Quando una sirena suonava nel porto, ero felice.”

“Perché gli racconti queste cose?” disse Doro. “Per sopportare i ricordi d'infanzia di un altro, bisogna esserne innamorato.”

“Ma lui mi vuol bene,” disse Clelia.

Chiacchierammo a lungo quella notte, e poi andammo a vedere il mare sotto le stelle. La notte era così chiara che s'intravedeva il biancore del frangente sotto la ringhiera del Passeggio. Io dissi che insomma a tutta quell'acqua non ci credevo e che il mare aveva l'effetto di fermi vivere sotto una campana di vetro. Descrissi il mio ulivo come una vegetazione lunare, anche quando non c'era la luna. Clelia, volgendosi tra me e Doro, esclamò: “Com'è bello! Andiamo a vederlo”.

Ma traversando la piazzetta incontrammo certe conoscenze, e ci toccò raccontare di Mara, e di parole in parole Clelia si dimenticò dell'ulivo e tornarono tutti alla villa per giocare alle carte. Un poco indispettito li lasciai dicendo ch'ero stanco.

In fondo alla piazzetta raggiunsi Berti che non fece a tempo a ricacciarsi nel buio. Io tirai dritto, e fu Berti che mi rivolse la parola.

“Cos'è questo pedinamento?” dissi allora.

L'avevo intravisto un'ora prima sotto alla villa, e aveva sempre ronzato sul Passeggio, a qualche distanza da noi. La giacchetta bianca sulla canottiera spiccava troppo. Lui mi disse - reso ardito dal buio - che aveva sentito di una disgrazia alla pineta e aveva voluto sincerarsi.

 

VI

 

“Come vedi, sono vivo,” gli dissi. “C'era bisogno di venirmi dietro tutta la sera?”

Mi chiese se andavo a dormire. Ci soffermammo sotto l'ulivo, ch'era una macchia nera nel buio. “Dicevano che una signora s'è uccisa,” disse Berti.

“T'interessi anche alle signore?”

Berti guardava la mia finestra, col mento in su. Si volse vivacemente e disse che una disgrazia può decidere un villeggiante a partirsene, e lui aveva pensato che io o i miei amici saremmo partiti.

“È sua parente?” mi chiese.

Capii quella sera che, quando diceva i mici amici, intendeva Clelia e Doro. Mi chiese ancora se Mara era loro parente. L'assurdo sospetto che s'interessasse ai trent'anni di Mara mi fece sorridere. Gli chiesi se la conosceva.

“No,” disse lui. “Così.”

Gli diedi appuntamento per l'indomani alla spiaggia, scherzando sulla sua trovata di leggere in compagnia. “Se credi di farti presentare ragazze, ti sbagli. Mi pare che sai fare da solo.”

Quella notte fumai seduto alla finestra, ripensando alle confidenze di Clelia, indispettito all'idea che mai Ginetta me ne avrebbe fatte di simili. Mi prendevano malinconie che conoscevo. Si aggiunse il ricordo della conversazione con Guido, che finì di avvilirmi. Per fortuna ero al mare, dove i giorni non contano. "Sono qui per svagarmi", pensai.

L'indomani eravamo seduti in cima allo scoglio io e Doro, e sotto di noi Clelia si stava distendendo supina, coprendosi gli occhi. L'ombrellone sulla sabbia era deserto. Riparlammo di Mara e concludemmo che una spiaggia è fatta di donne, e tutt'al più di bambini. Manca un uomo e nessuno ci bada; manca una Mara qualunque, e un crocchio si sfascia. “Guarda,” diceva Doro, “questi ombrelli sono tante case: ci fanno la calza, mangiano, si cambiano, vanno in visita: quei pochi mariti stanno al sole dove li ha messi la moglie. È una repubblica di donne.”

“Si potrebbe dedurne che la società l'hanno inventata loro.”

In quel momento approdò un nuotatore sotto gli scogli. Levò la testa dall'acqua, aggrappandosi.