biografici su quel capo- gabinetto e sul suo ministro spiegheranno questa anomalia.
Giovanni Vialis, appena ventottenne, realizza va veramente il tipo del genere di servitori ricercato da Mazarino. “È felice, costui?” domandava anzitutto il giudizioso cardinale. Felice, infatti, era sempre stato quel giovane intelligente e leale; felice, almeno nel disegno visibile della sua sorte. Era uscito da una vecchia famiglia di proprietari di terre del Nivernese, divenuta opulenta per la sua partecipazione all’impresa delle ferriere d’Imphy. La sua fortuna aveva voluto che suo padre lo allevasse affettuosamente, ma severamente. Giovanni era stato messo prima nel collegio di Nevers, poi, come interno, al liceo Louis-le-Grand, a Parigi. Vi si era appassionato per le belle lettere, tanto che all’uscire dal collegio, premiato quattro o cinque volte nel Concorso generale, aveva potuto prepararsi alla licenza, cominciando già il corso di legge. Era stato licenziato primo nella sessione di luglio, durante l’estate stessa nella quale scoppiò la guerra franco- tedesca. Arruolato fin dal primo giorno, ebbe una condotta tanto brillante, che, quando Parigi fu liberata dalla Comune, poté ritornare all’Università di legge con un nastro rosso all’occhiello della sua giacchetta da studente. Aveva pagato il suo tributo al comune dolore umano perdendo quasi subito il padre e la madre. Ma quegli ottimi genitori, sapendosi ammalati, e per prolungare la loro protezione sul loro figliolo, l’avevano - ultimo benefizio loro! - unito in matrimonio con una deliziosa creatura di loro scelta, la quale lo aveva confortato col suo amore in quella circostanza, l’unica dolorosa in un’esistenza continuamente felice. Si può forse calcolare come un dolore la sorpresa di avere udito per caso, a sei anni, raccontare da due donne di servizio che un suo zio, il quale soleva viziarlo molto, si era ucciso con una pistolettata? Quelle ragazze ripetevano: “Il signor Andrea Vialis si è ucciso!” - Si è ucciso! Quelle poche sillabe avevano stupito il fanciullo troppo sensibile, che se le era ripetute indefinitamente, con un brivido di spavento immaginativo, confessato un giorno a sua madre. Egli non sapeva che quell’ingenua confessione aveva deciso suo padre a metterlo in collegio. “Bisogna virilizzarlo, lui!” Queste parole del fratello del suicida, Giovanni non le aveva nemmeno sospettate, né aveva potuto pensare che quella catastrofe di famiglia dovesse avere un’influenza assai benefica sul suo avvenire. Essa gli assicurava infatti quell’educazione più maschia di cui il suo temperamento troppo simile a quello dello zio, dal punto di vista dell’emotività, aveva certamente bisogno. Il collegio gli aveva giovato tanto, che, avendo avuto anche la fortuna di vedersi nascere un figlio, fin dal primo anno del suo matrimonio, aveva annunziata l’intenzione di educarlo allo stesso modo. “Il collegio è una scuola di energia”, diceva a sua moglie, che già era tormentata dal pensiero di una futura separazione dal suo Gianmaria.
Avevano chiamato così il loro figliolo, per dargli un nome che unisse i loro due, simbolo di una passione reciproca, rimasta - nel 1877, e dopo cinque anni - ardente come nei primi giorni. Quando tornavano da qualche festa, la sera, stretti l’uno all’altra nel loro piccolo coupé, lui orgoglioso della bellezza e della grazia della sua giovane moglie, che come sempre era stata molto ammirata, - lei commossa nel ritrovarsi sola con lui e nel vederlo tanto affettuoso, - accadeva loro di confessarsi ad alta voce il comune pensiero, la comune speranza di avere una bambina, ora… una Giovanna- Maria che si trastullasse con Gianmaria.
“Saremmo troppo felici!” diceva lei; e i suoi profondi occhi azzurri s’oscuravano quando soggiungeva: “Avrei paura!”.
Frattanto, a quell’intima felicità del focolare domestico, venivano ad aggiungersi dei successi di carriera. Imparentato per parte sua e per parte di sua moglie, nata Taraval, con personaggi del partito conservatore, Giovanni Vialis s’era trovato già arruolato nella squadra di giovani ingegni che si raccolsero, dopo le dimissioni di Thiers, intorno ai capi d’un supremo sforzo di difesa sociale che fu poi anche troppo giustificato. Uno degli uomini più importanti del ministero del 16 maggio si era assicurata la sua devozione con la promessa di farlo entrare immediatamente, e addirittura dall’alto, nella diplomazia, se le elezioni fossero riuscite favorevoli, come speravano fermamente tutti i familiari dell’Eliseo.
Quel patrono di Giovanni Vialis era un nuovo venuto nella politica, al quale il 16 maggio aveva dato il primo portafoglio. Grande industriale, egli pure del Nivernese, era stata mandato all’Assemblea di Bordeaux, a cinquantasei anni suonati, dallo scrutinio del febbraio 1871. Il maggior pericolo di tali ingressi alla Camera, un po’ tardivi, non consiste nella presunzione dell’incompetenza che crede di saper tutto. Essa urta prestissimo contro le realtà, e s’infrange. Consiste, invece, in un eccesso di diffidenza che finisce in un abuso della riflessione. L’esordiente in politica, se ha dell’amor proprio e del criterio, si fissa così delle regole di condotta, sagaci in fondo, poiché risultano da osservazioni serie, da letture storiche, da prudenti conversazioni; ma il nostro coscritto del Parlamento le applica in un modo troppo sistematico. Ora egli crede troppo poco, ora invece crede troppo all’influenza dei piccoli mezzi. Questo errore, appunto, era quello dell’uomo di Stato, rientrato poi nella vita privata, dopo l’insuccesso dell’ottobre 1877, principalmente per effetto del dramma di cui quest’analisi è il prologo obbligatorio. Si capirà fra poco perché il suo nome non deve essere detto. In virtù di una di quelle regole, egli aveva scelta per capo del suo gabinetto un figlio di famiglia, ricca, elegante, che sarebbe passato facilmente per un dilettante desideroso di occuparsi o per un vanitoso in cerca di onori. Chi si sarebbe accorto della sua vera funzione, della quale egli stesso non avrebbe indovinata la natura? Egli avrebbe creduto alla simpatia del ministro, mentre questi si proponeva di servirsene per coprire le sue più delicate relazioni politiche e quasi poliziesche.
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