La Regina Delle Tenebre
Grazia Deledda
LA REGINA DELLE TENEBRE
INDICE
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La regina delle tenebre
Il bambino smarrito
Le due giustizie
La giumenta nera
Sarra
I primi baci
LA REGINA DELLE TENEBRE
A venticinque anni, bella, ricca, fidanzata, senza aver mai provato un dolore veramente grande, un giorno Maria Magda si sentì improvvisamente il cuore nero e vuoto.
Fu come il principio d’un malore fisico, che andò di giorno in giorno aumentando, allargandosi, spandendosi.
Ella era felice in casa sua, e un’altra felicità l’aspettava. Ma per raggiungere la nuova felicità, doveva abbandonare l’antica, e le sembrava che allora il rimpianto della famiglia lontana, della dolce casa paterna, della libertà perduta, della patria abbandonata, le avrebbero dato una indicibile nostalgia, avvelenandole la nuova felicità. C’erano ore nelle quali, specialmente di notte, al buio, ella provava una profonda angoscia, vivendo nel futuro. Allora riapriva gli occhi, guardava intorno la camera soffusa di dense penombre, e pensava:
- No, non lascierò nulla, non abbandonerò nulla, mai, mai!
E allora? E il sogno d’amore da lunghi anni accarezzato? Ah, la felicità presente era incompleta, non era neppure felicità al paragone dell’altra. E in certe ore, specialmente nei teneri vespri di viola, ella si struggeva, come mai, nel desiderio del caro lontano.
Talvolta pensava che la vera felicità poteva essere nel fondersi assieme del presente e del futuro, nel viver assieme allo sposo nella casa paterna.
Ma era un lampo di luce, al quale seguiva una tenebra fitta e paurosa. Sì, ebbene, e poi? E poi, ella sentiva che, dopo, due, tre, dieci mesi, l’amore morrebbe (forse era già agonizzante, se ella, non ancora sposa, ne prevedeva nitidamente la fine), e da quel gran sogno ne uscirebbero un uomo e una donna legati dalla legge degli uomini, non più da quella del cuore. Ma anche ciò poteva non accadere: sì, si sarebbero amati sempre, come nei romanzi, sarebbero stati sempre felici, sì, ebbene, e poi? E poi tutto doveva cadere, il tempo passava, la morte veniva. Ah, era questo il male di Magda, o almeno, in certe ore d’analisi, a lei pareva fosse questo il suo male.
Ella sentiva il tempo passare, sentiva la vanità d’ogni cosa, e in fondo aveva una terribile paura della morte. Questa paura le avvelenava la vita, la vita alla quale, ella, che pur credeva di dominar gli eventi con lo scrutare il passare inesorabile del tempo, era così tenacemente attaccata. L’idea della fine le gelava in cuore ogni slancio, ogni gioia, le essiccava ogni idea di piacere.
Così ella almeno credeva.
Cominciò a diventar cupa, raccolta. Se andava in società, se nei divertimenti si stordiva, al ritorno provava un cupo disgusto di se stessa. Ebbene, ecco che il divertimento era passato: perché ella s’era stordita così scioccamente, dimenticando che il tempo passava?
E se poi l’istinto la trascinava a ricordare, e ricordando a sentir ancora la soddisfazione dei suoi trionfi, della sua eleganza, del suo lusso, un demone le ghignava dentro, sbeffeggiandola. Allora ella si ritraeva disgustata, meravigliata del come s’abbandonava ai piccoli pensieri della vanità femminile.
Cominciò a non uscir più neppure a passeggio: solo andava in campagna, tuffandosi come in fragrante lavacro nella visione della sacra natura, ch’ella 1
intuiva e capiva potentemente; ma neanche allora si sentiva serena; anche là la perseguitava l’idea del tempo fuggente, della vanità delle cose.
Chi maggiormente risentivasi della malattia morale di Magda era il fidanzato lontano. Ella non gli scriveva più, o gli scriveva lettere aspre, rinfacciandogli strane cose. Lo trovava volgare, e spesso, irritata contro le miserie del mondo e le perfidie della società, riversava sopra di lui tutta la sua amarezza. Poi se ne pentiva, ma era un pentimento debole e fugace. Un giorno, finalmente, esaminandosi bene, credé trovar la causa del vuoto tenebroso che la circondava. Le parve di non amar più il fidanzato, e alla vigilia delle nozze ruppe il lungo sogno da lunghi anni accarezzato. La chiamarono pazza, e infatti, sotto gli archi congiunti delle sue sopracciglia nere aggrottate, gli occhi nerissimi avevano un pauroso fulgore di follia.
Anch’essa credeva di esser pazza, talvolta, e disperava di tutto. Fu in quel tempo che la sua esistenza si fece del tutto strana.
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