Le allegre comari di Windsor Read Online
FALSTAFF - | Non sono dunque fate, tutte queste? Tre - quattro volte m’è venuto in mente che non dovevan esser vere fate; ma il mio senso di colpa e la sorpresa m’hanno bloccato i sensi e la ragione e m’han fatto apparire realtà quel ch’era sol grossolana finzione, sicché a dispetto d’ogni senso logico ho creduto che fosser fate vere. Guardate un po’ come l’umano ingegno si può smarrire quando è volto al male! Rientra don Ugo EVANS non più mascherato |
EVANS - | Sir John, badate a servire il Signore! Allontanate le voglie perverse, e le fate non più vi pungeranno. |
FORD - | Ben detto, buon don Ugo delle Fate! |
EVANS - | (A Ford) Però anche foi dofete allontanare, per favore, le vostre celosie. |
FORD - | Ah, non sospetterò più di mia moglie almeno fino al giorno in cui, don Ugo, voi stesso riuscirete a corteggiarla senza storpiare il nostro bell’inglese! |
FALSTAFF - | Ho dunque esposto il mio cervello al sole da farlo rinseccare fino a non farci restare più niente, per non aver saputo prevenire una tal grossolana ciurmeria? Mi son fatto menare per il naso da un caprone gallese! Dovrò dunque incalcarmi sulla testa uno zucchetto di feltro a sonagli? Ci manca solo ch’io resti strozzato da un pezzo di formaggio abbrustolito! |
EVANS - | Formaccio non è puono a fare purro! E la fostra ventraia è tutto purro. |
FALSTAFF - | (Rifacendogli il verso) Formaccio e purro, e sì, eh!… Sicché sarei vissuto fino ad oggi per esser preso a gabbo da qualcuno che fa frittelle della nostra lingua! Ce n’è abbastanza per l’umiliazione di tutti i libertini ed i nottambuli che vanno in giro per il nostro regno. |
MEG - | Ma davvero, sir John, voi avete pensato che noi due, quando ci fossimo ancora decise in un momento di spensieratezza, a cacciar via dal cuore l’onestà e, gettato dall’animo ogni scrupolo, ad aprirci le porte dell’inferno, che proprio voi avesse destinato il diavolo a sopir le nostre voglie?? |
FORD - | Che! Un polpettone simile? Una saccoccia ripiena di stoppa? |
MEG - | … Uno che par gonfiato con il mantice? |
PAGE - | … Barbogio, infreddolito, raggrinzito con tanto di schifoso budellame? |
FORD - | … E che bestemmia più d’un satanasso? |
PAGE - | … Più squattrinato e povero di Giobbe? |
FORD - | … E più perverso della sua versiera? |
EVANS - | … E dedito al peccato della carne, alla taverna, al vino, all’idromele e ad ogni sorta d’altri beveraggi, al turpiloquio ed alle smargiassate, a schiamazzi, litigi e chiacchiericci? |
FALSTAFF - | Tutti contro di me, come un bersaglio!… Siete in vantaggio, sono sopraffatto, tanto da non saper più che rispondere a codesta flanella di Gallese… L’ignoranza mi fa da contrappeso e mi disarma; fate pure di me quel che vi pare. |
FORD - | Perbacco, signor mio, se lo faremo! Vi condurremo a Windsor, al cospetto di un tal mastro Ruscello, al quale avete scroccato denaro come compenso del fargli da pandaro; e son convinto che di tutti i guai che vi son capitati fino qui, dover restituire quei quattrini sarà per voi una pena mordente. |
PAGE - | Tuttavia, cavaliere, stammi allegro! Questa sera verrai a casa mia a bere insieme qualcosa di caldo; e potrai anche farti due risate sul conto di mia moglie, com’ella se ne fa ora sul tuo, annunciandole che mastro Stanghetta ha sposato sua figlia. |
MEG - | (Tra sé) Qualcuno ne potrebbe dubitare… Se Anna è figlia mia, a quest’ora è già sposa al dottor Cajus. Entra STANGHETTA |
STANGHETTA - | Uhi, uhi, uhi, papà Page! |
PAGE - | Che c’è, figliolo? Avete fatto tutto? |
STANGHETTA - | Altro che fatto! Questo è un tale imbroglio, che il più gran genio di questa contea, m’impiccassero, non ci capirebbe! |
PAGE - | Capirebbe, figliolo? Ma che cosa! |
STANGHETTA - | Arrivo a Eton per sposare Annetta, e mi trovo per mano, in vece sua, un salamone grasso e grosso tanto… che non fossimo stati in una chiesa l’avrei gonfiato, giuro, di cazzotti… o lui avrebbe cazzottato me. Dio non mi faccia muovere più un passo, se non credetti che quello era Annetta; e invece era un volgare postiglione! |
PAGE - | Oh, santo Dio! Com’è? Ti sei sbagliato? |
STANGHETTA - | Che domanda! Lo credo bene, sì, se ho preso un uomo per una ragazza! E se, mettiamo, l’avessi sposato, malgrado fosse vestito da donna, di certo non me lo sarei tenuto… |
PAGE - | Tutta colpa della tua sbadataggine! Te l’avevo spiegato tanto bene, che mia figlia potevi riconoscerla dal color della veste. |
STANGHETTA - | Quella bianca! E verso quella bianca sono andato: ho detto: “Zitti”, e quello ha detto: “Baci”, come eravamo intesi Annetta ed io. E invece quella non era l’Annetta, ma un uomo, un ragazzotto, un postiglione. |
MEG - | Giorgio caro, non t’arrabbiare adesso: io conoscevo il tuo intendimento, e invece che di bianco, nostra figlia l’ho vestita di verde, ed a quest’ora si trova certamente alla parrocchia col dottor Cajus, e l’avrà sposato. Entra il dottor CAJUS |
CAJUS - | Madama Page!… Dov’è madama Page? Parbleu, stavolta me l’avete fatta! Ho sposato un garçon, un giovinetto! Un paysan, parbleu! un contadino! Dico un ragazzo, invece di Anna Page! Eh, sì, parbleu, sono stato truffato! |
MEG - | Che! Non prendeste con voi quella verde? |
CAJUS - | La presi, sì, solo ch’era un ragazzo! Giuro che butto all’aria tutta Windsor! (Esce precipitosamente) |
FORD - | Strabiliante!… Ma allora Annetta Page, quella vera, chi l’ha portata via? |
PAGE - | Il cuor mi dice male… mastro Fenton… Eccolo, infatti. Entrano FENTON e ANNETTA, abbracciati Ebbene, mastro Fenton! |
ANNETTA - | Perdono, padre mio! Perdono, madre! |
PAGE - | Madamigella, ebbene, come mai non sei andata con mastro Stanghetta? |
MEG - | Rispondi a me: come mai, ragazzina, non sei andata con il dottor Cajus? |
FENTON - | Non state a tormentarla. Vi dirò tutto io per filo e segno. Voi avreste voluto maritarla in un modo quant’altri mai perverso, dove l’amore non aveva parte. Vero è che noi da tempo ci eravamo promessi l’uno all’altra, ed ora siamo stretti da un legame per cui più nulla potrà separarci. Benedetta è la sua disobbedienza di figlia; questo inganno non è frode, non è rivolta, non è irriverenza, dal momento che sol per questa via ella avrebbe potuto risparmiarsi le mille e mille ore empie e dannate che un matrimonio fatto con la forza le avrebbe rovesciato sulle spalle. |
FORD - | (A Meg e Page) Non state lì di sasso, sbigottiti! Non c’è rimedio: gli affari d’amore li governa direttamente il cielo. Coi danari si comprano i terreni, ma le mogli le vende solo il Fato. Convien perciò accettare con amore quello che non può esser evitato. |
FALSTAFF - | Quel che dite mi allegra. Eravate appostato espressamente per colpirmi; la vostra freccia, vedo, ha deviato altrove. |
PAGE - | Del resto, come riparare, Fenton? Voglia il cielo concederti, oramai, gioia e salute. Accettiam con amore quello che non può essere evitato. |
FALSTAFF - | (A parte) Già, quando i cani cacciano la notte ogni specie di selvaggina è buona! |
MEG - | Bah, neppur io convien che più mi lagni. Fenton, ti mandi il cielo molti giorni felici!… Ora, marito, torniamo a casa, noi, sir John e tutti, a ridere di questi nostri scherzi davanti ad un bel fuoco di campagna. |
FORD - | E sia. Sir John, sapete che vi dico, che finirà che voi, malgrado tutto, avrete mantenuto la parola: mastro Ruscello passerà la notte con la moglie di Ford, madama Alice! |
FINE
(1) I nomi di questi due personaggi, come spesso in Shakespeare, sono due aggettivi di qualità, coniati ad indicare una qualche caratteristica del personaggio stesso: il primo è “Shallow”, che vuol dire “non profondo” nel senso di “vacuo”, “testa vuota” ( “shallow-brained” è sinonimo di “Imbecille”); l’altro è “Slender”, che vuol dire “sottile”, “magro”, “allampanato” e, figurativamente, “inconsistente”. Il nome italiano del primo, Zucca, è ripreso dalla seconda parte dell’“Enrico IV”, dove il personaggio ha una parte piuttosto cospicua e dove Shakespeare mette al suo fianco un altro personaggio comico, il cugino “Silence”, “Silenzio”.
(2) Il testo ha “Sir”: gli Inglesi danno del “sir” ai preti, come noi del “don”.
(3) “I will make a Star Chamber of it”: “Farò di ciò una questione da Camera Stellata”. Si chiamava “Camera Stellata” (“Star Chamber”) la sala del palazzo reale di Westminster dove sedeva il Consiglio della Corona in funzione di tribunale penale, che da quella camera prendeva il nome.
(4) “Robert Shallow, esquire”: “esquire” era il titolo onorifico che precedeva, nella gerarchia araldica, quello di “knight”, “cavaliere”; esso spettava di diritto ad alcuni funzionari di nomina regia tra cui i giudici di pace.
(5) Questo “coram” come il successivo “rotulorum” sono corruzioni e contrazioni maccheroniche del linguaggio curialesco: “coram” è corruzione del “quorum” della formula “quorum unum vos esse volumus”, “dei quali noi vogliamo che voi siate uno” con la quale il sovrano nominava i suoi dignitari; “costalorum” è corruzione di “custos rotulorum”, “custode dei rotuli”, come si chiamavano i preposti alla giustizia (“rotula” erano, nel tardo latino, i cartigli contenenti i testi delle leggi); “rotulorum” è ripetizione pappagallesca della stessa parola.
(6) Si legga “Glo-ster” per la metrica.
(7) Così nel testo. Il termine inglese “armiger” è ognuno che abbia il diritto di fregiarsi di uno stemma nobiliare (“coat of arms”).
(8) È il primo tocco della imbecillità di questo personaggio.
(9) “It agrees well, passant”: “passante” in araldica si dice dell’animale che figura sullo stemma volto a destra e con una delle zampe anteriori alzate nell’atto di “grattare” qualche cosa.
(10) Queste battute dei tre sono in inglese una filza di doppi sensi che dovevano esilarare il pubblico ma che è impossibile rendere. Stanghetta ha detto: “… e possono esibir sul loro stemma / dodici lucci bianchi” (“dozen white luces”); Evans intende “luces” per “louses”, “cimici”, e dice che le cimici su un vecchio stemma ci stanno bene (“it agrees well”), meglio se “passanti”. Per conservare alla meglio il bisticcio s’è tradotto “louses” con “pulci” e sfruttato l’assonanza con “lucci”. Zucca, a sua volta, ribattendo il frizzo, gioca sul termine “coat”, “stemma”, che Evans, essendo gallese, ha pronunciato “cod”, che vuol dire “sottana”, “tonaca”, e dice che, al contrario del luccio, la “cod” è un “salt fish”, una salacca, un baccalà. Al pubblico londinese piaceva ironizzare sul dialetto gallese, e Shakespeare gliene dà buon motivo, creando personaggi che lo parlano, come la lady Mortimer della seconda parte dell’“Enrico IV” e il capitano Fuellen dell’“Enrico V”. In questo stemma con lucci ridicolizzato da Shakespeare i critici hanno creduto di vedere l’allusione ad un episodio della vita del poeta: è leggenda - perché non provata da alcun documento - che egli in gioventù, quando era ancora nella sua Stratford, avrebbe avuto a che fare con un Sir Thomas Lucy di Charlecote per aver cacciato di frodo nel parco di questi ed avergli ucciso un daino; per sfuggire alle conseguenze giudiziarie della denuncia di questo signore il giovane Shakespeare sarebbe scappato a Londra. Zucca ce l’ha appunto con Falstaff, e vuol querelarlo “davanti la Camera Stellata” perché questi - come dirà più sotto - gli ha ucciso un cervo e forzato l’ingresso del padiglione del parco. La leggenda, cui sembrò credere il Rowe, che la riferì per primo (1700), e tra gli altri, più tardi, il Simmons nella prefazione alla sua edizione shakespeariana del 1825, non ha fondamento storico, essendo stato assodato che all’epoca non esisteva a Charlecote un parco con daini, la famiglia Lucy essendosi là trasferita assai dopo (così l’Alexander nella introduzione alla sua edizione da noi adottata come testo per la traduzione, pag. XII).
(11) Altro bisticcio di doppi sensi: Zucca risponde a Stanghetta il quale gli ha detto che può aggiungere allo stemma di famiglia il suo “quarto” di nobiltà: “Sì, lo puoi, sposandoti” (“You may, by marrying”); Evans intende “marrying” per “marring”, e poiché pensa a “coat” non come a “stemma” ma come a “vestito”, che è l’altro significato della parola, risponde che “togliere a uno un quarto di vestito (squartare) è spogliarlo”.
(12) Ossia: attento a non fare passi falsi. Per dire “precauzioni” (“devisaments”) don Evans dice “vizaments”: “Take your vizaments in that”. Don Ugo Evans è gallese e la sua parte sul copione è scritta con la grafia e le inflessioni di quel dialetto; ma per la palese impossibilità di renderne minimamente la comicità, il traduttore ha rinunciato al tentativo, limitandosi, tanto per rendere l’idea, a rafforzare, nella grafia, qualche “v” in “f” e qualche “b” in “p”, qualche “d” in “t”.
(13) “… pretty virginity”: l’astratto per il concreto era un uso letterario del tempo. È frequente in Shakespeare.
(14) Perché Falstaff debba trovarsi in casa di Giorgio Page, e per giunta con i suoi uomini Bardolfo, Pistola e Nym, e come faccia don Evans a saperlo, non è detto; né pare che alcuno se lo sia domandato prima di noi.
(15) Latino per “poche parole”: don Evans è prete, e latineggia.
(16) “Good worts?… Good gabbage!”: don Evans, nel dire prima “poche parole”, ha pronunciato in gallese “worts” per “words”; “worts” è parola che non esiste, e Falstaff gli replica con altra espressione: “good gabbage”, di nessun significato specifico, usata generalmente nel senso di: “ma che stai dicendo, che ti salta in mente!” “Reverendo” non è nel testo.
(17) Bardolfo dice: “You, Banbury cheese”, “Tu, formaggio di Banbury”: Banbury, cittadina della contea di Oxford, era rinomata per la produzione di formaggi e per lo zelo puritano dei suoi abitanti, sì che nel colloquiare comune l’appellativo “formaggio di Banbury” equivaleva a “puritano”, e dare del puritano ad uno era come dargli dell’ipocrita bigotto baciapile.
(18) “Videlicet”, latino per “cioè”, “vale a dire”.
(19) “Two Edward shovel-boards”: “shovel-board shilling”era lo scellino coniato da Edoardo VI, detto così perché era usato nel gioco del “shovel-board”, che si giocava muovendo monete su una tavola.
(20) “No, it is false, if it is a pick-purse”: battuta di senso oscuro; forse don Evans vuol dire che poiché Pistola fa il borsaiolo di mestiere, non può essere accusato di essersi limitato a “ripulire” la borsa di Stanghetta, l’avrebbe rubata tutta.
(21) Pistola si picca di sfoggiare un parlare ricercato, goffamente artificioso: dice “è mestieri” per “bisogna”, non dice “labbra” ma “labras”, non dice “spada” ma “bilbo”, che era il nome delle armi bianche per antonomasia, in quanto provenienti da Bilbao, Spagna, dove erano le migliori fabbriche.
(22) “Word of denial in thy labras here!”: “word of denial” è espressione del gergo cavalleresco, per “riparazione verbale dell’offesa”; la si chiedeva all’avversario per evitare il duello.
(23) Si capisce che questa rapida muta apparizione di Annetta Page è un abile espediente del commediografo per presentare il personaggio e giustificare tutto quello che di lei si dirà subito dopo.
(24) Si allude verosimilmente ad una pubblicazione assai nota al pubblico perché in voga nelle corti dell’epoca intitolata “Songs and Sonnets”, una specie di antologia di composizioni in rima d’ispirazione petrarchesca pubblicata nel 1557 da Lord Enrico Howard, conte di Surrey.
(25) “Alice Shortcake”: un altro nome di suggestione umoristica, d’invenzione del poeta, per far ridere il pubblico.
(26) Simplicio, nella sua “semplicità” mentale, tiene imbrogliato nella mente anche il calendario: Ognissanti (“Allhallwomas”) è il primo novembre, San Michele il 27 settembre.
([27])“… yet heaven may decrease it”: Stanghetta sproposita; voleva dire “… may increase it”.
(28) “… more contempt”: Stanghetta voleva dire “more attraction”.
([29]) “… I am freely dissolved, and dissolutely”: Stanghetta vuol dire “I am freely resolved, and resolutely”.
(30) “It is a very discretion answer”: Don Ugo, oltre a pronunciare dure tutte le labiali e le dentali, alla gallese, usa spesso sostantivi come verbi o come aggettivi; così qui ha usato “discretion” come aggettivo (“È una risposta molto discrezione”); altrove dice “to description” per “to describe”, “to affect”
(31) Il “Benedicite” è la preghiera che i protestanti dicevano, prima di sedersi a mensa, per chiedere a Dio di benedire il cibo.
(32) “… three veneys for a dish of stewed prunes…”: un piatto di prugne stufate (“stewed prunes”) posto sul davanzale della finestra era l’insegna dei bordelli a Londra, e “prugna stufata” era sinonimo di “prostituta”. Qui Stanghetta vuole intendere che l’incontro di scherma con il suo istruttore aveva come posta (a spese naturalmente del perdente), l’amplesso di una prostituta in un bordello. Ma perché Shakespeare metta in bocca a Stanghetta questa lubrica allusione, proprio davanti ad Annetta Page, che poco prima don Evans ha definito “una verginità assai piacevole”, non si capisce. È palesemente una concessione, anche se a sproposito, al gusto del pubblico, che Shakespeare fa anche altrove: cfr. in “Enrico IV - Seconda parte”, II, 4, 135: “He lives upon mouldly stewed prunes”; “Misura per misura”, II, 1, 90-91: “… she came in great with child, and longing for stewed prunes”.
(33) I combattimenti di orsi (“bear-baitings”) erano spettacolo frequente per le piazze di Londra. Stanghetta li disapprova nel momento stesso in cui dice che gli piacciono: un altro tratto del personaggio, la ipocrita dabbenaggine.
(34) “By cock and pie”: “cock and pie” era chiamato volgarmente un breviario di canoni ecclesiastici in uso nell’Europa prima della Riforma. Il nome è composto di due termini: “cock” è il bersaglio del gioco del “curling”, una specie di “bowling”; “pie” è una focaccia composta con un miscuglio di carne, pesce, frutta, verdure, farina. Il termine “cock and pie” voleva definire il breviario come una “miscellanea” di regole buone a tutti gli usi, come la sacre scritture, appunto.
(35) “O base Hungarian wight!”: “O vile creatura ungherese!”; “Hungarian”, o semplicemente “Hungar”, era sinonimo di “straccione”, con allusione ai soldati inglesi che tornavano in patria, sbandati e laceri, dalla guerra d’Ungheria.
(36) “Is not the humour conceited?”: il personaggio di Nym ha come caratteristica il vezzo di adoperare la parola “humour” a proposito e a sproposito. Si deve rendere a senso, ogni tentativo di resa letterale essendo impossibile.
(37) “… of this tinder - box”: Bardolfo, per l’alcool che ingurgita, è come una scatola contenente materiale infiammabile.
(38) “I am almost out at heels”: frase idiomatica per “sono spiantato, squattrinato”.
(39) Pistola sentenzia, secondo il suo vezzo. Qui sfoggia il riferimento ad un Salmo della “Vulgata”, il CXLVII, che recita: “…(il Signore) dà la sua pastura al bestiame, ai giovani corvi che gridano”, come per dire a Falstaff di non disperarsi, perché il Signore che sfama le bestie e gli uccelli penserà anche a lui.
(40) Questa battuta è invenzione del traduttore. Il testo inglese è tutt’altro. Falstaff ha detto: “I will tell you what I am about”, “Vi dirò che cosa sono in procinto (ho in mente) di fare”; ma l’espressione, presa nel suo senso letterale, si può intendere: “Vi dirò che cosa sono intorno”; e Pistola la riferisce alla circonferenza della pancia di Falstaff e risponde: “Two yards, and no more”, “Non più di due yarde”, che in italiano non avrebbe avuto senso. Per mantenere in qualche modo il gioco, si è fatto proseguire a Pistola il riferimento biblico ai corvi.
(41)“… a legion of angels”: l’“angelo” era una moneta d’oro del valore di 10 scellini, chiamata così perché recava nel verso l’immagine dell’arcangelo Michele che uccide il drago. Il traslato di Falstaff raffigura la borsa di Ford come il volo di una legione di angeli.
(42) “The humour rises… Humour me the angels!”: L’orgia di “humours” nel parlare di Nym è inesauribile.
(43) “… a region of Guiana”: la Guiana, la vasta regione settentrionale del Sud-America era, al tempo di Shakespeare, meta di colonizzatori e avventurieri perché ritenuta terra di immensi tesori: la stessa che gli Spagnoli chiamarono “El Dorado”.
(44) Pandaro, lo zio di Cressida, che favorì gli amori di costei col principe troiano Troilo, figlio del re Priamo, e divenne per questo leggendario simbolo di ruffianeria.
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