Ma io nei boschi sentivo le civette e i lupi, e continuavo ad avere una strizza del diavolo. Allora si solleva un po' e ascolta con la testa piegata da una parte. Dice a voce molto bassa:
«I passi... i passi; sono i morti; i passi... i passi; vengono a prendermi; ma io non voglio andare... Oh, sono arrivati! Non toccatemi! no! giù le mani!... Sono freddi; molla!... Lasciate stare un povero diavolo!».
È caduto ginocchioni e ha cominciato a strisciare per terra pregandoli di lasciarlo stare; poi si è avvolto nella sua coperta ed è rotolato sotto il vecchio tavolo di pino, sempre pregando; e subito dopo si è messo a piangere. Lo sentivo sotto la coperta.
Ma a poco a poco è rotolato fuori ed è scattato in piedi con la faccia sconvolta, e quando mi ha visto si è scagliato contro di me. Mi ha inseguito per tutta la capanna con un coltello a serramanico chiamandomi l'Angelo della Morte e dicendo che mi avrebbe ammazzato, e così io non l'avrei più tormentato. Io ho pregato, e gli ho detto che ero Huck, ma lui si è messo a ridere - una sghignazzata stridula da far venire i brividi - e a ruggire e a imprecare, e continuava a inseguirmi. Una volta mi arriva così vicino che devo abbassare la testa per evitare il braccio, ma lui riesce ad afferrarmi per la giacca in mezzo alle spalle, e io penso che per me è finita, e subito, svelto come il fulmine scivolo fuori dalla giacca e mi salvo. Dopo un po' non ce la fa più e si lascia andare a terra con la schiena appoggiata all'uscio, e dice che si riposa un momento e poi mi uccide. Si sdraia sul coltello e dice che dorme un po' per riprendere le forze, e poi mi farà vedere lui.
Non passa molto tempo che si addormenta, e allora io prendo la vecchia sedia col fondo di vimini e ci monto su più piano che posso, per non fare rumore, e tiro giù il fucile. Provo con la bacchetta dentro la canna per essere sicuro che è carico, e poi lo appoggio sul barile delle rape, rivolto contro papà, e mi metto dietro ad aspettare che lui si muove. Il tempo non passava


VII • Frego papà e scappo
«Tirati su! Che diavolo stai facendo?».
Apro gli occhi e mi guardo in giro, cercando di capire dove sono. Il sole è già alto e io avevo dormito sodo. Papà è in piedi proprio sopra di me, mi guarda storto e ha la faccia di uno che sta male. Dice:
«Che fai con questo fucile?».
Vedo che non si ricorda un cavolo e gli dico:
«Qualcuno ha cercato di entrare e io facevo la guardia».
«Perché non mi hai svegliato?»
«Ci ho provato ma non ci sono riuscito. Non riuscivo a smuoverti».
«Va bene, ma adesso non stare li a fare flanella tutto il giorno, e va' fuori a vedere se c'è qualche pesce alle lenze per la colazione. Io vengo subito».
Apre la porta e io filo via, alla sponda del fiume. Noto alcuni pezzi di rami e altre cose del genere che galleggiano sull'acqua, e anche delle cortecce, e capisco che il fiume ha cominciato a ingrossarsi. Capisco che se adesso fossi in città per me sarebbe una pacchia. Con la piena di giugno ho sempre avuto fortuna, perché non appena comincia arrivano giù cataste di legna e zattere di tronchi legati - qualche volta anche dodici tronchi tutti insieme, e non c'è che prenderli e venderli al magazzino di legname e alla segheria. Io risalgo l'argine con un occhio attento all'arrivo di papà e l'altro a quello che può portare la piena. Beh, vedo subito una canoa che sta scendendo, una vera bellezza, lunga tredici o quattordici piedi, e va che è una meraviglia. Mi tuffo a testa in giù dall'argine come una rana, tutto vestito, e arrivo alla canoa. Avevo il sospetto che ci poteva essere dentro qualcuno nascosto, perché spesso si fanno questi scherzi ai fessi, e quando questi si sono tirati su e sono già mezzo dentro la barca quello che è dentro salta su a ridere e a sfotterlo. Ma questa volta non era così, era proprio una canoa alla deriva, e io ci salto dentro e remo fino a riva. Mi dico, il vecchio sarà contento quando la vede - deve valere una decina di dollari.
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