Hm, già… all’occasione, verrò di nuovo a trovarti, Lisa». Cercò meccanicamente il suo borsellino.

«Ti ho già detto che non ho bisogno di danaro», proruppe l’altra, irata.

Il medico fece un cenno con la mano e si volse verso l’uscita:

«Allora, Lisa, che Dio ti aiuti».

«“Servus” Tadd… “Servus”, Pinguino».

Un momento dopo il medico di corte era in istrada: abbagliato dalla cruda luce del sole, si diresse irritato verso la sua carrozza, per lasciare il più presto possibile il «Nuovo Mondo» e recarsi a pranzo.

***

LA TORRE DELLA FAME.

Sul Hradscin, nella calma silenziosa della corte della grigia «Daliborka» -

della cosiddetta «Torre della Fame» - i vecchi tigli proiettavano già ombre oblique e da una buona ora la casetta del guardiano, abitata dal veterano Vondrejc con una moglie gottosa e il figlio adottivo, Ottokar, un giovane diciannovenne allievo del Conservatorio, era già immersa nella fresca penombra del tardo pomeriggio.

Seduto su di una panchina, il vecchio contava e spartiva su di una tavola marcia un mucchio di monete di nichel e di rame, rappresentanti le mancie ricevute in quella giornata dai visitatori della torre. Ogni volta che giungeva fino a dieci, con la sua gamba di legno faceva un segnò per terra, sulla sabbia.

«Due fiorini e ottantasette kreuzer», borbottò alla fine, con aria scontenta, rivolto al figlio adottivo che, appoggiato ad un albero, era affaccendato a spazzolarsi con forza delle macchie alle ginocchia del suo vestito nero. Poi comunicò la notizia attraverso la finestra aperta della stanza, a voce alta, in tono quasi militare, a sua moglie.

Dopo di che, con la testa calva coperta fino alla nuca da un berretto verdastro da maresciallo, simile ad un burattino cui si fosse d’un tratto strappato il filo della vita, passò in uno stato di rigidità esanime, tenendo fissi gli occhi quasi ciechi sui fiori caduti dagli alberi che, in forma di libellule, ricoprivano il suolo.

Non rilevò nemmeno che il figlio adottivo aveva preso dalla panchina l’astuccio col violino, si era aggiustato il berretto di velluto e stava avviandosi verso il portone d’uscita, dipinto a strisce gialle e nere a mo’ di caserma.

E nemmeno rispose al suo saluto.

Lo studente aveva presa una via che conduceva giù, la Tunchengasse, ove era situato il piccolo, tetro palazzo abitato dalla contessa Zahradka; ma, come colto da un sùbito pensiero, si fermò pochi passi dopo, diede una occhiata al suo vecchio orologio da tasca, si voltò, e a passi rapidi, prendendo come al solito la scorciatoia attraverso i prati in salita dell’Hirschgraben, raggiunse il «Nuovo Mondo» ove, senza bussare, entrò nella stanza di Lisa la boema.

La vecchia era così immersa nei ricordi di gioventù, che lì per lì parve non capire che cosa il giovane volesse.

«Il futuro? Che vuol dire: ‘il futuro’?» mormorò, con aria assente, afferrando solo le ultime sue parole, «futuro? Ma non esiste, un futuro!». Ora lo esaminava lentamente dall’alto in basso. Gli alamari dell’abito nero dello studente dovettero indurla in errore. «Perché oggi non ci sono i galloni dorati? Quelli da maresciallo di corte?», chiese a mezza voce, sempre trasognata. «Aha, “pan Vondreic mladsi”. Aha, è il nostro giovane signor Vondrejc che vuol conoscere il futuro! Così!» solo ora comprese chi le stesse dinanzi.

Senza far parola, si diresse verso il canterano, si curvò, trasse da sotto il mobile una tavola ricoperta da uno strato di creta rossastra da scultore, la pose sul tavolino, porse allo studente uno stile di legno, dicendo: «Ecco!

Faccia ora dei tratti, signor Vondrejc! Da destra a sinistra. Ma senza contare.

Pensi solo a ciò che vuole sapere! In sedici linee, l’una sotto l’altra».

Lo studente prese lo stile, chiuse gli, occhi, esitò un istante, poi, divenuto di colpo pallido per l’interna emozione, fece affrettatamente con mano tremante una serie di tratti nella creta molle.

Lisa la boema li contò, sotto lo sguardo ansioso del giovane, scrisse su di una tavoletta, in colonna, le cifre, le une a lato delle altre e le une sotto le altre, e ordinò i risultati ottenuti secondo figure geometriche all’interno delle molteplici ripartizioni di un quadrato, mormorando meccanicamente:

«Queste sono le madri, le figlie, i nipoti, i testimoni, il rosso, il bianco e il giudice; e qui code di draghi e teste di draghi: tutto come si richiede nella antica arte dei punti dei Boemi. Così l’abbiamo appresa dai Saraceni, prima che essi fossero sterminati nelle battaglie del Weisser Berg: assai prima dei tempi della regina Libuscha. Sì, sì, il Weisser Berg ne ha bevuto, di sangue umano…

La Boemia è il focolare di ogni guerra.