Ma io t’amo!

Amo te sola, e tu ne sei ben degna!

ALICE -

Ah, per pietà, sir John, non m’ingannate!

Ho paura che dentro il vostro cuore

ci sia piuttosto la signora Page.

FALSTAFF -

A sentirti dir questo,

è come se t’udissi rinfacciarmi

che mi piace d’andare avanti e indietro

all’ingresso del carcere per debiti;

cosa che mi sarebbe più indigesta

che respirare vapori di calce.

ALICE -

Sa il cielo quanto v’amo…

e verrà il giorno che l’accerterete.

FALSTAFF -

Serbatevi così. Ne sarò degno.

ALICE -

Degno lo siete già;

non m’avreste trovata, devo dirlo,

se no, con animo sì ben disposto.


Rientra ROBIN

ROBIN -

Signora Ford, signora, c’è alla porta

madama Page sudata, trafelata,

tutta sconvolta, vuol vedervi subito.

FALSTAFF -

Oh, Dio! Non voglio che mi trovi qui!

Mi nascondo… là, dietro quell’arazzo.

ALICE -

Oh, sì, per carità, che non vi veda!

Quella è una donna tanto linguacciuta!


(Falstaff va a nascondersi dietro l’arazzo)


Entra MEG PAGE


Ebbene, che c’è dunque? Che succede?

MEG -

Ohimè, signora Ford, che avete fatto?

Siete disonorata, svergognata,

rovinata… per sempre!

ALICE -

Ma che dite!

Signora Page, mia cara, che vi prende?

MEG -

Ohimè, signora Ford…

con un tal galantuomo di marito,

dargli questi motivi di sospetto!

ALICE -

Motivi di sospetto!… Che motivi?

MEG -

Che motivi… E lo chiedete a me?

Ah, che m’ero sbagliata su di voi!

ALICE -

Insomma, via, che c’è? Di che si tratta?

MEG -

Donna, vostro marito sta venendo

insieme a tutte le guardie di Windsor

in cerca di qualcuno: un gentiluomo,

egli dice, che è qui, tra queste mura,

e per di più con il vostro consenso,

per profittare della sua assenza

a sconci fini… Siete rovinata!

ALICE -

Ah, spero che non sia come voi dite!…

MEG -

Pregate il cielo che non sia così,

che non l’abbiate in casa, quel signore…

Quello che è più che certo

è che vostro marito sta arrivando

con mezza Windsor alle sue calcagna,

risoluto a cercar questo qualcuno;

ed io son corsa ad avvertirvi in tempo.

Se vi sentite in tranquilla coscienza,

tanto meglio per voi, ne son felice;

ma se avete un amico dentro casa,

mandatelo, mandatelo via subito!

Non state lì tutta trasecolata,

richiamatevi tutti i vostri spiriti,

difendetevi la reputazione

o vi toccherà dir per sempre addio

alla vostra beata e bella vita!

ALICE -

Che devo fare? C’è qui un gentiluomo,

un caro amico; e temo più per lui

che per la stessa mia reputazione.

Come faccio?… Darei mille sterline

pur di saperlo lontano da qui.

MEG -

Vergogna! Ma non state ad indugiare

adesso tra il “darei” e “non darei”.

Muovetevi! Vostro marito è qui.

Escogitate qualche scappatoia:

in casa, qui, non potete nasconderlo…

Ah, come son delusa su di voi!…

Oh, qui c’è un un grosso cesto…

Se fosse di statura ragionevole

ci si potrebbe rannicchiare dentro,

e ci buttate sopra i panni sporchi

come dovessero andare al bucato;

anzi, siccome il giorno del bucato

è proprio oggi, chiamate due uomini

che lo portino via, dentro quel cesto,

ai prati di Dachet.

ALICE -

È troppo grosso

per entrare là dentro… Che facciamo?…

FALSTAFF -

(Uscendo da dietro l’arazzo)

Vediamo un po’… vediamo…

Ci posso stare, sì, ci posso stare…

(Ad Alice)

Date retta alla vostra amica: c’entro.

MEG -

Che! Sir John Falstaff?… Voi!

(A parte, a Falstaff)

È questo che mi dite, cavaliere,

nella lettera?

FALSTAFF -

Io amo te sola,

e nessun’altra. Aiutami a scappare.

Se ce la faccio a infilarmi là dentro,

ti giuro che mai più…


(Entra nel cesto. La due donne lo ricoprono con

biancheria da mandare al bucato)

MEG -

(A Robin)

Su, su, ragazzo,

aiutami a coprire il tuo padrone.

(A parte, a Falstaff)

Ipocrita d’un cavaliere!…

ALICE -

(Chiamando)

Ehi, voi,

Roberto, Gianni, su, venite fuori!


Rientrano i due SERVI


Portate via questi panni, ma presto!

Dov’è la pertica?… Su, pelandroni!

Alla lavanderia di Dachet… Su, alla svelta!


Mentre i due servi, sollevato il cesto con la pertica e incollatolo stan per uscire, si spalanca la porta che dà sulla strada ed entrano FORD, PAGE, il dottor CAJUS e don Ugo EVANS.

FORD -

(Ai tre che lo seguono)

Avanti, avanti, favorite, prego!

E se trovate che i sospetti miei

sono infondati, sghignazzate pure

alle mie spalle, fate pur di me

il vostro spasso. L’avrò meritato.

(Ai servi che stanno uscendo col cesto)

E voi, con quella roba?… Dove va?

UN SERVO -

Dove volete che vada? Al bucato.

ALICE -

Eh, che t’impicci tu dove lo portano?

T’interessi di panni sporchi adesso?

FORD -

Panni sporchi? Ce n’è in questa casa,

da farci un bel bucato…


(Escono i servi col cestone)


Miei signori, stanotte ho fatto un sogno

che desidero proprio raccontarvi…


(Distribuisce a ciascuno dei tre delle chiavi)


A voi… a voi… a voi…

Sono tutte le chiavi della casa,

salite su alle camere, cercate,

rovistate, frugate dappertutto:

staneremo la volpe, garantito!

Prima però convien chiudere questa.


(Chiude a chiave la porta da cui sono entrati)


Ed ora, via alla caccia! Sguinzagliamoci!

PAGE -

Mio caro Ford, non v’agitate troppo,

vi può far male.

FORD -

È vero, mastro Page.

Ma su, salite, vi divertirete!

Seguitemi, seguitemi, signori!


(Page, Cajus e don Evans salgono con Ford al piano superiore)

MEG -

Così ci procuriamo un doppio spasso.

ALICE -

Non so che cosa sia più divertente,

la delusione data a mio marito

o quella a sir John Falstaff.

MEG -

Poveretto!

Chi lo sa che paura,

quando ha sentito che vostro marito

ha chiesto ai servi quel che c’è nel cesto!

ALICE -

Ho anche mezza idea

che avrà pure bisogno di lavarsi,

tanto che ad essere buttato in acqua

gli avrà recato un certo beneficio.

MEG -

S’impicchi, disonesto manigoldo!

Per me, vorrei che questo trattamento

toccasse a tutti quelli del suo stampo.

ALICE -

Mio marito però qualche ragione

di sospettar che Falstaff era qui,

doveva averla; perché prima d’oggi

non ricordo d’averlo visto mai

così accecato dalla gelosia.

MEG -

Questo studierò il modo di appurarlo.

Pensiamo adesso a come architettare

qualche altra burla alle spalle di Falstaff;

perché non basta questo solo farmaco

a guarirlo del suo male lascivo.

ALICE -

Se gli mandassimo madama Quickly,

quella vecchia carcassa testamatta,

a recargli le nostre vive scuse

per quel bagno forzato,

e a suscitare in lui nuove speranze

per attirarlo in un altro castigo?

MEG -

Detto fatto: invitiamolo da noi

domattina alle otto, per scusarci


Rientrano, da sopra, FORD, PAGE, CAJUS e EVANS.

FORD -

Non s’è trovato… Forse quel cialtrone

ha soltanto voluto menar vanto

di cosa che non gli riuscì ottenere.

MEG -

(A parte ad Alice)

Avete udito?

ALICE -

(Con aria risentita)

Mi trattate bene,

eh, mastro Ford!

FORD -

Infatti, molto bene.

ALICE -

Ti renda il ciel miglior dei tuoi pensieri.

FORD -

Amen.

MEG -

A comportarvi in questo modo,

fate torto a voi stesso, mastro Ford.

EVANS -

Dio mi pertoni tutti i miei peccati

il ciorno del Ciudizio unifersale,

se nella casa c’è anima viva,

sia nelle camere, sia negli armadi,

e sia nei cassettoni…

CAJUS -

E così a me, parbleu;

nessuno.

PAGE -

Che figura, mastro Ford!

Si può sapere quale Satanasso

v’ha messo in capo certe fantasie?

Non mi vorrei sentire, v’assicuro,

così scornato, per tutti i tesori

del castello di Windsor!

FORD -

Colpa mia, mastro Page, sì, tutta mia,

e tutta mia ne sia la sofferenza.

EVANS -

Di fostra sofferenza è solo origine

la vostra stessa cattiva coscienza:

vostra moglie è una donna costumata.

Ce ne fosse pur una come lei

in mezzo a cinquemila,

che dico, pure in mezzo a cinquecento!

CAJUS -

Così pare anche me che sia, parbleu.

FORD -

Bene, vi avevo promesso un pranzetto.

Prima facciamo due passi nel parco.

Vi prego di volermi perdonare.

Dopo vi spiegherò perché l’ho fatto.

Suvvia, moglie, suvvia, signora Page,

vi prego, perdonatemi…

Con tutto il cuore prego: perdonatemi!

PAGE -

(A Cajus ed Evans)

Bene, andiamo, signori.

(A parte ai due)

Ma, intendiamoci:

non cesseremo di prenderlo in giro.

(Forte)

Domani, a casa mia per colazione;

poi si va tutti insieme ad uccellare.

Ho un falco prodigioso, un fruga-fratte.

Vi sta bene?

FORD -

Come volete voi.

EVANS -

Se c’è già il primo, io sarò il secondo.

CAJUS -

E se ci saran già primo e secondo,

io non mi tiro indietro a fare il terzo.

FORD -

Vi prego, mastro Page, accomodatevi.

EVANS -

(A parte, a Cajus)

Domani ricordiamoci, vi prego,

di quell’oste, quel lurido furfante.

CAJUS -

E come no, parbleu!, con tutta l’anima.

EVANS -

Pitocchioso furfante!

Permettersi con noi scherzi del genere!


(Escono tutti)

 

 

 

SCENA IV - Davanti alla casa di Giorgio Page

 

FENTON e ANNETTA sono seduti sotto un albero

 

FENTON -

A tuo padre non vado proprio a genio.

È inutile, perciò, mia dolce Annetta,

che mi chiedi di andare ancor da lui.

ANNA -

Allora?

FENTON -

Allora decidi tu stessa.

Dice che son troppo alto di natali

e che, siccome ho tutto sperperato

dei miei averi, spendendo e spandendo,

voglio rimpannucciarmi ora col suo.

Eppoi mi mette avanti altre barriere:

i miei trascorsi di sregolatezze,

le mie poco pulite compagnie…

e dice che per lui non è possibile

ch’io t’ami altro che pei tuoi quattrini.

ANNA -

Forse è nel vero…

FENTON -

No, Anna, ti giuro,

così potesse esaudire il cielo

i mie voti!… Seppure, lo confesso,

all’inizio gli averi di tuo padre

siano stati la molla che m’ha spinto

a corteggiarti, standoti vicino,

ho scoperto che in te, Annetta mia,

c’è più valore di tutto il suo oro

e di tutti i suoi sacchi di monete.

È la ricchezza che tu porti in te

cui io aspiro.

ANNA -

Fenton mio cortese,

conquistatevi il cuore di mio padre,

riprovateci ancora, signor mio.

Se poi, malgrado tutte le occasioni,

malgrado le più umili insistenze,

non s’approderà a nulla, ebbene allora…


Si alzano traendosi in disparte e continuando a parlare, quando improvvisamente s’apre la porta di casa Page e ne escono ZUCCA, STANGHETTA e QUICKLY

ZUCCA -

(A Quickly, indicando Annetta e Fenton)

Interrompeteli, madama Quickly:

Ora deve parlarle mio nipote.

STANGHETTA -

Oh, giusto per scoccar uno-due strali,

così, e vedere quello che succede…

ZUCCA -

Sì, ma senza lasciarti intimidire.

STANGHETTA -

Oh, non è lei che mi può intimidire!

Non è questo… È questione che ho paura.

QUICKLY -

(Avvicinandosi ad Annetta)

Ecco, sentite, c’è mastro Stanghetta

che vuol dirvi qualcosa.

ANNA -

Vengo subito.

(A parte a Fenton)

È quello il candidato di mio padre.

Ohibò, guardate come un universo

di schifosa bruttezza e di difetti

può riuscire attraente

grazie a trecento sterline di rendita.

QUICKLY -

E come va il mio bravo mastro Fenton?

(Traendolo in disparte)

Di grazia, vorrei dirvi una parola.


(Si apparta con Fenton. Annetta va verso Zucca)

ZUCCA -

Eccola, viene. Va’ da lei, nipote.

Oh, ragazzo, tu hai avuto un padre.

STANGHETTA -

Un padre, sì, madamigella Anna,

l’ho avuto, e qui mio zio può anche dirvi

un sacco di facezie su di lui…

Vi prego, zio, raccontate a miss Anna

di quella volta che il babbo rubò

due oche dal pollaio… Avanti, zio!

ZUCCA -

(Senza curarsi di Stanghetta)

Miss Anna, mio nipote vi vuol bene.

STANGHETTA -

Ah, sì, certo, che bene gliene voglio,

come lo voglio a qualunque altra donna

della Contea di Gloucester…

ZUCCA -

(c.s.)

… V’assicuro,

vi farà fare vita da signora…

STANGHETTA -

E sì, perdio, a corto e lungo termine,

come si spetta ad uno ch’è inferiore

d’un sol gradino a quello di scudiero.

ZUCCA -

… E vi garantirà un vitalizio

annuo di centocinquanta sterline.

ANNA -

Mastro Zucca, lasciate parlar lui,

vi prego.

STANGHETTA -

Giusto, sì, ve ne ringrazio!

Vi ringrazio dell’incoraggiamento.

ZUCCA -

(A Stanghetta)

Nipote, vuole che le parli tu.

Io vi lascio.

(Si allontana)

ANNA -

Sicché, mastro Stanghetta…

STANGHETTA -

Sicché, mia buona signorina Annetta…

ANNA -

Qual è dunque la vostra volontà?

STANGHETTA -

La volontà… la mia… Cuore di Dio,

questa è davvero bella!

Io non ho fatto ancora testamento,

deograzia, non son proprio una creatura

così male in salute, lode al cielo!

ANNA -

Volevo intendere, mastro Stanghetta,

che cos’è che volete voi da me.

STANGHETTA -

Per parte mia, a dir la verità,

da voi non voglio nulla… o quasi nulla.

Sono stati mio zio e vostro padre

a prendersi la briga per mio conto;

e, se la cosa si può fare, bene;

se no, fortuna arriva al preferito.

Essi vi possono spiegare meglio

come stanno le cose.

Domandatelo pure a vostro padre,

vedo che sta venendo.


Entrano, uscendo di casa, Giorgio PAGE e la moglie MEG

PAGE -

Salute, mastro Adamo.

Anna, figliola mia, vogligli bene.

(Scorgendo Fenton)

Ebbene, che ci fa qui mastro Fenton?

(A Fenton)

Questo trovarvi sempre in casa mia,

signore, non mi torna affatto a genio.

V’ho già detto, mi pare, e ripetuto

che questa mia figliola è già impegnata.

FENTON -

Evvia, buon mastro Page, non arrabbiatevi.

MEG -

Mastro Fenton, davvero: per favore,

non venite più dietro alla mia bimba.

PAGE -

Non è roba per voi!

FENTON -

Signore mio,

posso parlarvi almeno un sol momento?

PAGE -

È inutile. Venite, mastro Zucca,

entrate.

(A Stanghetta)

Su, figliolo, favorite.

(A Fenton)

Poiché sapete già come la penso,

m’infastidite solo, mastro Fenton!


(Escono Page, Zucca e Stanghetta, entrando in casa Page).

QUICKLY -

(A Fenton)

Ecco, parlate alla signora Page.

FENTON -

(A Meg)

Buona signora, io amo vostra figlia

d’un sentimento sì serio ed onesto,

che son costretto a issare il suo vessillo

sopra ogni ostacolo, sgarbo, ripulsa,

senza dover indietreggiare un pollice.

Ch’io abbia almeno il vostro benestare.

ANNA -

Madre mia santa, per l’amor di Dio,

non mandatemi sposa a quel babbeo!

MEG -

Non ci penso nemmeno, figlia mia.

Per te tua madre ha in mente d’assai meglio.

QUICKLY -

Il dottor Cajus, eh?, il mio padrone…

ANNA -

Ah, no! Magari sotterrata viva,

e lapidata a morte con i cavoli!

MEG -

Beh, mastro Fenton, non vi date pena:

non vi sarò né amica né nemica;

voglio solo sentire da mia figlia

fino a che punto ella sente di amarvi,

e poi deciderò in conseguenza.

Fino allora, signore, arrivederci.

Anna deve rientrare in casa subito,

se non vuol che suo padre vada in bestia.

FENTON -

Signora, arrivederci. Addio, Annetta.


(Escono, rientrando in casa, Meg e Annetta)

QUICKLY -

(A Fenton)

Tutto merito mio. “Eh, no - le ho detto,

non getterete ai cani vostra figlia

dandola ad un babbeo o ad un cerusico!

Ma guardatelo bene, il signor Fenton!”

Tutto merito mio.

FENTON -

Te ne ringrazio,

e ti prego portare, appena notte,

questo anello alla mia dolce Nannina.

(Le consegna un anello)

Questo è pel tuo disturbo. Arrivederci.


(Le dà del denaro ed esce)

QUICKLY -

(Seguendolo con lo sguardo)

Ti mandi il cielo la buona fortuna.

Che cuore generoso! Non c’è donna

che per un cuore così generoso

non passerebbe sul fuoco e sull’acqua…

Eppure non mi spiacerebbe affatto

che l’Annetta l’avesse il mio padrone…

o anche, perché no? mastro Stanghetta…

oppure, sì, questo giovane Fenton.

Farò quanto potrò per tutti e tre,

perché così ho promesso,

anche se un po’ di più per mastro Fenton…

Ma che bestia son io, a stare qui

a ciondolarmi così fino ad ora!


(Esce)

 

 

 

SCENA V - La locanda della “Giarrettiera”. Mattina.

 

FALSTAFF sta scendendo dalla sua camera.

 

FALSTAFF -

(Chiamando)

Bardolfo!

BARDOLFO -

(Comparendo da una porta)

Son qua, signore. Agli ordini!

FALSTAFF -

Vammi a prendere un quarto di vin cotto

ed inzuppaci un buon crostino caldo.


(Esce Bardolfo. Falstaff scende e si siede)


Sarò dunque vissuto fino ad oggi

per esser trasportato in un cestone

e gettato nell’acqua del Tamigi

come i rifiuti d’una beccheria?…

Ah, mi dovesse ancora capitare

di cader dentro a una simile trappola,

meglio farmi strappare le cervella

e friggerle nel burro a fuoco lento,

per poi buttarle da mangiare ai cani

in regalo per cena a Capodanno!

M’han buttato nel fiume, quei furfanti,

con la stessa svagata noncuranza

che se dovessero affogare in acqua

una covata di catelli ciechi:

e potete capir, dalla mia mole,

s’io abbia una speciale propensione

ad affogare con facilità;

fosse pur stato il letto di quel fiume

più profondo del fondo dell’inferno,

si può star certi che l’avrei toccato;

non fosse stato il livello dell’acqua

così basso, sarei certo affogato…

Una morte che aborro, perché l’acqua

ti gonfia piano piano tutto il corpo,

e figurarsi allora che spettacolo

sarei stato, più gonfio che già sono!

Una montagna di carne, perdio!


Rientra BARDOLFO con il vino

BARDOLFO -

Monsignore, c’è qui madama Quickly

che vorrebbe parlarvi.

FALSTAFF -

Vieni, vieni,

fammi prima versare un po’ di vino

sull’acqua del Tamigi. Ho freddo in pancia

manco avessi inghiottito, come pillole,

palle di neve a rinfrescar le reni.

Falla venire.

BARDOLFO -

Avanti, buona donna.


Entra QUICKLY

QUICKLY -

Con permesso… Vi prego di scusarmi…

Buongiorno a vostra signoria illustrissima.

FALSTAFF -

(A Bardolfo, dopo aver bevuto tutto)

Porta via questa roba,

e preparami un beverone caldo.

BARDOLFO -

Con le uova, signore?

FALSTAFF -

No, senza. Niente sperma di pollame

dentro i miei beveraggi.


(Esce Bardolfo)


(A Quickly)

Che c’è dunque?

QUICKLY -

Ecco, vengo da vostra signoria

dalla parte della signora Ford.

FALSTAFF -

Signora Ford?… Di fiordi n’ho abbastanza

dopo il bagno che ho fatto nel suo fiordo!

Ho piene le budella di quell’acqua!

QUICKLY -

Ahimè, che in tutto questo, monsignore,

la poveretta non ha proprio colpa!

È furibonda coi suoi servitori

che han male inteso le sue erezioni.

FALSTAFF -

E così io le mie,

a illudermi di poter costruire

sulle promesse d’una scervellata!

QUICKLY -

Ah, la vedeste, com’è desolata,

signore, vi si strapperebbe il cuore!

Stamane suo marito va a cacciare;

ella vi prega di tornar da lei,

fra le otto e le nove.

Debbo portarle la risposta subito.

Vi farà piena ammenda, v’assicuro.

FALSTAFF -

Va bene. Tornerò a vederla. Diglielo.

E digli pure che rifletta bene

che cos’è un uomo e l’umana fralezza;

e giudichi, pertanto, del mio merito.

QUICKLY -

Glielo dirò.

FALSTAFF -

Fra le nove e le dieci,

hai detto?

QUICKLY -

No, fra le otto e le nove.

FALSTAFF -

Bene, va’ pure. Non le mancherò.

QUICKLY -

La pace sia con vostra signoria.


(Esce)

FALSTAFF -

Strano che ancora quel mastro Ruscello

non si sia visto; m’ha mandato a dire

che l’avessi aspettato… Eh, quel denaro

mi farebbe assai comodo… Ma eccolo!


Entra FORD come mastro RUSCELLO

FORD -

Dio vi protegga, illustre cavaliere!

FALSTAFF -

Caro signor Ruscello!

Venite per sapere com’è andata

con la moglie di Ford?

FORD -

Per questo, appunto.

FALSTAFF -

Non vi dirò bugia, signor Ruscello.

Sono stato da lei, a casa sua,

all’ora ch’ella aveva stabilito.

FORD -

Andato tutto bene?

FALSTAFF -

Tutto male,

anzi malissimo, signor Ruscello.

RUSCELLO -

Come mai? Ha mutato forse idea?

FALSTAFF -

Macché, signor Ruscello, non è questo;

è che quel gran cornuto del marito

che, geloso com’è,

vive continuamente nel sospetto,

s’è presentato là

che c’eravamo appena sbaciucchiati

scambiando qualche dolce parolina…

S’era appena, diciamo, recitato

il breve prologo della commedia,

e arriva lui, portandosi alle spalle

una masnada di suoi compagnacci,

là richiamati ed istigati apposta

dalla sua furibonda gelosia;

e tutti a rovistare per la casa

in cerca dell’amante della moglie.

FORD -

E voi stavate là?

FALSTAFF -

Io stavo là.

FORD -

E lui ha rovistato tutta casa,

senza trovarvi?

FALSTAFF -

Fatemi finire.

A un certo punto, per buona fortuna,

arriva là una tal madama Page

ad avvertire che Ford sta arrivando;

ed a costei salta in testa l’idea

(con la moglie di Ford che, poveretta,

non connetteva più dallo sgomento)

d’infilarmi nel cesto del bucato.

FORD -

Nel cesto del bucato?

FALSTAFF -

Eh, sì, perdio!

Era proprio il cestone del bucato.

E mi ci hanno cacciato dentro a forza

insieme con camicie, sottovesti,

calzini, calze, tovaglioli sporchi,

mutande, tutta roba unta e bisunta

ch’era, credetemi, mastro Ruscello,

l’accozzaglia più fetida e schifosa

dei più maligni e nauseabondi lezzi

ch’abbian colpito mai narice d’uomo.

FORD -

E quanto tempo ci siete rimasto?

FALSTAFF -

Eh, perbacco, ma state ora a sentire

tutto quel che ho dovuto sopportare

per cercar di portare quella donna

al malo passo e compiacere a voi.

Così inzeppato dentro quel cestone,

dalla padrona furono chiamati

un paio di screanzati villanzoni,

servi di Ford, per trasportarmi via

come fossero panni da lavare

a Dachet, presso i banchi del Tamigi.

Quelli mi si issaron sulle spalle

e, uscendo, si trovarono di faccia

quel tanghero geloso del padrone,

che chiese, lì per lì, una-due volte,

che cosa mai portassero nel cesto.

Non vi sto a dir se tremai di paura

al pensiero che a quel pazzo babbeo

venisse in mente di frugar là dentro;

senonché il Fato, avendo decretato

ch’egli debba restar comunque becco,

gli trattenne la mano. A farla breve,

lui seguita a cercar per tutta casa,

io sguscio fuori con i panni sporchi.

Ma sentite ora il seguito, sentite:

ho sofferto gli spasimi e l’angoscia

di tre diverse morti:

prima, per lo spavento intollerabile

di venire scoperto lì per lì

da un caprone col campanaccio al collo

geloso marcio come quello là;

seconda, per il rischio di restare

piegato lì, come dentro a una botte,

che con la testa mi toccavo i piedi

curvo come una lama di Bilbao

quando si prova, punta contro manico;

terza ed ultima, per il gran terrore

di rimaner lì dentro soffocato,

come impregnato da una forte essenza

in mezzo a tutti quei luridi panni

emananti un fetore irresistibile

e già in fermento per il lor grassume…

Figuratevi, un uomo come me,

della mia complessione corporale

che si squaglia al calore come burro,

un uomo ch’è un continuo liquefarsi,

un trasudare liquido dai pori…

Insomma, è stato proprio per miracolo

se non son morto per soffocamento!

E, al culmine di questo bagno turco,

quand’ero già stracotto in quel grassume

come dello stufato alla fiamminga,

non mi buttano in acqua nel Tamigi?

E, bollente com’ero,

di colpo raffreddato in acqua gelida,

mi metto a friggere ed a sibilare

come - pensate un po’ mastro Ruscello -

un ferro di cavallo arroventato!

FORD -

Son proprio dispiaciuto, cavaliere,

sinceramente che, per causa mia,

voi abbiate sofferto tutto questo.

Debbo pensare allora, cavaliere,

che il mio disegno non ha più speranze?

Non vorrete tentare più con lei?

FALSTAFF -

Ah, piuttosto che arrendermi così,

signor Ruscello, mi fo buttar vivo

nel cratere dell’Etna,

come lo sono stato nel Tamigi!

Stamane suo marito è andato a caccia

ed ho avuto da lei un altro invito:

d’incontraci di nuovo a casa sua,

tra le otto e le nove.

FORD -

Poffarbacco!

Son già passate le otto, sir John!

FALSTAFF -

Ah, sì? Bisogna allora che m’affretti.

Passate poi da me con vostro comodo

e potrete sapere com’è andata;

così coroneremo la conquista

col godervela voi. Per ora addio.

Ve la godrete, sì, mastro Ruscello!

E lo farete cornuto, quel Ford!


(Esce)

FORD -

Uhm… è visione, è sogno tutto questo?

Sogno o son desto?… Sveglia, mastro Ford!

Ecco quel che succede ad ammogliarsi.

Ecco quel che vuol dire avere in casa

panni sporchi e cestoni pel bucato!

Eh, ma dovrà sapere chi son io!

Stavolta lo sorprendo, il libertino!

È in casa mia, non può scapparmi più,

non è possibile; non può sgusciare

dentro ad un borsellino da due soldi,

oppur dentro al barattolo del pepe!

Stavolta, se il demonio che lo guida

non l’aiuta, lo cerco dappertutto,

nei posti più nascosti, più incredibili!

Se non posso evitare

d’esser quello che sono, mai sarà

ch’io m’assoggetti tanto docilmente

ad esser quello che vorrei non essere.

Se ho corna da venir pazzo furioso,

che si dimostri vero in me quel detto:

“Tanto furioso da incornare tutti!”


(Esce)

 

ATTO QUARTO

 

 

SCENA I - Windsor, una strada davanti alla casa di Page.

 

MEG PAGE esce di casa con QUICKLY e GUGLIELMINO

 

MEG -

(A Quickly)

Pensi tu ch’egli sia già a casa Ford?

QUICKLY -

Se non c’è già, starà per arrivarci.

Ma, credetemi, è proprio fuor dai càncheri,

per via di quella bagnatura fredda…

Madama Ford vi vuol vedere subito.

MEG -

Sarò là fra un momento. Solo il tempo

d’accompagnare a scuola il mio ragazzo.

Oh, guarda, il suo maestro!

È giorno di vacanza, a quanto pare.


Entra don Ugo EVANS


Com’è, don Ugo, niente scuola, oggi?

EVANS -

No. Per licenza di mastro Stanghetta,

oggi fanno vacanza.

QUICKLY -

Benedetto!

MEG -

Don Ugo, mio marito

non fa che dirmi che questo ragazzo

non fa nessun progresso nello studio.

Non vorreste di grazia interrogarlo

con qualche domandina di grammatica?

EVANS -

Vieni qua, Guglielmino… su la testa!

MEG -

Su, su, figliolo, tieni su la testa

e rispondi al maestro, non temere.

EVANS -

Quanti numeri ha il nome, Guglielmino?

GUGLIELMINO -

Due.

QUICKLY -

Ma guarda! Davvero?

Pensavo ce ne fosse uno in più,

perché si dice: “Dio è uno e trino”.

EVANS -

Silenzio, voi, con queste vostre ciarle!

Guglielmino, come si dice “bello”?

GUGLIELMINO -

Pulcher.

QUICKLY -

Bella, la pulce?…

Ci son cose più belle, al mondo, eh!

EVANS -

Siete una tonna molto sempliciotta.

Silenzio. Guglielmino, cos’è lapis?

GUGLIELMINO -

Una pietra.

EVANS -

E cos’è una pietra?

GUGLIELMINO -

Un sasso.

EVANS -

No, lapis, lapis, ficcatelo in testa.

GUGLIELMINO -

Lapis.

EVANS -

Così va bene. E dimmi un po’,

da chi son dati in prestito gli articoli?

GUGLIELMINO -

In prestito gli articoli son dati

dai pronomi, e si posson declinare,

così: nominativo singolare;

hic, haec, hoc.

EVANS -

Hig, heg, hog, sì, bene, bravo.

Attento adesso: genitivo huius,

accusativo…

GUGLIELMINO -

Accusativo hinc.

EVANS -

No, ragazzo, ricòrdatelo bene:

accusativo, hung, hang e hog.

QUICKLY -

Hang-hog” è la pancetta di maiale,

in latino, ve l’assicuro io.

EVANS -

Donna, smettetela d’interloquire!

E qual è il vocativo, Guglielmino?

GUGLIELMINO -

“O”… comincia con “O”…

EVANS -

No, Guglielmino,

ricorda bene: il vocativo è “caret”.

QUICKLY -

“Carota”, sì, è una buona radice.

EVANS -

E basta, insomma, buona donna!

MEG -

Zitta!

EVANS -

Genitivo plurale, Guglielmino?

GUGLIELMINO -

Il genitivo…

EVANS -

Avanti.

GUGLIELMINO -

Il genitivo…

il genitivo è horum, harum, horum.

QUICKLY -

Che parolacce, da insegnare ai bimbi!

EVANS -

Tacete, donna, almeno per pudore!

QUICKLY -

Fate male a insegnare ad un bimbetto

certe male parole… e chicche e cacche,

già se l’imparano da loro stessi

fin troppo presto. C’è da vergognarsi!

EVANS -

Donna, sei matta? Che ne vuoi capire

tu, di casi, di numeri e di generi?

Davvero sei la cristiana creatura

più sciocca che si possa immaginare!

MEG -

Ti prego, sta’ tranquilla.

EVANS -

Dammi ora, Guglielmino, qualche esempio

della declinazione dei pronomi.

GUGLIELMINO -

Oh, quelli proprio non me li ricordo.

EVANS -

Son qui, quae, quod, ma se non li ricordi,

i tuoi qui, i tuoi quae ed i tuoi quod,

ti piglierai parecchie sculacciate.

E adesso vattene pure a giocare.

MEG -

Ne sa di più di quanto mi pensassi.

EVANS -

È di buona memoria, bene sveglia.

Signora Page, adesso vi saluto.

MEG -

Arrivederci, caro reverendo.


(Esce don Ugo Evans)


Ragazzo, a casa, su. S’è fatto tardi.


(Escono tutti)

 

 

 

SCENA II - In casa di Ford. In un angolo la cesta del bucato.

 

Entrano FALSTAFF e ALICE FORD

 

FALSTAFF -

Signora Ford, il vostro dispiacere

per quello che è successo

ha divorato ogni mia sofferenza.

M’accorgo quanto siete rispettosa

nel vostro amore, ed io ve lo ricambio,

voglio che lo sappiate, tale e quale,

non solo quanto a intensità di sensi,

ma in tutte l’altre forme e rituali

ond’esso si riveste.

Una cosa, però: siete sicura

quanto a vostro marito?

ALICE -

Oh, sì, è a caccia,

dolce sir John.

LA VOCE DI MEG -

(Da dentro)

Ehi, oh, signora Ford!

ALICE -

Presto, sir John, passate in quella stanza!


(Falstaff sguscia nella stanza attigua, lasciando tuttavia la porta aperta)


Entra MEG PAGE

MEG -

Anima mia, chi c’è con voi in casa?

ALICE -

Nessuno tranne i servi.

MEG -

Veramente?

ALICE -

Ma sì, certo!

MEG -

(Sottovoce)

Parlate un po’ più forte.

ALICE -

Ah, son proprio contenta

che non ci abbiate nessuno.

MEG -

Perché?

ALICE -

Ma perché, cuore mio, vostro marito

è nuovamente in preda ai suoi furori;

ed è laggiù che se la prende calda

con mio marito; e dice peste e corna

di tutti gli uomini che han preso moglie;

maledice le discendenti d’Eva

d’ogni colore, e si batte la fronte

gridando forte “Spuntate! Spuntate!”.

Francamente, qualunque scena pazza

abbia potuto io veder finora,

diviene agli occhi miei

uno spettacolo di tenerezza,

di civiltà e di sopportazione

al confronto di questa sua sfuriata.

Fortuna che il panciuto cavaliere

non è qui.

ALICE -

Ma perché? parla di lui?

MEG -

Anzi, di lui soltanto; e va giurando

che l’altra volta, quando l’han cercato

per tutta casa, gliel’hanno sottratto

sotto gli occhi nascosto dentro un cesto;

e adesso insiste a dire a mio marito

che quello è qui di nuovo;

ed ha costretto lui e tutti gli altri

a interromper la caccia, e venir via

per dimostrar fondati i suoi sospetti.

Ma son proprio contenta, se Dio vuole,

che il vostro cavaliere non sia qui:

vedrà così la propria insensatezza.

ALICE -

Quanto vicino è già, signora Page?

MEG -

Starà in capo alla strada…

Ho idea che sarà qui tra pochi istanti.

ALICE -

Oh, poveretta me! Son rovinata!

Il cavaliere è in casa, qui, davvero!

MEG -

Allora siete davvero nei guai

e lui è un uomo morto!… Ma che fate?…

Che donna siete?… Mandatelo fuori!

Meglio uno scandalo che un omicidio!

ALICE -

Fuori… Ma da che parte può scappare?

Nasconderlo, piuttosto… Sì, ma dove?

Ficcarlo un’altra volta nella cesta?

FALSTAFF -

(Uscendo precipitosamente dall’altra stanza)

Ah, no, eh! Nella cesta non ci torno!

Non posso uscir di qui prima che arrivi?

MEG -

Ahimè, no, sulla porta stan di guardia,

armati di pistola, tre fratelli

di mastro Ford, a che nessuno esca…

se no per voi sarebbe stato facile

scappare… Ma com’è che siete qui?

FALSTAFF -

Che devo fare, insomma? Arrampicarmi

su per la cappa del camino?

MEG -

Ohibò!

Là scaricano sempre i lor fucili.

Magari introducetevi nel forno.

FALSTAFF -

Dov’è?

ALICE -

È inutile, ci andrà a guardare,

sicuramente: non c’è ripostiglio,

cassone, armadio, pozzo, sotterraneo

che non si sia annotato per memoria

e che non vada certo a ispezionare

ad uno ad uno, inventario alla mano.

Non c’è dove nascondersi qui in casa.

FALSTAFF -

Allora vado fuori.

MEG -

Non sia mai!

Se andate fuori così come state,

sir John, potete dirvi un uomo morto…

salvo che non usciate travestito…

ALICE -

Travestirlo… Ma come?

MEG -

Non lo so,

non c’è gonna sì larga che gli vada;

altrimenti con una cuffia in testa,

una sciarpa sul viso ed un fisciù

poteva andare…

FALSTAFF -

Cuoricini miei,

inventate qualcosa; ogni arditezza

piuttosto che lasciarmi in questo guaio.

ALICE -

Di sopra ci sarebbe quella veste

lasciata dalla zia della mia donna,

quella grassona venuta da Brainford…

MEG -

Dovrebbe stargli, è grassa come lui…

e c’è quella sua scuffia con le gale,

e la sciarpa… Sir John, correte sopra!

ALICE -

Su, su, dolce sir John… Noi due frattanto

si cerca un panno per coprirvi il viso.

MEG -

Ma presto, presto!… Verremo su subito

a travestirvi come si conviene.

Voi cominciate a infilarvi la veste.


(Falstaff esce per la scala che porta alle camere)

ALICE -

Come vorrei che adesso mio marito

se lo trovasse in faccia in quell’arnese!

Lui, quella vecchia grassona di Brainford

non l’ha potuta mai mandare giù,

giura che quella è soltanto una strega,

le ha vietato l’ingresso in casa mia

minacciando perfino di picchiarla.

MEG -

Lo guidi il cielo allora in faccia a lui,

e guidi il diavolo le bastonate!

ALICE -

Ma sta venendo sul serio?

MEG -

Ahimè, sì,

e non fa che parlare della cesta…

Chi sa da chi può averlo risaputo…

ALICE -

Lo scopriremo: ordinerò ai servi

di portar via la cesta, come ieri,

sul punto da incontrare mio marito

sulla porta di casa.

MEG -

Già, ma quello a momenti sarà qui.

Andiamo, andiamo sopra

a travestirlo da strega di Brainford.

ALICE -

Prima però voglio dire ai miei servi

quel che debbono fare con la cesta.

Salite voi: porterò io il panno

con cui si dovrà avvolgere la testa.


(Esce)

MEG -

Alla forca quest’empio trappolone!

Non l’avremo beffato mai abbastanza.

E mostreremo all’uomo che allegria
“d’oneste femmine onestà comporta.
“Tra le femmine quella è la più ria
“che fa la gattamorta”.

(Esce salendo le scale)


Rientra ALICE con i due SERVI

ALICE -

Forza, ragazzi, prendete il cestone

a spalla nuovamente; attenti bene:

ora il padrone è alla porta di casa:

se volesse veder quel che c’è dentro,

obbeditegli subito. Alla svelta!

PRIMO SERVO -

(Infilando la pertica nei due manici del cestone)

Su, issa, oh!

SECONDO SERVO -

C’è da pregare il cielo

che non sia carico di cavaliere…

PRIMO SERVO -

Speriamo proprio: piuttosto di piombo!


Mentre sollevano il cesto si spalanca la porta ed entrano FORD, PAGE, ZUCCA, CAJUS e don Ugo EVANS

FORD -

Se poi la cosa risultasse vera,

mastro Page, a che santo v’appigliate

per ripagarmi di tanta irrisione?

(Ai servi che portano il cesto)

Giù quel cesto, furfanti!

Vada qualcuno a chiamare mia moglie!

Il cesto dell’amante fortunato!

Ruffiani! È tutta una cospirazione,

una ganga, un complotto alle mie spalle!

Ma adesso ti svergogno pure il diavolo!

(Chiamando)

Ehi, moglie, dico, vieni avanti, vieni!

Vieni a veder che onesta biancheria

mandi fuori a lavare!

PAGE -

Ah, mastro Ford, questo è davvero troppo!

Voi non potete restare più a lungo

in questo umor di furia scatenata!

Altrimenti bisognerà legarvi.

EVANS -

È follia capricciosa, questa, diamine!

È matto da sembrare un cane idrofobo.

ZUCCA -

Davvero, mastro Ford, così non va.


Rientra ALICE FORD

FORD -

Ebbene, vieni qua, signora Ford.

Lei, la signora Ford, la donna onesta,

la moglie vereconda, la virtuosa

con quel geloso pazzo per marito!

Erano immotivati i miei sospetti,

non è vero?

ALICE -

S’è della mia virtù

che tu sospetti, il ciel m’è testimone,

i tuoi sospetti son senza motivo.

FORD -

Ah, sì? Faccia di bronzo, insisti pure?

(Butta fuori dal cesto alcuni panni)

Esci fuori, canaglia!

PAGE -

Ah, questo è troppo!

ALICE -

Vergogna! Lascia stare quella roba!

FORD -

(Seguitando a buttar fuori panni)

Ora ti scovo io. Vogliamo ridere!

EVANS -

È insensato: folete perquisire

la biancheria di fostra moglie?… Evvia!

FORD -

(Ai servi)

Vuotate il cesto, ho detto!

ALICE -

Perché? Si può sapere che t’ha preso?

FORD -

Vi giuro, mastro Page,

quant’è vero che sono un galantuomo,

non più tardi di ieri, in questo cesto

qualcuno è stato fatto uscir di casa.

Perché non potrebb’esserci di nuovo?

Son certo che sia qui, in questa casa.

Le mie informazioni son precise,

e i miei sospetti non sono infondati.

(Ai servi)

Vuotate il cesto, tutto, fino al fondo!

ALICE -

(Mentre i servi svuotano il cesto)

E se davvero là dentro c’è un uomo,

spiaccicatelo lì, come una pulce!

PAGE -

(Rovesciando la cesta vuotata)

Ecco, non c’è nessuno.

ZUCCA -

Mastro Ford,

tutto ciò non è bello, e vi fa torto.

EVANS -

Pregare voi dofete, mastro Ford,

infece d’inseguir le fantasie

del vostro cuore.