Niente affatto!

E lui dove abita, alla “Giarrettiera”?

PAGE -

Infatti, proprio là.

Io, se dovesse avere per la testa

di far vela alla volta di mia moglie,

gliela spedisco incontro a vele sciolte;

ma se riesce ad ottener da lei

più di qualche sonora rispostaccia,

sono pronto a portarmene sul capo

tutte le più vistose conseguenze.

FORD -

Io, non è che sospetti di mia moglie,

ma creare io stesso l’occasione

per farli stare insieme loro due,

mi ripugna soltanto a immaginarlo.

Fidarsi è bene e non fidarsi è meglio.

E l’idea di portarmi sulla testa

quella robaccia, proprio non mi piace.

L’affare non mi tranquillizza affatto.


Entra l’OSTE della “Giarrettiera”, dietro di lui,

arrancando, STANGHETTA

PAGE -

Eccolo qua, sempre gaio e gioviale,

il nostro Oste della “Giarrettiera”!

Per essere così di buona vena

o deve avere del liquore in testa

o danaro abbondante nella borsa.

Salve, il mio caro Oste? Come va?

OSTE -

Salute, bell’arnese e gran signore!

(Volgendosi indietro a Stanghetta)

Arranca, arranca, cavaliero giudice!

STANGHETTA -

(Trafelato)

Arrivo, arrivo!… Oh, caro mastro Page,

mille volte buongiorno!… Mastro Page,

non v’andrebbe d’accompagnarvi a noi?

Abbiamo per le mani un certo spasso…

OSTE -

Diglielo pure, cavaliero giudice,

digli di che si tratta, bricconcello.

STANGHETTA -

Ecco, signore: ci sarà un duello

tra il reverendo gallese, don Ugo,

e il medico francese, dottor Cajus.

FORD -

Oste, mio caro, prego, una parola…

OSTE -

Che c’è, mio pacioccone? Dimmi tutto.


(Si appartano parlando)

STANGHETTA -

(A Page)

Non venite con noi

ad assistere a quello che succede?

Questo burlone d’Oste

ha misurato già le loro spade

e ha dato loro convegno, ho saputo,

in due luoghi diversi. Perché il parroco,

come ho sentito, è uno che non scherza.

Vi spiegherò la burla, in che consiste.


(Si appartano discorrendo)

OSTE -

(Venendo avanti con Ford)

Forse che avresti a muovermi lagnanza

contro il mio cavaliere, mio cliente?

FORD -

No, nessuna lagnanza.

Ma sono disposto a darvi per compenso

un barile di vin secco di Spagna,

se me lo fate incontrare a quattr’occhi

presentandomi, sol così, per gioco,

come Ruscello.

OSTE -

Qua la mano, bello;

avrai flusso e riflusso - dico bene? -

e il tuo nome sarà messer Ruscello.

Vedrai che buontempone, il cavaliere!

(Agli altri)

Allora, “mijn’ heers”, vogliamo andare?

STANGHETTA -

Siamo tutti con voi, Oste mio caro!

PAGE -

Il Francese, da quanto ne ho sentito,

tira bene di spada.

STANGHETTA -

Boh, ai miei tempi,

avrei saputo mostrarvi di meglio!

Oggi fan tante storie: la distanza,

la stoccata, la finta, e che so io…

Fegato, mastro Page, ci vuole fegato!

(Esibendosi in alcuni passi di scherma)

E zzà, e zzà!… Ho visto anch’io il tempo

quando col mio spadone prolungato

avrei fatto scappare come sorci

anche quattro cristiani grandi e grossi.

OSTE -

Suvvia, ragazzi, ci vogliamo muovere?

PAGE -

Andiamo, sì; per quanto, pel mio gusto,

avrei voluto piuttosto vederli

che litigassero solo a parole,

invece di cercar di sbudellarsi.


(Escono l’Oste, Page e Stanghetta)

FORD -

Il caro mastro Page ha un bel mostrarsi

sì goffamente certo di sua moglie

e fidarsi con tanta sicurezza

della fragilità di lei; per me,

io non mi metto tanto facilmente,

l’animo in pace. Lei s’è già trovata

insieme a lui nella casa di Page,

e che cosa abbian fatto, non lo so.

Ci voglio andare a fondo e veder chiaro.

Intanto voglio scandagliare Falstaff

presentandomi sotto falso nome.

Se scopro ch’ella è onesta, tanto meglio;

non sarà stata fatica sprecata.

Se poi dovesse essere altrimenti,

sarà stata fatica bene spesa.


(Esce)

 

 

 

SCENA II - La locanda della “Giarrettiera”

 

Entrano FALSTAFF e PISTOLA

 

FALSTAFF -

Niente, nemmeno un soldo!

PISTOLA -

Vi renderò la somma un po’ per volta.

FALSTAFF -

Nemmeno un soldo, ho detto. Parlo turco?

PISTOLA -

“E allora per me il mondo
“non sarà più che un’ostrica
“da aprire a fil di spada.”

FALSTAFF -

Nemmeno un soldo! T’ho già consentito,

messere, d’impiegare la mia firma

come malleveria per i tuoi debiti.

Tre volte ho scomodato i miei amici

per far sospendere una condanna

a te e al degno tuo compare Nym,

ché altrimenti a quest’ora

vi avrei ben visto in gabbia tutt’e due,

dietro le sbarre come due babbuini.

E finirò all’inferno, certamente,

per aver dichiarato, a giuramento,

ch’eravate due ottimi soldati,

due giovani davvero coraggiosi;

e quando è stato che a Donna Brigitta

è sparito il ventaglio,

ho dovuto giurare sul mio onore

che a rubarlo non era stato lui.

(Indica Pistola)

PISTOLA -

Ne toccaste anche voi la vostra parte:

quindici pence, se non sbaglio; o no?

FALSTAFF -

Ragiona, miserabile, ragiona!

Che pretendevi, che arrischiassi l’anima

per la tua bella faccia?…

Insomma, a farla corta tra noi due,

non starmi più incollato alle calcagna:

io non son forca per te; troppo lusso.

A te ci vuole solo un coltelluccio,

e un po’ di gente intorno.

Va’, torna al tuo maniero di Pitch-hatch!

Non hai voluto recar la mia lettera,

eh, furfante?… Ne andava del tuo onore!

O sconfinato abisso di bassezza!

Se ci riesco io, a mala pena,

a mantenere in rigorosi termini

l’onore mio, sì, io, che qualche volta,

mettendo a parte il mio timor di Dio

e sforzandomi di celar l’onore

sotto il velo della necessità

m’adatto a deviare, ad aggrapparmi,

ad abbassarmi; e tu, pretenderesti,

pezzo di malcreato farabutto,

nascondere la tua cenciosità,

le tue occhiate da gatto selvatico,

il tuo parlar da bettola,

le tue imprecazioni da screanzato

sotto il comodo usbergo dell’onore!

PISTOLA -

(Rinfoderando la spada)

Mi pento… Che volete più da un uomo?


Rientra ROBIN

ROBIN -

Signore, qui di fuori c’è una donna

che chiede di parlarvi.

FALSTAFF -

Venga avanti.


Entra QUICKLY

QUICKLY -

Felice giorno a vostra signoria.

FALSTAFF -

Buongiorno, bella sposa.

QUICKLY -

Sposa no,

se così piaccia a vostra signoria.

FALSTAFF -

Bella vergine, allora.

QUICKLY -

Ah, questo sì,

posso giurarlo: com’era mia madre

la prima ora ch’io fui concepita.

FALSTAFF -

Credo al tuo giuramento. Che vuoi dirmi?

QUICKLY -

Ecco, posso far graziaa vostro onore

d’una parola o due?

FALSTAFF -

Anche duemila,

e io ti farò grazia di ascoltarle,

bellezza mia!

QUICKLY -

Ebbene, mio signore,

c’è una certa signora Ford… ma prego,

fatevi più vicino… ecco, così.

Io abito con mastro dottor Cajus.

FALSTAFF -

Bene, dicevi la signora Ford…

QUICKLY -

(Sempre guardinga)

Eh, sì, giustissimo, vossignoria…

Ma di grazia, vossignoria, vi prego,

da questa parte…

FALSTAFF -

Ma rassicuratevi!

Non vi sente nessuno, garantisco…

tutta gente di casa, gente mia.

QUICKLY -

Ah, davvero? Che Dio li benedica,

e li faccia suoi servi!

FALSTAFF -

Vieni al dunque.

Dunque, dicevi, la signora Ford…

QUICKLY -

Che perla di creatura, signoria!

Dio Signore, che grande seduttore

è vostra signoria! Dio vi perdoni,

a voi e tutti noi, e così sia!

FALSTAFF -

Ebbene, la signora Ford?… Avanti.

QUICKLY -

Ebbene, questo è tutto, il tanto e il quanto:

l’avete messa in tale agitazione

da credere davvero ad un miracolo.

Il più bello e galante cortigiano

di quanti se ne vedano qui a Windsor

quando vi siede la corte al completo

non sarebbe, parola, mai riuscito

a metterla in tanta agitazione.

E sì che ce ne son di cavalieri,

e gran signori, e fior di gentiluomini,

coi loro cocchi, un tiro dopo l’altro,

parola mia; e lettere su lettere,

doni su doni… fragranti di muschio

e fruscianti così di seta e d’oro,

ve l’assicuro; e tutti un bel parlare,

con accenti preziosi, ricercati;

e un tal contorno di vini e di zuccheri

di così raffinata squisitezza

da conquistare il cuore di ogni donna…

Eppure, v’assicuro, mai nessuno

è riuscito ad ottener da lei

che dico, un’occhiatina anche fugace…

Ancora stamattina uno di loro

m’ha regalato venti angeli d’oro;

ma io degli angeli di quella specie,

come li chiamano, non faccio conto

se non in via d’innocente onestà.

Ma nemmeno il più splendido dei tanti

è mai riuscito a ch’ella, v’assicuro,

accostasse le labbra alla sua coppa.

E sì, che tra loro c’eran conti

e, per di più, della guardia del re.

Ma con lei, garantisco, tutto inutile!

FALSTAFF -

E a me che manda a dire per tuo mezzo?

Brevemente, mio buon Mercurio in gonna.

QUICKLY -

Che ha ricevuto la vostra missiva

e ve ne rende mille volte grazie,

e poi vi fa sapere che il marito

sarà fuori di casa domattina

dalle dieci alle undici.

FALSTAFF -

Dalle dieci alle undici. Va bene.

QUICKLY -

Per quell’ora potrete andar da lei,

a veder quel dipinto che sapete.

Mastro Ford, il marito, sarà assente.

Ah, che vita d’inferno con quell’uomo,

povera donna!… Perché è gelosissimo,

e le fa vivere, povero cuore,

un’esistenza davvero angosciosa.

FALSTAFF -

Dalle dieci alle undici, domani…

Donna, portale intanto il mio saluto,

e rassicurala: non mancherò.

QUICKLY -

Ah, dite bene. Ma ho qui con me

altro messaggio per vossignoria.

Madama Page vi manda per mio mezzo

anche lei i saluti più cordiali:

e, fatevelo dire in un orecchio,

è una moglie così bene educata,

e modesta, e virtuosa che, vi dico,

mai tralascia di dir le sue preghiere

al mattino e alla sera,

come non ce n’è un’altra in tutta Windsor.

Ella fa dire a vostra signoria

che suo marito assai difficilmente

resta assente da casa,

ma spera di saper coglier per voi

la propizia occasione…

Ah, signore, non ho mai visto donna

così infanatichita per un uomo!…

Ma che diavolo avete addosso, voi,

per stregarle così, un qualche filtro?

FALSTAFF -

No, questo proprio no, te l’assicuro.

A parte, forse, una certa attrazione

per le mie belle doti personali,

non posseggo altro fascino di sorta…

QUICKLY -

Che Dio ve le conservi.

FALSTAFF -

Dimmi un po’:

non sarà mica che le due signore

si siano confidate l’una all’altra

di questa loro passione per me?

QUICKLY -

Ma volete scherzare, cavaliere?

Non sono così sciocche, almeno spero.

Sarebbe un trucco da nulla, sarebbe!

Piuttosto, ecco: la signora Page,

vorrebbe tanto, per tutti gli amori,

che le mandaste quel vostro paggetto;

suo marito ha una tal grande infezione

per quel ragazzo, e, sulla mia parola,

mastro Page è una gran brava persona;

non c’è donna sposata in tutta Windsor

che conduca miglior vita di lei:

fa quel che vuole, dice quel che vuole,

si compra tutto quello che desidera,

pagando tutto lei; se ne va a letto

e si leva nell’ora a lei più comoda,

fa tutto a modo suo. E se lo merita,

perché non c’è una donna in tutta Windsor

che sia di lei più amabile e simpatica.

Le dovete mandare quel paggetto,

non c’è che fare.

FALSTAFF -

Glielo manderò.

QUICKLY -

Subito, allora; anche perché, vedete,

lui vi potrebbe far da messaggero,

ed andare e venire fra voi due…

Però datevi un codice segreto,

sì da potervi intendere fra voi

senza che quel ragazzo lo capisca…

È meglio che i ragazzi

certe cose non abbiano a conoscerle;

per noi adulti la cosa è diversa:

noi siamo più discreti,

conosciamo, come suol dirsi, il mondo.

FALSTAFF -

Va’ ora, addio, salutamele entrambe.

Questa è la borsa mia, tutta per te;

te ne resto comunque debitore.

Robin, ragazzo, va’ con questa donna.


(Escono Quickly e Robin)


Queste notizie, tutte in una volta,

mi fan girar la testa…

PISTOLA -

(A parte)

Quella vecchia paranza

è uno dei corrieri di Cupido.

Più vele al vento! Avanti, su, inseguiamola!

Apprestatevi ai pezzi! Fate fuoco!

È la mia preda, quella. O la catturo,

o l’oceano c’inghiotta tutti quanti!


(Esce)

FALSTAFF -

E non l’avevi detto, vecchio John?

Animo, avanti! Va’ per la tua via!

Questo tuo vecchio corpo

può procurarti ancor qualche dolcezza.

Avran le donne ancora occhio per te?

Dovrai tu, dopo avere scialacquato

tanto denaro, goderne ora i frutti?

Buon corpaccione mio, io ti ringrazio!

Lascia che dicano che sei mal fatto:

se riesci a piacere, che t’importa?


Entra BARDOLFO con un bicchiere di vino

BARDOLFO -

Sir John, c’è fuori tal mastro Ruscello

che sarebbe felice di parlarvi

e di fare la vostra conoscenza;

ed ha mandato a vostra signoria,

per la vostra bevuta mattutina,

un barile di questo vin di Spagna.

FALSTAFF -

Ruscello è il nome, hai detto?

BARDOLFO -

Sì, signore.

FALSTAFF -

Fallo entrare.

(Prende il bicchiere dalla mano di Bardolfo e beve)

Ruscelli come questo,

che rovesciano un simile liquore

son sempre benvenuti a casa mia.


(Esce Bardolfo)


Ah, ah! Madama Ford, madama Page,

v’ho nel mio cerchio, eh?… Andiamo, via!


Rientra BARDOLFO con FORD travestito da signor RUSCELLO

FORD -

Dio v’assista, signore.

FALSTAFF -

E così a voi. Volevate parlarmi?

FORD -

Vi sarò forse apparso troppo ardito

a presentarmi a voi, così, inatteso…

FALSTAFF -

Figuratevi! Siete il benvenuto.

Dite piuttosto in che posso servirvi.

(A Bardolfo)

Taverniere, lasciaci soli, prego.


(Esce Bardolfo)

FORD -

Signore, in me vedete un gentiluomo

che molto ha sperperato in vita sua.

Il mio nome è Ruscello.

FALSTAFF -

Avrò piacere di meglio conoscervi,

caro signor Ruscello… Accomodatevi,

FORD -

Questo è anche il mio grande desiderio,

caro sir John. Non vengo per quattrini,

perché, convien che ve lo dica subito,

stimo d’essere in grado di prestarne

più di quanto voi stesso non possiate:

ed è questo che m’ha, in un certo verso,

incoraggiato in ora sì importuna

a far questa incursione in casa vostra:

perché, come si dice,

quando è il denaro a far da battistrada,

s’apron tutte le strade.

FALSTAFF -

Sacrosanto.

L’oro è un gran capitano

che marcia sempre in testa, signor mio.

FORD -

Ed io n’ho qui tutto un sacchetto pieno,

per verità, che mi fa un certo ingombro.

Se voleste aiutarmi a liberarmene,

sir John… Prendetene pure metà,

o tutto, ch’io ne resti alleggerito.

FALSTAFF -

Non so proprio, signore, per qual merito

io debba farvi da portatesoro.

FORD -

Ve lo dirò, se mi darete ascolto.

FALSTAFF -

Dite pure, caro signor Ruscello,

sarò lieto di rendervi servizio.

FORD -

Sento dire, signore, (sarò breve),

di voi, che siete uomo di cultura,

e vi conosco di fama da tempo,

anche se m’è mancato sempre il modo,

per quanto ne sentissi il desiderio,

di far con voi conoscenza diretta.

Vi debbo confessare ora una cosa

nella quale in gran parte s’appalesa

la mia manchevolezza. Ma, sir John,

se aprendo un occhio sulle mie follie

farete di tener l’altro occhio aperto

sul libro delle vostre,

più facilmente vi riuscirà

di passar sopra e indulgere alle mie,

sapendo quanto è facile caderci.

FALSTAFF -

Benissimo, signore. Proseguite.

FORD -

C’è qui in città una certa gentildonna…

Ford è il cognome del marito.

FALSTAFF -

Bene.

FORD -

Da anni io la corteggio.

E v’assicuro che, tra un dono e l’altro,

m’è costata finora una fortuna.

L’ho seguita con un’assiduità

quasi febbrile, in cerca d’ogni mezzo

per incontrarla, non badando a spese,

cogliendo la pur minima occasione

di poterla veder per pochi istanti;

ho comprato regali a non finire

non solo a lei, ma ho dato largamente

anche a chi mi potesse solo dire

che cosa le riuscisse più gradito.

In breve, l’ho inseguita com’io stesso

ero inseguito dall’amor per lei;

ma, per quanto m’avesse agli occhi suoi

meritato, se non la mia passione,

almeno la mia prodigalità,

non son riuscito a cavarne nient’altro

se non apprendere, a tutte mie spese,

che l’esperienza è un prezioso gioiello,

ma che a me è costata un prezzo enorme

e m’ha insegnato a ripeter l’adagio:

“Come ombra amore fugge,
“se vero amor l’insegue;
“insegue chi lo fugge,
“e fugge chi lo insegue”.

FALSTAFF -

E non aveste mai, da parte sua,

promessa alcuna di soddisfazione

delle vostre attenzioni?

FORD -

Mai, nessuna.

FALSTAFF -

E non l’avete mai sollecitata

personalmente a questo fine?

FORD -

Mai.

FALSTAFF -

Ma che razza d’amore è allora il vostro?

FORD -

Esso è come una casa, molto bella,

ma fabbricata su terreno altrui.

Sicché ho perduto tutto il costruito

per essermi sbagliato dove erigerlo.

FALSTAFF -

E a che scopo venite a confessarmelo?

FORD -

Quando ve l’avrò detto,

v’avrò detto il perché io sono qui…

A sentir quel che dicono di lei,

mentre con me si mostra sì ritrosa,

cogli altri è così allegra ed espansiva

da dar motivo e voce a qualche chiacchiera.

Ecco, dunque, sir John,

qual è il cuore del mio proponimento:

voi siete un gentiluomo,

d’eccellente lignaggio,

di ammirevoli doti discorsive

e di grande entratura presso il prossimo

pel vostro rango e la vostra persona;

godete di prestigio universale

per l’alte vostre virtù di guerriero,

di cortigiano e di uomo di lettere.

FALSTAFF -

Oh, signore…

FORD -

No, no, dovete credermi.

E, del resto, voi stesso lo sapete.

(Pone sul tavolo la borsa)

Ecco il danaro: spendetelo pure,

dispensatene a vostro piacimento,

e anche più, tutto quello che ho.

Vi chiedo, in cambio, un po’ del vostro tempo:

quanto vi basti ad assediar d’amore

l’onestà della moglie di quel Ford.

Adoperate tutte le risorse

dell’arte vostra di gran seduttore

fino alla conclusiva sua conquista.

Se esiste un uomo al mondo

che sia capace di arrivare a tanto,

e in minor tempo di chiunque altro,

quell’uomo siete voi.

FALSTAFF -

Già, ma mi chiedo come una passione

così veemente come quella vostra

possa trar giovamento per se stessa

dal fatto ch’io conquisti per me stesso

quanto desiderate voi per voi.

FORD -

Cercate di comprendere il mio piano:

ella si sta rinchiusa

nella fortezza della sua virtù

con tanta sicurezza

che non osa, la folle anima mia,

di presentarsi a lei, di starle a fronte;

come fosse una luce troppo vivida

perch’io la possa riguardare in viso.

Ma se potessi presentarmi a lei

con qualche dato sicuro alla mano,

ecco che allora il desiderio mio

avrebbe in suo favore un precedente

da poter invocare in faccia a lei.

Potrei in tal modo trascinarla fuori

dal fortilizio della sua virtù,

della sua fama di donna illibata

fedele ai maritali giuramenti,

e fuor dagli altri mille baluardi

che ancora s’ergon, troppo troppo saldi,

di fronte ai miei assalti… Che ne dite?

FALSTAFF -

(Prendendo dal tavolo la borsa)

Signor Ruscello, come prima cosa,

accetto, senza tante cerimonie,

questo vostro denaro;

seconda, datemi la vostra mano;

(Gli stringe la destra)

terza, parola mia di gentiluomo,

voi, la moglie di Ford,

ve la godrete a vostro piacimento.

FORD -

Oh, signore!…

FALSTAFF -

Ve la godrete, ho detto!

FORD -

Sir John, allora non badate a spese.

Avrete tutti i soldi che vorrete.

A profusione.

FALSTAFF -

E voi a profusione,

signor Ruscello, la moglie di Ford.

Sarò appunto da lei - posso ben dirvelo -

tra poco, per suo stesso appuntamento.

Poc’anzi, prima che arrivaste voi,

prendeva appunto congedo da me

una sua cameriera, una mezzana.

Vi dico che mi troverò con lei

dalle dieci alle undici: a quell’ora

quel geloso babbeo di suo marito

non si troverà in casa.

Voi fatevi vedere questa sera,

e saprete che cosa ho combinato.

FORD -

Ah, che fortuna avervi conosciuto!

Ma quel Ford, signoria, lo conoscete?

FALSTAFF -

Al diavolo quel povero cornuto!

Non lo conosco; ma gli faccio torto

a dirlo “povero”, ché, come ho inteso,

quello scornacchiatissimo geloso

ha quattrini a palate: ed è per questo

che sua moglie m’appare così bella.

Ed io la vorrò usare

come la chiave della cassaforte

di quello scornacchiato beccacione;

farò di lei il mio pingue granaio.

FORD -

Mi piacerebbe tuttavia, signore,

che voi lo conosceste di persona

quel Ford, non fosse che per evitarlo

qualora lo incontraste.

FALSTAFF -

Che s’impicchi

quel vil mercante di burro salato!

Mi basterà gettargli gli occhi addosso

per vedermelo innanzi annichilito;

sono capace di ridurlo un pizzico

solo a rotargli in testa, tra le corna,

il mio bastone, come una girandola.

Mastro Ruscello, tieni per sicuro

ch’io renderò mansueto quel villano,

e che ti porterai sua moglie a letto.

Passa da me prima che faccia notte.

Quel Ford è già un ruffiano

ed io voglio promuoverlo di grado:

così che tu potrai considerarlo,

mastro Ruscello, ruffiano e cornuto.

A stasera da me, sull’imbrunire.


(Esce con la borsa)

FORD -

Qual dannato cialtrone epicureo

è mai costui!… M’ha versato in corpo

tanta rabbia, che sento il cuore gonfio,

quasi a scoppiare! E mi vengano a dire

ora che è vana gelosia la mia!

È stata lei a mandarlo a chiamare,

lei a fissare l’ora del convegno,

tutto concluso… Chi l’avrebbe detto!

Ah, l’inferno d’avere al proprio fianco

una moglie infedele!… Ora il mio letto

sarà insozzato, i miei scrigni vuotati,

lacerata la mia reputazione…

Ed io dovrò non soltanto subire

un sì infamante torto,

ma mi dovrò sentire ricoperto

dei più obbrobriosi ed insultanti epiteti

proprio da chi m’infligge questo torto!

E che razza di nomi, parolacce!…

Mammone suona bene;

Belzebù, e Lucifero del pari;

e son nomi di diavoli d’inferno.

Ma “becco”, ma “cornuto”, sì, “cornuto”

nemmeno il diavolo ci ha tali nomi!

Page è un asino a star così sicuro!

Lui ha cieca fiducia nella moglie!

Guai a parlargli d’essere geloso!

Per conto mio, al contrario di lui,

affiderei piuttosto ad un Fiammingo

il mio burro, il mio cacio ad un Gallese,

la fiasca d’acquavite a un Irlandese,

il mio cavallo da portare a spasso

ad un ladrone, che lasciar mia moglie

affidata a se stessa. Quella là

sotto sotto rimugina, complotta,

trama; perché le donne

quello che frulla loro per la testa

potete star sicuri che lo fanno,

a costo di rimetterci le penne…

E lode a Dio per la mia gelosia!

Alle undici ha detto… Son deciso:

li preverrò, sorprenderò mia moglie,

darò una buona lezione a quel Falstaff,

e riderò sul muso a mastro Page.

Subito! Via! Meglio tre ore prima

che un sol minuto dopo… Ah, vituperio!

“Becco”! “Cornuto”! “Becco”!… Maledetti!


(Esce precipitosamente)

 

 

 

SCENA III - Aperta campagna presso Windsor

 

Il dottor CAJUS e RUGBY passeggiano su e giù,

come in attesa di qualcuno

 

CAJUS -

Rugby!

RUGBY -

Padrone?

CAJUS -

Che ora s’è fatta?

RUGBY -

È già passata l’ora che don Ugo

doveva stare qui, come promesso.

CAJUS -

Bon pour lui![101] Si ha salvato la sua vita

a non fenire! Deve avere precato

sulla sua Bibbia, a non venire qui;

ché se fosse venuto,

a quest’ora sarebbe già spasciato!

RUGBY -

È furbo: sa che vostra signoria

l’avrebbe ucciso, se fosse venuto.

CAJUS -

Parbleu, una salacca affumicata

non è così stramorta, se lo vedo!

Johnny, impugna la spada,

ti fo veder come si fa ad ucciderlo.

RUGBY -

Ahimè, signore, io non so tirare.

CAJUS -

Prendi la spada, ho detto, marmottone!


(Rugby estrae timidamente il suo spadino, ma lo rinfodera vedendo arrivare l’OSTE con ZUCCA, STANGHETTA e PAGE)

OSTE -

(A Cajus)

Dio ti salvi, dottore riverito!

ZUCCA -

(c.s.)

Dio ti protegga, mastro dottor Cajus!

PAGE -

(c.s.)

Caro mastro dottore!

STANGHETTA -

(c.s.)

Buongiorno a voi, signore.

CAJUS -

Eh, quanta gente!

Un, due, tre, quattro… Che venite a fare?

OSTE -

A vederti duellare, dottor Cajus.

A veder come tiri di fioretto,

a veder come giostri sul terreno,

una mossa di qua, una di là,

ad ammirare la tua cavazione,

la tua stoccata di terza e di quarta,

il tuo prender distanza, i tuoi affondi,

È morto il mio Etiope?

È morto il mio Francisco?

Che dice il mio Esculapio?

Che dice il mio Galeno?

Che dice il mio midollo di sambuco?

È morta la mia dolce tentazione?


CAJUS -

Parbleu, è il prete più villiacco al mondo,

quello; non ha la faccia di mostrarsi.

OSTE -

Il fatto è che tu sei, ragazzo mio,

il Sovrano Urinale delle Muse,

un Ettore di Grecia, appetto a lui!

CAJUS -

Di grazia, voi mi siete testimoni

che siamo stati qui in sei o sette

ad aspettarlo per due o tre ore,

e non s’è presentato.

ZUCCA -

È uomo saggio, lui, mastro dottore;

voi siete medico, e curate i corpi,

egli cura le anime;

se vi battete, andate a contropelo

ciascuno della propria professione.

Non è così? Che dite, mastro Page?

PAGE -

Siete stato anche voi, ai vostri tempi,

un grande spadaccino, mastro Zucca,

prima d’essere giudice di pace.

ZUCCA -

Eh, sì, Corpo di Cristo!, mastro Page,

vecchio e uomo di pace come sono,

basta che veda una spada snudata,

subito sento prudermi le dita…

S’ha un bell’essere giudici di pace,

dottori, preti e quant’altro volete:

un po’ di sale c’è rimasto sempre

degli anni della nostra giovinezza:

siamo figli di donna, mastro Page.

PAGE -

Parole sacrosante, mastro Zucca!

ZUCCA -

E così sarà sempre, mastro Page.

(A Cajus)

Mastro dottore, son venuto qui

a prendervi per ricondurvi a casa.

Non per niente son giudice di pace.

Vi siete stato sempre un saggio medico,

e don Ugo s’è sempre dimostrato

un saggio e tollerante uomo di chiesa.

Ora dovete venire via con me,

mastro dottore.

OSTE -

Pardon, signor Giudice.

(Al dottor Cajus)

Una parola, monsieur Acquaminta.

CAJUS -

“Acquaminta”?… Che è?

OSTE -

“Acquaminta”, nel nostro buon volgare

significa “valore”, cocco mio.

CAJUS -

Parbleu, allora ho io tanta acquaminta

quanto l’Inglese cagnaccio d’un prete!

Parola mia, gli mozzerò le orecchie!

OSTE -

Lui ti sgraffignerà ben bene, bello.

CAJUS -

“Sgraffignerà?”… Che è?

OSTE -

Vuol dire: “Ti darà soddisfazione”.

CAJUS -

Ah, certo, sì, mi dovrà sgraffignare,

perdio se dovrà farlo!

OSTE -

E sarò io a costringerlo a tanto

o se ne vada al diavolo, altrimenti!

CAJUS -

Per questo, moi vi dico molte grazie!

OSTE -

E per di più, mio caro… ma, un momento:

(A parte, agli altri)

mastro Giudice Zucca, mastro Page,

ed anche voi, cavaliero Stanghetta,

andate, per la strada di città,

alla spianata della “Ranocchiara”.

PAGE -

È là don Ugo, vero?

OSTE -

Appunto, è là.

Vedete intanto di che umore è,

mentr’io, girando per la via dei campi,

vi condurrò il dottore. Siamo intesi?

ZUCCA -

(Piano)

Perfettamente.

PAGE, ZUCCA e STANGHETTA -

Addio, mastro dottore!


(Escono)

CAJUS -

Parbleu, quel prete, io, moi, l’ammazzo,

che s’impiccia a parlare di Anna Page

ad uno scimmiottone come quello!

OSTE -

E muoia pure il prete.

Ma rinfodera ora l’impazienza;

getta acqua fredda sopra la tua collera

e per i campi vieni dietro a me:

ti condurrò ad un certo casolare

dove madamigella Annetta Page,

partecipa a una festa di campagna.

Là potrai corteggiarla a tuo talento.

Caccia aperta! Contento?

CAJUS -

Oh, parbleu!

Vi ringrazio; parbleu, vi voglio bene,

e vi procurerò buoni clienti:

gentiluomini, conti, cavalieri

e fior di signoroni, miei pazienti.

OSTE -

Ed io piloterò, come compenso,

la tua rotta su miss Annetta Page.

Dico bene?

CAJUS -

(Rinfoderando la spada)

Benissimo, parbleu!

OSTE -

Allora andiamo, non perdiamo tempo.

CAJUS -

(A Rugby)

Ragazzo, mettiti alle mie calcagna.


(Escono)

 

ATTO TERZO

 

 

SCENA I - La spianata della “Ranocchiara”

 

Don Ugo EVANS, in panni di gamba e farsetto, sta passeggiando, con la spada sguainata in una mano, con un libro aperto nell’altra: più lontano, su una piccola altura, SIMPLICIO, come in vedetta.

 

EVANS -

Insomma, amico di nome Simplicio,

servitore del buon mastro Stanghetta,

da che parte hai cercato mastro Cajus,

sedicente dottore in medicina?

SIMPLICIO -

Dappertutto, signore, l’ho cercato:

per via della Pietà, per via del Parco,

salvo che per le vie della città.

EVANS -

Ebbene, va’ a cercarlo anche di là,

lo desidero assai ferventemente.

SIMPLICIO -

Bene, signore, vado.


(Esce)

EVANS -

Gesù, perdonami, son tutto collera

e son tutto un tremore…

Sarei felice m’avesse ingannato.

Che tristezza, però!… Dio mi perdoni,

ma glieli rompo in testa i suoi pitali,

se mi càpita a tiro quello là…

(Canticchiando)

“Presso le molli sponde
“dei placidi ruscelli
“e intorno ai lor canali
“gorgheggiano gli uccelli
“in dolci madrigali.
“Là giacigli di rose
“e ghirlande odorose
“faremo a mille a mille…”

Pietà, Signore, mi viene da piangere…


“gorgheggiano gli uccelli
“in dolci madrigali…
“… al tempo che sedevo in Babilonia…(114)
“… e ghirlande odorose,
“presso le molli sponde a mille a mille…”

Rientra SIMPLICIO

SIMPLICIO -

Laggiù, è lui, viene da questa parte,

don Ugo.

EVANS -

Bene. E benvenuto sia.

(Canticchiando)

“… presso le molli sponde
“dei placidi ruscelli…”

Iddio protegga il giusto. Com’è armato?

SIMPLICIO -

Non ha armi, signore. Non ne vedo.

Viene anche il mio padrone, mastro Zucca

e un altro gentiluomo,

da quella parte, dalla “Ranocchiara”,

al di là della siepe.

EVANS -

La mia tonaca,

dammi qua, per favore, la mia tonaca…


(Simplicio raccoglie da terra la tonaca)


O se no, tienila tu sulle braccia.


(Tira fuori di nuovo il libro e si mette a leggere)


Da una staccionata entrano PAGE e ZUCCA; poi

STANGHETTA

ZUCCA -

Oh, mastro parroco! Voi qui, don Ugo?

Buongiorno! Chi può dir non sia miracolo

tener lontan dai dadi un giocatore

e lontano dai libri un erudito?

STANGHETTA -

(A parte, sospirando)

… O mia dolce Anna Page!

PAGE -

Salve, don Ugo!

EVANS -

Dio v’abbia tutti in sua misericordia!

ZUCCA -

Come! La spada unita al Sacro Verbo?

Li coltivate insieme, signor Parroco?

EVANS -

Ci son cause e ragioni a ciò, signori.

PAGE -

Siam venuti a cercarvi tutti in gruppo

per un’opera buona, mastro Parroco.

EVANS -

Bene. Di che si tratta?

PAGE -

Laggiù c’è un rispettabile signore

che deve aver subìto da qualcuno

tale offesa da metterlo in conflitto

col buon contegno e con la sua pazienza

come non s’era mai veduto in lui.

ZUCCA -

Io sono al mondo da più di ottant’anni

e mai vidi persona del suo rango,

della sua istruzione e compostezza

perder così il rispetto di se stessa.

EVANS -

Chi è costui?

PAGE -

Lo conoscete, credo:

è mastro dottor Cajus,

il rinomato medico francese.

EVANS -

Dio mi pertoni la rappia del cuore,

ma mi fareste cosa più cradita

se mi parlaste di un piatto di porridge!

PAGE -

Perché, don Ugo?

EVANS -

Perché quello là

della scienza d’Ippocrate e Galeno

non ne sa più d’un piatto di brodaglia.

Eppoi è una canaglia, la più vile

che possiate augurarvi di conoscere.

PAGE -

(A Zucca)

Ci scommetto ch’è proprio quello l’uomo

col quale il prete si dovrebbe battere.

STANGHETTA -

(A parte)

Oh, mia dolce Anna Page!


Entrano dal fondo, scavalcando una staccionata, l’OSTE, CAJUS e RUGBY.

Cajus ha la spada sguainata.

ZUCCA -

(Indicando Cajus che arriva)

Sembra proprio di sì, da come è armato.

Teniamoli a distanza l’un dall’altro.


(Va verso il dottor Cajus e gli si para davanti per trattenerlo, mentre Page si para avanti a don Ugo)

ZUCCA -

Oh, ecco il dottor Cajus!

PAGE -

No, signor Parroco, la spada a posto!

ZUCCA -

(A Cajus)

E così voi, dottore…

OSTE -

Disarmateli!

E poi che se la sbrighino tra loro

a parole, fintanto che vorranno,

sì che restino illese le lor membra

e massacrato solo il nostro inglese.

CAJUS -

(Che intanto si è avvicinato a don Evans e gli parla in un orecchio)

Perché esitate a battervi con me?

EVANS -

(Sottovoce)

Pazientate. Ve lo dirò a suo luogo.

CAJUS -

(c.s.)

Siete un vile, parbleu!, ed un furfante

un volgare cagnaccio, una bertuccia!

EVANS -

(c.s.)

Cerchiamo di non farci rider dietro

da costoro. Vi voglio essere amico,

e prima o poi ve ne darò ragione.

(Forte)

Io ti fracasso tutti i tuoi pitali

sopra quella tua zucca di furfante,

così impari a tener gli appuntamenti!

CAJUS -

Diable! Ragazzo, Oste, dite voi

se non l’ho atteso là, per ammazzarlo,

puntuale al luogo dell’appuntamento!

EVANS -

No, com’è fero che sono un cristiano,

è questo il posto ch’era stabilito.

M’appello al nostro Oste qui presente.

OSTE -

E l’Oste dice: pace, Gallia e Gaulia,

Francese e Celto, curatore d’anime

e curator di corpi.

CAJUS -

Ah, quest’è buona!

Eccellente davvero!

OSTE -

Pace, ho detto,

ed ascoltate quello che vi dico.

Sono, sì o no, un politico?

Sono, sì o no, un volpone? Un Machiavelli?

E dovrei perdermi il mio dottore?

No, lui mi dà pozioni ed espulsioni.

E dovrei forse perdermi il mio parroco,

il mio pastore, il mio don Ugo Evans?

No, lui m’insegna il buono ed il cattivo.

(Al dottor Cajus)

Tu, dammi qua la tua mano terrena…

(Gli prende la mano destra)

e tu la tua celeste… ecco, così.

(Prende anche la destra di don Ugo e la unisce a quella del dottor Cajus)

Emeriti rampolli della scienza,

son io che v’ho ingannati, tutti e due,

indirizzandovi a posti diversi.

I vostri cuori battono possenti,

la vostra pelle non ha avuto un graffio…

Una bella bevuta di vin cotto,

e chiusa la partita.

(A Page e a Zucca che intanto hanno provveduto a togliere le spade dalle mani dei due contendenti)

Quelle spade

depositatele al monte dei pegni.

Seguitemi, pacifici ragazzi,

seguitemi, seguitemi, seguitemi.

ZUCCA -

Mattacchione d’un Oste! Andiamo, gente.

STANGHETTA -

(A parte, sospirando)

Ah, la dolce Anna Page!


(Escono Zucca, Stanghetta, Page e l’Oste; Cajus e don Ugo restano indietro con Rugby)

CAJUS -

Allora l’Oste, se ho capito bene,

s’è burlato di noi.

EVANS -

È così, infatti,

ci ha presi entrambi come suoi zimbelli.

Voglio perciò che diventiamo amici

e uniamo insieme i nostri due cervelli

per vendicarci di questo rognoso,

verrucoso, tignoso, imbroglionissimo,

untuoso Oste della “Giarrettiera”.

CAJUS -

M’associo a voi, parbleu!, con tutto il cuore.

Lui m’ha condotto qui

dicendomi che c’era Annetta Page.

Dunque, parbleu!, ha ingannato anche me.

EVANS -

Gli spaccherò la zucca. Andiamo, prego.


(Escono)

 

 

 

SCENA II - Windsor, una strada presso la casa di Ford.

 

Entrano MEG PAGE e ROBIN: questi la precede di qualche

passo, incedendo sussiegosamente.

 

MEG -

No, no, va’ pure avanti, gallettino.

Tu sei abituato a far da seguito,

ma con me devi far da battistrada.

Che è meglio, far da guida agli occhi miei,

o guardar le calcagna del padrone?

ROBIN -

Preferisco, in coscienza,

andare avanti a voi, da vero uomo,

che andar da nano dietro al mio padrone.

MEG -

Ehi, là, che adulatore di ragazzo!

Sarai, già vedo, un vero cortigiano.


Entra FORD

FORD -

Signora Page! Che piacere incontrarvi!

Dove siete diretta, se m’è lecito?

MEG -

In coscienza, a vedere vostra moglie.

È in casa?

FORD -

Sì, e tanto affaccendata

quanto le basta per tenersi in piedi

in attesa di qualche compagnia.

Io penso che voi due,

se mai dovessero i vostri mariti

stirar le cuoia, vi risposereste.

MEG -

Ah, di questo potete star sicuro…

Due mariti diversi… e un po’ migliori…

FORD -

(Indicando Robin)

E da che parte viene

questo bel gallettino giravento?

MEG -

Non vi so proprio dire

che accidenti di nome ha la persona

da cui l’ha ricevuto mio marito.

(A Robin)

Ragazzo, come hai detto che si chiama

il cavaliere tuo padrone?

ROBIN -

Falstaff.

FORD -

Sir John Falstaff?

MEG -

Sì quello, proprio quello.

Mai che riesca a ricordarne il nome!

Tra lui e mio marito,

s’è creata una tale confidenza…

Allora, vostra moglie è in casa?

FORD -

Sì.

MEG -

(Inchinandosi per partire)

Con licenza, signore.

Non reggo più alla voglia di vederla.


(Esce con Robin, entrando in casa Ford)

FORD -

Ma Page è forse uscito di cervello?

Non ha più occhi? Non ha più giudizio?

O gli sono in letargo, o più non li usa.

Ma come! C’è tra i piedi quel ragazzo

che pare fatto apposta

per portare lontano venti miglia

una lettera, e mettertela a segno

come ti centra il bersaglio un cannone

sparando a cento passi di distanza,

e lui par quasi che ci prenda gusto

a propiziar le follie della moglie,

offrendo l’occasione ai suoi capricci!

Ora quella si reca da mia moglie

portando seco il paggetto di Falstaff…

Ma chi non fiuterebbe in questo vento

l’imminente scrosciare d’una pioggia?

Col paggetto di Falstaff… Bell’imbroglio!

Si son scoperte, le mogli ribelli!

Se ne corrono insieme a perdizione!

Bene. Prima sorprendo lui sul fatto,

e poi metto mia moglie alla tortura,

e strappo dalla fronte di Meg Page

il velo d’una falsa pudicizia;

e proclamo lo stesso mastro Page

un Atteone, cornuto e contento.

E tutto il vicinato, son sicuro,

non potrà che plaudir concordemente

a tal deciso mio comportamento.

(Si odono battere le ore all’orologio di Windsor)

L’orologio mi dà quasi l’avvio,

e la certezza mi sprona ad agire.

Falstaff è là, in casa mia. Ci vado!


Fa per partire, ma si trova a faccia a faccia con PAGE, ZUCCA, STANGHETTA, l’OSTE, EVANS, CAJUS e RUGBY, che stanno entrando

TUTTI -

Felici d’incontrarvi, mastro Ford!

FORD -

Eh, che bella brigata, in fede mia!

Ho in casa delle vere squisitezze.

Venite, favorite tutti, prego!

ZUCCA -

Non posso, mastro Ford, vi chiedo scusa.

STANGHETTA -

Anch’io devo scusarmi, mastro Ford.

Siamo invitati a pranzo da miss Anna,

e, francamente, non vorrei guastarmela,

per quant’oro si possa immaginare.

ZUCCA -

Sapete, abbiam proposto un matrimonio

tra Anna Page e questo mio nipote,

oggi dovremmo avere la risposta.

STANGHETTA -

(A Page)

Spero nel vostro assenso, papà Page…

PAGE -

Il mio l’avete già, mastro Stanghetta.

(A Cajus)

Mia moglie sta per voi, mastro dottore.

CAJUS -

Eh, certo, è me che ama la ragazza!

Così mi dice sempre la mia Quickly.

OSTE -

E di quel giovanotto, sì, quel Fenton,

che dite, mastro Page?

Quello sa volteggiare, sa ballare,

quello sprizza dagli occhi giovinezza,

compone versi e sa parlar pulito,

ed è tutto un profumo aprile-maggio.

Lui la conquisterà, vincerà lui!

Anzi, ce l’ha già in pugno, l’ha già vinta!

PAGE -

Non con il mio consenso, state certo.

Quel signorino là non ha un quattrino,

ha fatto parte della compagnia

di scapestrati col principe e Poins;

e poi viene da troppo alta estrazione,

e la sa troppo lunga… Niente, niente.

No, con le dita del mio patrimonio

quello non riannoderà un sol nodo

delle sue sgangherate condizioni.

La vuole? Se la prenda. Ma lei sola:

per i soldi ci vuole il mio consenso,

e questo va in tutt’altra direzione.

FORD -

Con tutto il cuore, signori, vi supplico,

resti qualcuno a pranzare con me.

Oltre alla buona tavola,

vi prometto che vi divertirete:

vi mostrerò qualcosa di speciale.

Mastro dottore, su, venite voi,

e voi, don Ugo e mastro Page, venite.

ZUCCA -

Allora vi saluto. Arrivederci.

(A parte a Stanghetta)

In casa di suo padre, lui assente,

potremo fare con più libertà

le nostre cose con Annetta Page.


(Esce con Stanghetta)

CAJUS -

Tu, Rugby, torna a casa. Vengo subito.


(Esce Rugby)

OSTE -

Arrivederci, cuoricini miei.

Io torno dal mio bravo cavaliere

a bere un buon canaria insieme a lui.

FORD -

(Tra sé)

Penso che arrivo io prima di te

a ber con lui canaria in dolci calici;

e gliela fo ballare, la canaria.

(Forte)

Venite allora, amici?

TUTTI -

Siam con voi

a veder questa cosa portentosa.


(Escono, entrando in casa Ford)

 

 

 

SCENA III - In casa di Ford. Sala con tre porte, una delle quali fiancheggiata da due finestre che danno sulla strada.
Un arazzo alla parete di destra, che scende fino a terra.
Una scala porta al piano superiore.

 

ALICE FORD e MEG PAGE sono in scena, affaccendate.

 

ALICE -

(Chiamando)

Ehi, oh!, Gianni, Roberto, sbrigatevi!

MEG -

Presto, presto, il cestone del bucato.

ALICE -

È pronto… Ohi, Roberto, siete sordi?


(Entrano dei servi col cestone della biancheria)

MEG -

Avanti, avanti.

ALICE -

Qui, posate qui.

MEG -

(Ad Alice)

Spiegate loro quel che debbon fare.

Alla svelta, però.

ALICE -

Uh, Santa Vergine!

Dunque, allora, voi due, Roberto e Gianni,

come ho detto, starete là, in dispensa,

pronti a venire fuori al primo cenno;

e, senza alcun indugio o esitazione,

vi caricate il cesto sulle spalle

e difilato ai prati di Duchet,

dove si trovano le lavandaie,

ed una volta là, lo rovesciate

sulla riva melmosa del Tamigi.

MEG -

Avete inteso bene?

ALICE -

Gliel’ho detto e ridetto mille volte:

non han bisogno d’altro.

(Ai due servi)

Andate là,

e uscite appena sarete chiamati.


(Escono i servi)


Entra ROBIN

MEG -

Ecco il piccolo Robin.

ALICE -

Allora, falchettino, che ci dici?

RUGBY -

Signora Ford, Sir John, il mio padrone

è qui alla vostra porta di servizio,

e chiede di vedervi.

MEG -

Senti un po’, pupazzetto da vetrina,

non ci avrai mica scoperte con lui?

ROBIN -

Oh, no, posso giurarlo. Il mio padrone

non sa nemmeno che voi siete qui;

vi dico, anzi, che m’ha minacciato

di mettermi per sempre in libertà

se ve n’avessi detto qualche cosa.

Ha giurato di mettermi sul lastrico.

MEG -

Bravo ragazzo! La tua discrezione

sarà il tuo sarto: t’avrà guadagnato

un bel farsetto e due gambali nuovi.

Vado a nascondermi.

ALICE -

Andate, presto!

(A Robin)

Torna dal tuo padrone

e digli che mi trovo sola in casa.


(Esce Robin)


Signora Page, ricordatevi bene,

mi raccomando, quando tocca a voi,

d’entrare in scena.

MEG -

Contateci pure,

e se dovessi sbagliare, fischiatemi.


(Esce)

ALICE -

Lo dobbiamo conciare per le feste

questo fetido untuoso viscidume,

questo popone riempito d’acqua;

gl’insegneremo una volta per sempre

a distinguer le tortore dai corvi!


Entra FALSTAFF dalla porta opposta a quella da dove è uscita Meg

FALSTAFF -

“Alfin ti tengo, o mio divin gioiello!”

Ch’io muoia ormai, ché assai avrò vissuto!

D’ogni mia ambizione è questo il culmine!

Ora sublime di beatitudine!

ALICE -

O soave sir John!

(Si abbracciano)

FALSTAFF -

Signora Ford,

io non son uomo da lisciar le donne

o usar con loro dolci paroline.

Ti confesso un colposo desiderio:

vorrei che tuo marito fosse morto.

Proclamerei davanti al Re dei Re

che vorrei fare di te la mia lady.

ALICE -

Io, sir John, vostra lady?… Ahimè, sir John,

quale meschina lady sarei io!

FALSTAFF -

Che me ne mostri un’altra più regale

l’intera corte di Francia. Il tuo occhio

potrebbe gareggiare col diamante,

la tua fronte ha l’arcuata venustà

che s’addice alla foggia dei capelli,

a carena di nave, a vela al vento,

o ad altra superba acconciatura

ammessa dalla moda di Venezia.

ALICE -

Un fazzoletto, sir John, e nient’altro

s’addice alla mia fronte, ed anche quello

nemmeno tanto bene.

FALSTAFF -

Avanti a Dio,

sei tiranna a te stessa a dir così!

Tu saresti una gran dama di corte,

ed il fermo equilibrio del tuo piede

ti darebbe un incedere armonioso

nel semicerchio del tuo guardinfante.

So ben io quale donna tu saresti,

se Fortuna ti fosse stata amica

per quanto amica t’è stata Natura.

Suvvia, non fingere di non saperlo!

ALICE -

Oh, nulla c’è di questo in me, credetemi.

FALSTAFF -

Che cos’è allora che di te m’attira?

Questo solo dovrebbe persuaderti

che c’è qualcosa in te di straordinario.

Io non uso parole di lusinga,

non so dirti: “Sei questo, sei quest’altro”,

come fan certi mammoletti in boccio

balbettando, che se ne vanno in giro

come femmine in abito maschile

e profumano l’aria come Blùcklesbury

al tempo delle semplici.

Questo non lo so fare.