi, per primo, Hilary George, audace cavaliere e cacciatore, il quale, per impiegare la fraseologia dei campi, diceva che non aveva mai visto quelle labbra “prendere”.

Era bella, ma scontenta; aveva sposato cinque anni prima sir Morte-Mannery con l’assoluta certezza che in tal modo sarebbe sfuggita, per sempre, all’atmosfera di stretta penuria che aveva circondato la sua giovinezza, che avrebbe dato un eterno addio a tutte le privazioni, a tutte le economie, a tutto quel borghese e scipito “far credere”, al quale una madre che aveva delle aspirazioni sociali, ma una rendita di sole centocinquanta sterline, l’aveva abituata.

Ben presto però Vera Forsyt da un’esistenza di penuria dovuta alle circostanze era passata a un’esistenza di penuria praticata per amore. Sir Ralph infatti era un uomo meschino, una specie di piccolo avaro; sembrava che si fosse messo in testa che praticando l’economia del centesimo sarebbe stato, per diritto divino, erede milionario.

Nel primo anno del loro matrimonio a lei era sembrato che il marito non sarebbe mai riuscito a liberarsi da quell’eterno libro di conti. Sir Ralph, poi, credeva fermamente nell’utilità di tenere la contabilità domestica.

Sapeva meglio di lei il prezzo corrente delle patate, con pena seguiva il progressivo aumento del conto del droghiere; lui stesso si era assunto l’incarico di controllare ogni più piccola spesa.

Ora la donna osservava con curiosità suo marito seduto su quell’imponente seggio: per lei quell’uomo era ancora e sempre fonte di nuovo interesse, un interesse di cui lei aveva bisogno per sostenersi nello sforzo della vita quotidiana con lui.