1) Il testo inglese adottato per la traduzione è quello dell’edizione curata dal prof. Peter Alexander (W. Shakespeare, The Complete Works, Collins, London & Glasgow, 1951-1960, pag. XXXII-1370), con qualche variante suggerita da altri testi. In particolare si è tenuto presente, siccome più moderno e aggiornato, quello della più recente edizione dell’“Oxford Shakespeare” di G. Welles & G. Taylor (Clarendon Press, New York, U.S.A., 1988-1994, pag. XLIX, 1274); quest’ultima comprende anche “I due cugini” (“The Two Kinsmen”) che manca nell’Alexander.
2) Il traduttore ha aggiunto di sua iniziativa didascalie e indicazioni sceniche (“stage instructions”) laddove le ha ritenute opportune per la migliore comprensione dell’azione scenica alla lettura, cui questa traduzione è espressamente ed essenzialmente ordinata ed intesa, il traduttore, nell’accingersi ad essa, essendo convinto della irrappresentabilità di Shakespeare sulle moderne ribalte.
Si è lasciata comunque invariata, all’inizio e alla fine delle scene, o all’entrata ed uscita dei personaggi nel corso d’una scena, la rituale indicazione “Entra”/ “Entrano” (“Enter”) ed “Esce”/ “Escono” (“Exit”/ “Exeunt”); avvertendo peraltro che non sempre essa indica movimenti di entrata/uscita, potendosi dare che il personaggio o i personaggi cui si riferisce si trovino già in scena all’inizio di questa, o vi restino alla fine.
3) Il metro è l’endecasillabo sciolto alternato da settenari; altro metro si è usato per citazioni, proverbi, canzoni, cabalette e altro, allorché, in accordo col testo, sia stato richiesto uno stacco di stile.
4) I nomi dei personaggi che si prestano, sono resi nella forma italiana; quando preceduti da “sir” sono comunque sempre lasciati nella forma inglese. Per esigenze di metrica, i nomi inglesi plurisillabi, che alla pronuncia inglese suonano sdruccioli, bisdruccioli e perfino trisdruccioli - come tutte le parole di questa lingua dalla pronuncia mono-bisillabica (es. Wèstmoreland) - possono essere diversamente accentati nel corpo del verso, secondo la cadenza dello stesso.
5) Il traduttore riconosce di essersi avvalso - ed anche largamente, in certi casi - di traduzioni precedenti dalla quali ha preso in prestito, oltre alla interpretazione di passi controversi, intere frasi e costrutti, dandone opportuno credito in nota.
NOTA INTRODUTTIVA
Prima di tutto una parola sul titolo. Questa commedia è passata da sempre sui teatri italiani col titolo di “Le allegre comari di Windsor”, dando l’idea, a chi leggesse solo il titolo, che si tratti di qualcosa che abbia a che fare con affari di donnicciuole intriganti e pettegole, questo essendo il significato italiano corrente di “comare”: “appellativo scherzoso o spregiativo per donna curiosa o pettegola”(Dizionario Garzanti, alla voce); e per giunta “allegre”, aggettivo che, unito a “comari” è nell’uso corrente sinonimo di “leggere”. L’equivalente inglese di “comare” è “gossip”; e, senza scomodare lessici, per Shakespeare “gossip” è il tipo di donna che egli stesso delinea nel “Mercante di Venezia” quando fa dire a Solanio (III, 1, vv. 7-10): “I would she were as lying in that, as ever knapp’d ginger or made her neighbours believe she wept for the death ofa third husband”. Solanio si riferisce a quello che il suo interlocutore Salerio ha chiamato “my gossip report”, “quello che racconta la mia comare”, circa la catastrofe che ha colpito in mare le navi dell’amico Antonio, e risponde: “Sarebbe meglio che quella comare / si fosse dimostrata in questo caso / altrettanto bugiarda / di quando nega di masticar zenzero / o quando vuol far credere ai vicini / d’aver versato lacrime d’amore / sulla morte del suo terzo marito”.
Per Shakespeare dunque la “comare” è la donna pettegola, bugiarda e ipocrita, che mastica zenzero e nega di farlo, e che vuol far credere agli altri di aver pianto sulla morte del suo terzo marito, e non lo ha fatto. Alice Ford e Meg Page non sono nulla di tutto questo: esse sono due signore per bene della borghesia inglese, oneste e virtuose e fedeli mogli di due onorevoli e ricchi mariti, per nulla pettegole, per nulla intriganti, e “allegre” soltanto nell’architettare una beffa ai danni dell’uomo che ha tentato di insidiarne la virtù, sir John Falstaff.
È vero che in un punto (IV, 2, 7) la signora Page si rivolge alla signora Ford chiamandola “comare” (“What hoa, gossip Ford, what hoa!”), ma qui “gossip” è nel senso che aveva il termine all’epoca di Shakespeare, e cioè quello di “friend”, “chum”, che veniva scambiato solo fra donne (v. “Oxford Universal Dictionary” alla voce).
Dunque niente “comari” e niente “allegre”: il titolo di “Allegre comari” è una delle banalità che nel tempo hanno inseguito ingiustamente in Italia questa commedia di Shakespeare; il quale ha solo voluto far muovere qui sulla scena due “mogli” (“wives”) in vena di dare una lezione di buon costume ad un vecchio farfallone arrugginito; ed è riuscito magistralmente nell’intento, scrivendo quasi di getto, e quasi tutta in prosa, una delle sue opere più “teatrali”, sia nella saldezza della struttura scenica che nel ritmo con cui è condotta la boccaccesca vicenda; il che spiega la grande fortuna di questa commedia sin dal Seicento, sulle scene inglesi e poi su quelle di tutto il mondo. E ciò malgrado che il lavoro, quanto ad ispirazione poetica e contenuto drammatico, sia una delle più fiacche produzioni del genio shakespeariano
Si è detto che la commedia fu prodotta “quasi di getto” perché, secondo una congettura raccolta per primo dal Rowe nella sua edizione in 7 volumi dell’opera completa di Shakespeare, e poi ripresa dal Dennis (1712) (John Dennis, “Essay on the Genious of Writing in Shakespeare”, ed. E. N. Nokker, 1939-45), essa fu scritta da Shakespeare in 14 giorni per compiacere ad un espresso desiderio della regina Elisabetta. A questa si dice fosse tanto piaciuto il personaggio di Sir John Falstaff nella prima parte dell’“Enrico IV”, che avrebbe ordinato al poeta di scrivere un lavoro teatrale in cui lo stesso personaggio fosse implicato in un intrigo amoroso. Shakespeare, che era intento alla stesura della seconda parte dell’“Enrico IV”, dovette presumibilmente interrompere questa, per porre mano al nuovo lavoro e completarlo in tempo per la rappresentazione; la cui occasione sarebbe stata la cerimonia, a corte, dell’investitura a cavalieri dell’ordine della “Giarrettiera” di alcuni nobili tra cui il Lord Ciambellano della regina; questi era anche il patrono della compagnia teatrale di cui Shakespeare faceva parte (detta appunto dei “Chamberlain’s Men”). “La Giarrettiera” è il nome della locanda dove alloggia il protagonista Sir John Falstaff, e l’ordine aveva la sua sede araldica a Windsor.
Se così è, la stesura del lavoro non poté farsi più tardi della fine 1596/inizio1597, per essere rappresentata a corte il giorno di San Giorgio patrono d’Inghilterra (23 aprile 1597), giorno nel quale, appunto, la regina conferiva le investiture.
* * *
Il lavoro mostra, in realtà, i segni della fretta con cui è stato scritto; non solo nel fatto di essere - come si è detto - quasi tutto in prosa, ma anche in una certa disarmonicità inconsueta nel drammatismo di Shakespeare, con episodi che a stento si ricompattano col resto della vicenda, come quello del furto dei cavalli all’Oste della “Giarrettiera” da parte di improbabili ladroni tedeschi, o la scena della lezione di latino al piccolo Guglielmino Page da parte del parroco gallese Don Ugo; i personaggi di Pistola e di Nym sono inspiegabilmente abbandonati dopo il loro balordo colloquio con Ford e Page.
In compenso, la commedia, tra tutte quelle di Shakespeare, fornisce uno spaccato della società provinciale inglese, “l’unica - come nota il Melchiori (Giorgio Melchiori, “Shakespeare”, Laterza, 1994) - autenticamente inglese, per la sua ambientazione, la sua atmosfera, il muoversi dei personaggi, persino il lor dialogare. La vicenda, infatti, è piena di riferimenti a luoghi e persone e usi che dovevano esser familiari ai londinesi del tempo, il dialogo è colloquiale, senza alcuna concessione allo stile eufuistico che figura in altre commedie” (pag. 381).
Ciò è vero, anche se la trama è visibilmente un adattamento alla società inglese di situazioni già presenti nella letteratura medioevale. Il tema centrale della beffa intorno agli sfortunati tentativi di seduzione di Sir John Falstaff verso le due mogli, quello della gelosia del marito di una di esse, Ford, era già abbondantemente sfruttato dalla novellistica italiana. Shakespeare conosceva Boccaccio; ma il particolare del cesto da bucato in cui vien nascosto un incauto corteggiatore per sfuggire alle furie del marito geloso si ritrova tale e quale in una novella della raccolta “Il Pecorone” di Giovanni Fiorentino, che Shakespeare anche conosce, perché da esso attingerà anche la trama del suo “Mercante diVenezia”: è la storia di uno studente romano che a Bologna tresca con la moglie del suo maestro, e, sorpreso dal marito di lei, è da questa nascosto nel cestone dei panni da bucato.
Ma qui, ancora una volta, Shakespeare assapora, digerisce nella sua anima poetica e adatta al gusto corrente della commedia inglese questi temi della novellistica italiana, e in una eccezionale unità di tempo e di luogo (tutta l’azione si svolge in tre giorni, e tutta a Windsor), crea il capolavoro che sfiderà il tempo.
La commedia è stata infatti sempre popolare in Inghilterra e altrove, nei secoli XVII, XVIII e XIX, senza subire - a differenza di altre - molte manipolazioni. La vicenda ha anche affascinato e ispirato molti musicisti. In Inghilterra, Arthur Sullivan ha intitolato col nome di “The Merry Wives of Windsor” una sua “ouverture”, forse preludio ad una operetta; EdwardElgar vi ha dedicato un studio sinfonico; William Balfe e Henry Bishop vi hanno composto ciascuno un’opera lirica. In Austria, Antonio Salieri, il maestro di Mozart, ha composto, sulla stessa trama, un “Falstaff”. In Germania Otto Nikolai le sue “Die Lustige Weiber von Windsor”; in Italia, Giuseppe Verdi il suo ultimo massimo capolavoro, “Falstaff”, su libretto di Arrigo Boito.
PERSONAGGI
Sir John FALSTAFF
FENTON
giovin signore
Roberto ZUCCA
giudice di campagna
Abramo STANGHETTA
suo nipote
Frank FORD
Giorgio PAGE
borghesi di Windsor
Guglielmino PAGE
figlio di Giorgio e Meg Page
Don Ugo EVANS
parroco gallese
Dottor CAJUS
medico francese
L’OSTE
della locanda “La Giarrettiera”
BARDOLFO
PISTOLA
NYM
uomini al seguito di Falstaff
ROBIN
paggio di Falstaff
SIMPLICIO
servo di Stanghetta
John RUGBY
servo del dottor Cajus
Alice FORD
moglie di Frank Ford
Meg PAGE
moglie di Giorgio Page
Annetta PAGE
sua figlia
QUICKLY
governante/factotum del dottor Cajus
SCENA: Windsor e dintorni, in Inghilterra.
ATTO PRIMO
SCENA I – Windsor, davanti alla casa di Giorgio Page.
Entrano il giudice ZUCCA, mastro STANGHETTA e Don Ugo EVANS
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