Ricevetti lettere di congratulazioni delle mie sorelle e di molti altri. Seppi che a tenere il sermone sarebbe stato un certo signor Sornin, vicario di Saint-Roch e che il signor Thierry, cancelliere dell’università avrebbe ricevuto i miei voti. Tutto andò bene sino alla vigilia del gran giorno, a parte il fatto che avendo saputo che la cerimonia sarebbe stata clandestina, che ci sarebbero state pochissime persone e che la porta della chiesa sarebbe stata aperta soltanto ai parenti, per mezzo della suora addetta alla ruota convocai tutte le persone del vicinato, i miei amici, le mie amiche; ottenni anche il permesso di scrivere ad alcuni dei miei conoscenti. Nessuno si aspettava tutta quell’affluenza di gente. Fu necessario, lasciarla entrare, e l’assemblea fu all’incirca quanta ne occorreva per il mio progetto.

Oh, signore, che notte fu quella che precedette la cerimonia! Non mi coricai affatto e rimasi tutto il tempo seduta sul letto. Invocai l’aiuto di Dio: alzavo le mani al cielo, lo chiamavo a testimone della violenza che mi veniva inflitta. Mi raffigurai la parte che dovevo sostenere ai piedi dell’altare, una fanciulla che protestava ad alta voce contro un’azione cui sembrava aver acconsentito, lo scandalo degli astanti, la disperazione delle monache, il furore dei miei genitori. «Oh, mio Dio, che ne sarà di me?…» Pronunciando queste parole mi sentii mancare e caddi svenuta sul guanciale; quando rinvenni fui presa da un grande brivido. Il tremito mi faceva battere le ginocchia, battere i denti rumorosamente. Poi, m’invase una terribile vampata di calore. La mia mente si offuscò. Non ricordo né di essermi spogliata, né di essere uscita dalla cella. Tuttavia fui trovata nuda in camicia da notte, stesa per terra davanti alla porta della superiora, immobile e quasi senza vita. Queste cose le seppi in seguito. Ero stata riportata nella mia cella e la mattina seguente la superiora, la madre delle novizie, e quelle che vengono chiamate le assistenti attorniavano il mio letto.

Ero molto abbattuta. Mi rivolsero alcune domande e si resero conto dalle mie risposte che non ero affatto consapevole di ciò che era avvenuto. Nessuno me ne parlò. Mi chiesero come stavo, se persistevo nella mia santa risoluzione e se mi sentivo in 13

grado di sopportare la fatica della giornata. Risposi di sì, e contrariamente ad ogni loro attesa non vi fu alcun mutamento.

Tutto era stato predisposto fin dal giorno prima. Furono suonate le campane perché tutti quanti sapessero che si stava per creare un’infelice. Il cuore mi batté ancora. Mi sembrava che avessero vinto. Vennero a vestirmi con cura: quel giorno è un giorno di gala. Adesso che ricordo tutte quelle cerimonie, mi sembra che avrebbero avuto qualcosa di solenne e di assai commovente per una giovane innocente che non si fosse sentita portata ad una vocazione diversa.

Fui condotta in chiesa. Si celebrò la santa messa. Il buon vicario il quale supponeva in me una rassegnazione che non avevo affatto, mi tenne un lungo sermone in cui non vi era una sola parola che non fosse in contrasto con i miei sentimenti.