Lo si è reso con l’eufemistico “Acquaminta” da “mingere”, “urinare”.

(110) “… through the town to Frogmore”: “Ranocchiara” per “Frogmore” è suggerito dal Lodovici (cit.) ed è nome quanto mai adatto a località silvestre (in Abruzzo, nel parco, c’è la “Camosciara”). “Spianata” non è nel testo ma è implicito: i duelli si tenevano solitamente in radure boschive.

 

(111)Cried game!”: espressione del gergo venatorio; si dice della caccia quando, al suono dei corni che ne annunciano l’apertura, la muta dei cani comincia ad abbaiare.

 

(112)I will be thy adversary toward Anne Page”: non credo proprio che Shakespeare, come intendono molti, abbia voluto far dire all’Oste: “Sarò il tuo avversario verso Anna Page”, nel senso di: “Ostacolerò le tue mosse, le tue faccende con Anna Page”. Il Lodovici, sempre attento, ha un evasivo per quanto improbabile: “Ti servirò la messa presso Anna Page”. Non hanno capito che qui “adversary” è usato nella forma singolare di “adversaria”, plurale neutro del latino “adversarius”, “cosa o persona che sta davanti”, con il quale termine gli Inglesi indicavano, nel gergo mercantile, il giornale di bordo. L’Oste vuol dire, nel suo solito parlar fiorito: “In compenso ti piloterò verso Anna Page”.

 

(113) Si segue la lezione del Dover-Wilson “Pity-Ward”, in luogo di “pittie-ward” dell’Alexander e di “petty-ward” di altri, che non vogliono dir nulla; “Pity-Ward” è la Via della Pietà, a Windsor, dove sorgeva la chiesa della Beata Vergine della Pietà.

 

(114) Don Evans alterna al suo strambotto - versetti che Shakespeare abilmente modella sullo stile di Christopher Marlowe, assai in voga a quel tempo - un riferimento biblico, parafrasando il Salmo CXXXVI: “Sulle rive dei fiumi di Babilonia ci sedemmo a piangere nel ricordo di Sion…”.

 

(115) È la minestra di cereali mangiata in Inghilterra e in Scozia al mattino per prima colazione; i Gallesi la aborriscono.

 

(116)Peace, I say, Gallia and Gaul”: “Gaul” è il nome antico delle popolazioni celtiche che abitavano il Galles, detto perciò “Gaulia”.

 

(117)No, he gives me the potions and the motions”: “motions” sono qui, in termine medico, i movimenti degli intestini che precedono l’espulsione delle feci dopo l’assunzione di “pozioni”.

 

(118)No, he gives me the proverbes and the no-verbs”: “proverbs” sono la saggezza popolare; “no-verbs” son tutte le cose che non si possono fare senza peccare (“verb” in senso figurato è tutto ciò ch’è importante, soprattutto sul piano spirituale).

 

(119) “… e un po’ migliori” non è nel testo che ha semplicemente “… two other husbands”, ma “migliori” è implicito nell’inglese “other”, che distingue nel senso positivo di “finer”, “nicer”. Meg rimprovera implicitamente a Ford di esser troppo e ingiustamente geloso.

(120)This pretty weathercock”: “weathercock” è la banderuola di ferro girevole, fatta solitamente a foggia di gallo, che sta sulle guglie dei campanili ad indicare la direzione del vento.

 

(121) V. sopra la nota 76.

 

(122)The clock gives me the cue”: “to give the cue” è espressione del linguaggio teatrale: “cue” è l’imbeccata, l’ultima parola del personaggio che ha parlato prima, che dà l’entrata al personaggio seguente.

 

(123) Questa improvvisa chiamata in ballo di personaggi che non sono nel “cast” della commedia, lascia supporre che il pubblico abbia assistito prima alla rappresentazione della prima e seconda parte dell’“Enrico IV”, che è stata di poco precedente, come si è detto nella “Nota introduttiva”. “Gli scapestrati principe e Poins” (“… the wild Prince and Poins”) sono infatti tra i protagonisti di quel lavoro. Il principe è il giovane principe di Galles, Enrico, futuro Enrico V, le cui prodezze di scapestrata gioventù, compiute in compagnia di Falstaff, Poins e altri soci della stessa risma, sono appunto argomento delle due parti dell’“Enrico IV”, dove però non figura affatto un Fenton, come vuole qui Page.

 

(124) Qui nel testo c’è un sofisticato gioco di parole, così ermetico e contorto, che è difficile credere che il pubblico potesse coglierlo a volo dalla bocca dell’attore. L’Oste ha detto, parlando di Falstaff, “I will… drink canary with him”, dove “canary” è il vino spagnolo delle Canarie, assai pregiato all’epoca in Inghilterra; ma “canary” è anche “canario” (o, per alcuni, “canaria”), il nome di una danza spagnola dal ritmo assai vivace. Ford commenta così tra sé la battuta dell’Oste: “Arrivo io da lui prima di te e gli faccio ballare le canaria (danza), non senza prima aver bevuto con lui la canaria (vino) “in pipe-wine”, dove “pipe-wine” è nientemeno il nome di una pianta (“Aristochia Sypho”) che produce calici a coppia.

([125]) “… in the brew-house”. “the brew-house” era il locale della casa, normalmente attiguo alla cucina, in cui si conservava e spesso si fabbricava la birra.

 

(126)You little Jack-a-Lent”: “Jack-a-Lent” è vocabolo creato da Shakespeare; equivale, secondo il glossario dell’Alexander, a “dummy set up at Lent as cockshy”, “pupazzetto esposto in vetrina”.

 

(127)Remember you cue”: per “cue” v. sopra la nota 122.

 

(128) Meg prosegue il traslato di “cue”: l’attore che non entra a tempo e recita male è fischiato.

 

(129)Have I caught thee, my heavenly jewel!”: è il primo verso di un canzoniere dal titolo “Astrophel and Stella” di sir Philip Sydney, poeta e drammaturgo contemporaneo di Shakespeare. Nel metterlo in bocca a Falstaff, è chiara l’intenzione di Shakespeare di fare il verso alla maniera petrarchesca di quelle composizioni poetiche.

(130) Il tema del contrasto Natura/Fortuna, frequente nella moralistica classica, è ripreso sovente da Shakespeare.

 

(131) “… and smell like Bucklesbury in simple time”: Bucklesbury era la strada della Londra elisabettiana dove si teneva il mercato delle erbe medicinali, dette “semplici”.

 

(132) “… the cowl-staff”: il lungo bastone da infilare nei due manici del cesto per alzarlo e trasportarlo a spalla.

 

(133) Il testo è tutt’altro. Alice ha detto al marito: “Ci manca adesso che t’interessi di bucato” ed ha usato per “bucato” il termina “buck-washing” (“You were best meddle with buck-washing”); ma “buck” è anche appellativo di “animale cornuto” (alce, renna, cervo, daino, bove) e Ford lo coglie per ripetere a se stesso: “Cornuto! Magari potessi lavarmi io delle corna!” (“I would I could wash myself of the buck!”) E insiste: “Cornuto, cornuto, cornuto! sì, cornuto! V’assicuro, cornuto! E di stagione, anche, vedrete”. (“Buck, buck, buck! ay, buck! I warrant you, buck; and of the season too, it shall appear.”).

(134)Well, I promised you a dinner”: molti curatori traducono “dinner” per “cena”, ignorando inspiegabilmente: 1) che “dinner” nell’inglese antico è “pranzo”; 2) che, comunque, qui siamo a ora di mezzogiorno, l’appuntamento di Alice Ford a Falstaff essendo “dalle dieci alle undici” (del mattino, si capisce).

 

(135) “… and tells me ’tis a thing impossibile / I should love thee but as a property”, letteralm.: “… e mi dice che è impossibile che io possa amarti se non come una proprietà”.

 

(136) “Ay, by God, that I will, come cut and long-tail, under the degree of esquire”: “tail” in linguaggio giuridico è la concessione, da parte del re, ad una persona di un certo ceto sociale ed ai suoi eredi, dell’usufrutto a tempo determinato di un possedimento o dominio agrario della corona. Stanghetta vuol dire che il suo “status” sociale gli dà titolo ad ottenere questo tipo di concessione, essendo egli, di censo, un grado sotto a quello di scudiero (“esquire”).

(137) Bisticcio piuttosto melenso, come il personaggio. Anna gli ha chiesto: “What is you will?” “Will” al singolare è “volontà”; ma si dicono “will” anche le “ultima volontà” espresse in testamento; e così l’intende Stanghetta.

 

(138) Falstaff, come spesso i personaggi di Shakespeare, parla al pubblico.

 

(139) Gioco di parole sul doppio significato di “ford”, che è ogni specchio d’acqua da traversare a guado, com’era appunto il luogo sulle rive del Tamigi dove le lavandaie andavano a fare il bucato. Si è reso con “fiordo” per assonanza, ma non certo per simiglianza.

 

(140) Il testo ha “erections”; Quickly, come al solito spropositando, voleva dire “directions”. Ma Falstaff, nella risposta, finge d’intendere proprio “erections”.

 

(141)So did I mine, to build up a foolish woman’s promise”: Falstaff prosegue il traslato introdotto da “erections”: si “erige” una costruzione.

 

([142]) “… he is very-courageous-mad”: altra papera di Quickly, che dice “courageous”, per “outrageously”. Il “fuor dai cancheri” (per assonanza con “fuor dai gangheri”) è preso dalla traduzione di Emilio Cecchi e Susi Cecchi-D’Amico (Newton, Roma, 1990).

 

(143) Stanghetta, come lo zio Zucca, è giudice di pace. A quel tempo la scuola era tenuta dal parroco per la parte didattica, ma sorvegliata e amministrata dal giudice di pace.

 

(144) Il “quibble” del testo è un bisticcio. Don Ugo ha chiesto a Guglielmino: “How many numbers is in nouns?”, “Quanti numeri ha il nome comune?”; poiché ha usato il verbo al singolare, Quickly ha capito: “How many numbers is Od’s nouns?” dove “Od’s” starebbe per “God’s” e cioè: “Quanti sono i numeri di Dio”.

 

(145) Guglielmino ha pronunciato “pulcher” in modo che Quickly capisca “pulecat”, “faina”, e dice, meravigliata: “Bella, la faina?”. Per dare un qualche senso alla battuta, s’è pensato di suggerire che l’attore italiano pronunci “pul-cer”, e Quickly intenda “pulce”.

 

(146)Hang-hog” è “appendi maiale”.

 

(147) Il testo è un bisticcio diabolico, intraducibile. Quickly ha preso “horum” per “whorum”, dialettale per “whore”, “sgualdrina” e “genitive case” (Evans aveva chiesto a Guglielmino: “What is your genitive case?”) per “il caso di Jennie”; “Jennie” è verosimilmente il nome di una nota prostituta, e allora Quickly esclama: “Vengeance of Jennie’s case, fie on her! Never name her, child, if she be a whore!”, “Accidenti al caso Jennie, svergognata! Non nominarla, bimbo, è una donnaccia!”.

(148) “… your sorrow hat eaten up my sufferance”: cioè: “il vostro grande dispiacere (per quanto mi è capitato)… ha cancellato in me ogni traccia del mio risentimento verso di voi”.

 

(149) Sull’esempio del Baldini, traggo di peso - con qualche minimo ritocco - questa strofetta dal testo del libretto di Arrigo Boito per il “Falstaff” di Giuseppe Verdi, II, 164-167. Il testo inglese avrebbe, in una traduzione letterale: “Proveremo con quello che faremo / che le mogli possono essere allegre / ed insieme oneste. Noi che spesso / ridiamo e scherziamo non facciamo il male. È vero il vecchio proverbio: Scrofa cheta mangia tutto il pastone”.

 

(150) “… to unfool me again?”: “to unfool” è verbo inventato da Shakespeare con “fool”, “impazzire” e “un” privativo: letteralmente: “… per avermi dato del matto”.

 

(151)Youth in a basquet!”: espressione colloquiale; letteralm.: “Gioventù in un cesto”, che si diceva del giovane amante di donna matura, “fortunato” tanto da essere servito alla donna in un cesto.

 

(152)Mother Pratt”: “mother “ e “father” erano gli appellativi che si davano comunemente ai vecchi.

 

(153)I’ll prat her”: “prat” significa, in gergo, “natica”; Ford riprende il “Mother Pratt” di Meg, e dice: “Ora la sculaccio io”!

 

(154) “… never trust me when I open again”: “to open” in gergo venatorio si dice del cane che comincia ad abbaiare inseguendo la preda. Talvolta abbaia a vuoto.

 

(155) “… in fee-simple, with fine and recovery”: è la formula giuridica con la quale la corona cedeva le sue terre ai baroni; i quali, in base ad essa, dopo un certo numero di anni di possesso, avendone corrisposto l’usufrutto (“fine”), potevano riscattarle in proprietà. Alice vuol dire che se il diavolo ha messo sull’anima di Falstaff - come su quella di Faust - ipoteca con patto di riscatto, gli può permettere di godersela ancora impunemente.

 

(156) “… from forth a saw-pitch”: “saw-pit” è un piccolo scavo fatto per terra nei boschi dagli spaccalegna ai bordi del quale veniva eretta una struttura per segare il legname con una grande sega a due manici, uno tenuto dal legnaiolo che stava nello scavo, l’altro da quello che stava in superficie.

 

(157) “… like a Jack-an-apes”: il termine “jack-an-apes” con cui s’indicava scherzosamente una scimmia ammaestrata, era usato anche per indicare qualunque essere burlone e dispettoso.