L’uomo di Stato soleva dare i suoi appuntamenti più gravi e più segreti in casa dei Vialis, a pianterreno di un vecchio palazzo di via San Domenico, dove quella coppia di innamorati nascondeva la sua onesta felicità. Durante quel periodo di lotta accanita in cui i partiti si spiavano a vicenda con uguale animosità, egli incontrava in quella casa, e sempre con dei pretesti fallaci, certi agenti che considerava come compromettenti se li avesse ricevuti al ministero oppure nel suo domicilio privato. Un’altra delle sue massime: “L’uomo di Stato non ha mai troppi alibi”. Certe corrispondenze, particolarmente clandestine, gli giungevano sotto il nome del giovane, che conservava d’altronde la più intera libertà nei suoi rapporti di società o d’amicizia. Quella libertà, il suo principale non s’accontentava di lasciargliela: gliela imponeva. È questa la spiegazione dell’anomalia a cui accennavo: - il salotto di quel favorito d’un ministro di combattimento, aperto indistintamente a visitatori di tutti i partiti. L’ex- industriale, che andava machiavellizzandosi, - mi si perdonerà questo neologismo che qui è necessario - credeva soprattutto, lo ripeto, nei piccoli mezzi, nella studio dell’opinione, nell’utilità del contatto anonimo con l’avversario. Giudicava che ricevendo specialmente degli amici della sua età - e di un altro ambiente, - Giovanni Vialis potesse informarlo meglio sugli “imponderabili”. Immaginava di essere verista nel pronunciare, strizzando furbescamente le palpebre, quel termine preso a prestito dalla fraseologia bismarchiana e che quasi basterebbe a datare questo racconto. Non eravamo tutti ipnotizzati, allora, dal prestigio dei vincitori del 1870, e specialmente del Cancelliere di ferro? 

Aggiungeremo, per dare il suo carattere di nobiltà a quella figura di ottimo francese, ch’egli voleva essere scaltrissimo, per servire meglio il suo paese, convinto che la sconfitta del radicalismo fosse, per la Francia, una questione di vita o di morte. Egli non era solo, in quel ministero di bravissime persone, ad esagerarsi l’importanza dei minuti calcoli di retroscena. Sainte-Beuve indicò molto pittorescamente l’insufficienza di quei procedimenti di furberia, cari ai parlamentari, nel nostro tempo di brutalità democratica, quando paragonò Guizot e Thiers a due abilissimi giocatori di scacchi intenti a manovrare sapientemente i loro pezzi sul dorso di una balena addormentata. Il mostro si muove un poco. Le masse popolari si agitano. Scacchiera, giocatori e “combinazioni” precipitano in fondo all’acqua. E Sainte-Beuve scriveva questo verso il 1850! Da allora, la balena è cresciuta. 

Fra i compagni di gioventù che frequentavano il salotto dei Vialis, senza nascondere la loro ostilità al 16 maggio, c’era un certo Marcello Faugières. Questo repubblicano appassionato obbediva anch’egli venendo lì, al desiderio di quel contatto con l’avversario, a cui il ministro dava l’importanza di un dogma. Però, Faugières non se ne rendeva conto. Una amicizia nata sui banchi del vecchio collegio Louisle-Grand univa i due giovani, che si erano ritrovati, poi, nell’esercito della Loira. Quei due ricordi: quello delle infantili emulazioni scolastiche e quello del pericolo marziale affrontato insieme, erano più forti che non l’antagonismo delle loro idee, accentuato tuttavia dagli anni e dalla differenza delle loro condizioni. Marcello Faugières era povero. Una magra pensione che gli mandava suo padre, proprietario, al Puy, di una modesta drogheria, gli aveva permesso - attraverso quante privazioni, dell’uno e dell’altro! - di arrivare a laurearsi in legge. Da poco, aveva aperto studio d’avvocato, utilizzando una piccolissima eredità lasciatagli da quel padre, del quale formava tutto l’orgoglio. Fino a qual punto! Chi conosce lo spirito d’economia dei nostri montanari del centro, lo comprenderà da questo semplice particolare: l’invio dello studente del Puy ad un collegio di Parigi, per consiglio di un professore che aveva detto all’umile bottegaio: “Marcello sarà la vostra gloria!” - Marcello, purtroppo, non era ancora che un avvocatuccio senza cause, le cui convinzioni radicali implicavano - contraddizione frequente nei giovani di quel tipo - un’ingenua semplicità ed insieme un duro calcolo. I suoi primi rancori sociali vi trovavano una tregua, e la sua ambizione vi attingeva speranza. Egli era troppo vicino al popolo per non indovinare che l’avvenire, in un regime fondato sul suffragio universale, era a sinistra. Quando usciva da un ricevimento in casa Vialis, le sue larghe spalle si alzavano, al ricordo dei discorsi chimerici che aveva uditi in quel salotto. Il frequentare quei rappresentanti delle classi così dette dirigenti, e il constatare la loro ignoranza delle correnti sottomarine del paese, davano forza alla certezza ch’egli aveva della loro sconfitta e del sicuro trionfo dei 363. Molti si ricordavano del magistrale “colpo di partito” mediante il quale i capi dell’opposizione, sostenendo quel numero, fecero approvare da un plebiscito il più equivoco dei programmi. I lavori oscuri e lunghi a cui si dedicava non permettevano a Faugières di formarsi relazioni che gli avrebbero offerte le probabilità di una candidatura.