Quando descrive al marinaio Stefano le bellezze dell’isola, Calibano canta (II, 1): “… ti condurrò dove fioriscono i meli selvatici…, / dove fabbrica il nido la
ghiandaia…; / t’insegnerò come si prende al laccio / l’astuta ed agilissima bertuccia; / … dagli
scogli / ti porterò i giovani gabbiani”. E ancora (III, 2): “L’isola è piena di questi sussurri, / di
dolci suoni, rumori, armonie…/ A volte son migliaia di strumenti / che vibrando mi ronzano agli
orecchi; / altre volte son voci sì soavi, / che pur se udite dopo un lungo sonno, / mi conciliano
ancora con Morfeo, / e allora, in sogno, sembra che le nuvole / si spalanchino e scoprano tesori /
pronti a piovermi addosso; ed io mi sveglio / nel desiderio di dormire ancora”. Se non è poesia questa…
E il mostro-poeta è lui stesso, Shakespeare. I poeti creatori hanno un senso acuto d’essere diversi dall’opera che intraprendono per cantare il mondo in cui operano; e, per converso, hanno un senso altrettanto acuto, e più tormentoso di quanto il primo era superbo, d’essere modificati da quel mondo. Lo Shakespeare della “Tempesta” si sente diverso dallo Shakespeare-Calibano, ma è cosciente di essere stato da quello modificato attraverso uno stadio necessario del suo processo di formazione. Calibano - scrive René Girard nel suo recentissimo saggio su Shakespeare (“Shakespeare - Il teatro dell’invidia” , traduz. di G. Luciani, Adelphi, Milano, 1998, pagg. 547-548) - simboleggia il sentimento non ancora educato, la poesia prima del linguaggio… Prospero che inizia Calibano alla parola è lo stesso Shakespeare che trasforma in opera letteraria, ancor prima del linguaggio, l’ispirazione di questo mostro; costui rappresenta non soltanto ciò che precede la letteratura, ma una modalità di quest’ultima, che l’ultimo Shakespeare (quello della “Tempesta”)
disapprova, anche se riconosce la sua importanza cruciale nel proprio processo creativo. Calibano simboleggia cioè tutta quella parte dell’opera shakespeariana che, popolata da mostri com’è, può apparire essa stessa mostruosa. Shakespeare non ne contesta la qualità poetica, ma individua in essa un elemento di disordine, di acrimonia, di violenza e confusione morale, che retrospettivamente condanna come “mostruoso”.
Da questa “mostruosità” l’ultima tappa di Shakespeare non è la drammaturgia di prima: essa procede più in là, non rappresenta più ma osserva il ristabilirsi della legge, il ricomporsi di un equilibrio della normalità, il riaffiorare di quelle necessità elementari di pace serena che l’ondata dello spirito sfrenato sembrava aver definitivamente sommerso; “gli incantesimi sono finiti”-
annuncia al pubblico l’Epilogo, che propone così una fondamentale fiducia nell’uomo, nelle forze elementari e ragionevoli che governano la sapienza umana.
Prospero/ Shakespeare è l’uomo dell’Umanesimo e del Rinascimento.


P E R S O N A G G I
ALONSO
re di Napoli
SEBASTIAN suo
fratello
PROSPERO
legittimo Duca di Milano
ANTONIO
suo fratello e usurpatore del Ducato di Milano
FERDINANDO
figlio del re di Napoli
GONZALO
vecchio e probo consigliere del re
ADRIANO
gentiluomini
FRANCESCO
CALIBANO
schiavo selvatico e deforme
TRINCULO buffone
STEFANO cantiniere,
ubriacone
IL CAPITANO DELLA NAVE
IL CAPO NOCCHIERO (Nostromo)
MARINAI
MIRANDA
figlia di Prospero
ARIELE spirito
dell’aria
IRIDE
personaggi della “Masque” in forma di spiriti
CERERE
GIUNONE
NINFE
MIETITORI
Alcuni SPIRITI al servizio di Prospero
SCENA: a bordo di un vascello in mare; poi in un’isola deserta N O T E P R E L I M I N A R I
1) Il testo inglese adottato per la traduzione è quello dell’edizione curata dal prof. Peter Alexander (William Shakespeare, “The Complete Works” , Collins, London / Glasgow, 1960, pagg.
XXXII - 1376), con qualche variante suggerita da altri testi: in particolare quello delle edizioni separate dell’ “Arden Shakespeare” , a cura di H. F. Brooks e E. Jenkins (London, 1951) e della più recente edizione dell’ “Oxford Shakespeare” , curata per la Clarendon Press, Oxford, U.S.A. da G.
Taylor e G. Wells, pagg. XXXIX - 1274. Quest’ultima contiene anche “I due nobili cugini” ( “The
Two Kinsmen” ) che manca nell’Alexander.
2) Alcune didascalie sono state aggiunte dal traduttore, di suo arbitrio, laddove gli sia sembrato richiederlo la migliore comprensione dell’azione scenica alla lettura, cui questa traduzione è essenzialmente ordinata e intesa (il traduttore è convinto della irrapresentabilità di Shakespeare sulla scena del teatro moderno e che l’unico modo di gustarne genuinamente la parola e il mondo poetico è leggerlo).
3) Il metro è l’endecasillabo sciolto, che più d’ogni altro s’avvicina al pentametro giambico del “black verse” , intercalato da settenari. Ad altro metro s’è fatto ricorso quando, per citazioni, strofette, madrigali e altro, in accordo col testo, si è dovuto far sentire uno scarto stilistico.
4) I nomi dei personaggi sono stati, per quanto possibile, italianizzati.
5) Il traduttore riconosce di essersi avvalso di traduzioni precedenti, in particolare della prima versione poetica di Giulio Carcano, di quelle di Cesare Vico Lodovici, di Gabriele Baldini, di Giorgio Melchiori, dalle quali ha preso in prestito, oltre all’interpretazione di passi non ben chiari, intere frasi e costrutti: di tutto ha dato credito in nota.
6) Il traduttore ha creduto di integrare la sua opera aggiungendo, a mo’ di appendice alla sua versione, il saggio “Prospero” di H.
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