Noi li abbiamo sbaragliati e abbiamo inseguito i bambini su per la gola, ma non abbiamo conquistato altro che un po' di focacce e di marmellata, anche se Ben Rogers ha trovato un bambolotto di pezza, e Joe Harper un libro di preghiere e un opuscolo religioso; ma poi è intervenuta l'insegnante e ci ha fatto mettere giù tutto e tagliare la corda. Io, diamanti non ne ho visti, e l'ho detto a Tom Sawyer. Lui ha detto che ce n'era un casino, e anche Arabi ed elefanti e tutto il resto. E io gli ho detto, allora perché non li abbiamo visti? E lui ha detto che se io non fossi così ignorante e avessi letto un libro che si chiama Don Chisciotte, lo saprei e non farei domande stupide. Lui ha detto che era tutto opera di una fattura. Ha detto che lì c'erano centinaia di soldati, elefanti e tesori eccetera eccetera, ma noi avevamo dei nemici, che si chiamano maghi, e avevano trasformato tutto in un gruppo di bambini dell'oratorio solo per farci dispetto. Io gli ho detto che allora dovevamo andare a dargli una battuta a questi maghi. Ma Tom Sawyer dice che non capisco un corno.

«Un mago», dice, «può evocare un mucchio di geni, e questi ti possono fare a pezzi prima che tu possa dire beh. Sono tipi alti come alberi e larghi come una chiesa».

«Beh», faccio io, «e non li possiamo chiamare anche noi, i geni, così ci aiutano a dare una battuta a questi qui?»

«E come fai a chiamarli?»

«Non lo so. Loro come fanno?»

«Loro sfregano una vecchia lampada di latta o un anello di ferro, e allora i geni arrivano facendo un gran casino, con tuoni e fulmini che distruggono tutto, e una grande nuvola di fumo, e tutto quello che gli dicono di fare lo fanno. Non ci mettono niente a rovesciare in giù una torre e a dare una botta in testa a un ispettore scolastico, o a chiunque altro».

«Ma chi riesce a fargli fare tutte queste cose?»

«Beh, chiunque ha la lampada o l'anello. Il tipo che sfrega la lampada o l'anello è il loro padrone, e loro devono fare tutto quello che dice lui. Se gli dice di fare un palazzo di diamanti lungo quaranta miglia e di riempirlo di gomma da masticare, o di quello che vuoi, e di andare a prendere la figlia dell'imperatore della Cina perché tu la vuoi sposare, loro devono farlo - e devono farlo prima dell'alba del giorno dopo. E poi, devono spostare il palazzo per tutto il paese, dove ti viene voglia di metterlo».

«Mah», faccio io, «secondo me sono una manica di idioti, perché potrebbero tenersi il palazzo loro invece di continuare a muoverlo qua e là dove ti gira a te. E poi, se io fossi uno di loro, non pianterei lì tutti i miei affari per correre da quelli che mi chiamano sfregando una vecchia lampada di latta, e li manderei a quel paese».

«Ma che dici, Huck Finn? Tu devi venire quando sfregano la lampada, anche se non vuoi».

«Ma allora, a che mi serve essere alto come un albero e largo come una chiesa? Bene, ci vengo, ma poi quello che mi ha chiamato lo faccio volare sull'albero più alto di tutto il paese».

«Cribbio! È inutile discutere con te, Huck Finn. Non sai proprio un accidente... sei proprio una testa di legno!».

Ci ho rimuginato per due e tre giorni e poi ho provato a vedere se c'era qualcosa di vero in quella storia. Ho preso una vecchia lampada di latta e un anello di ferro e sono andato nei boschi a sfregare e sfregare, finché ero sudato come un indiano, perché calcolavo di farmi fare un palazzo e di venderlo; ma niente da fare, non è venuto nessun genio. E allora ho deciso che tutta quella storia era un'altra delle frottole di Tom Sawyer. Lui magari ci credeva, agli Arabi e agli elefanti, ma per me era diverso. Era proprio una scempiaggine, roba che andava bene per i bambini dell'oratorio.




IV • L'oracolo della palla di pelo

Così sono passati tre o quattro mesi e ormai è arrivato l'inverno. Per tutto questo tempo sono andato a scuola e ho imparato a leggere e l'ortografia, e un po' anche a scrivere, e so le tabelline fino a sei per sette trentacinque, ma non penso che saprò andare oltre anche se vivrò cent'anni, perché con i numeri proprio non ci prendo.

All'inizio odiavo la scuola, ma poi ci ho fatto il callo. Quando ero troppo stanco bigiavo, e la pettinata che mi prendevo il giorno dopo mi faceva bene e mi tirava su. Per cui più andavo a scuola, più mi abituavo. Cominciavo ad abituarmi anche ai modi della vedova, e mi andavano abbastanza. Vivere in una casa e dormire in un letto mi pesava ancora un po' troppo, ma prima che arrivasse il freddo ogni tanto me la svignavo e andavo a dormire nei boschi, e questo era un sollievo. Preferivo le abitudini di prima, ma anche le nuove cominciavano a piacermi. La vedova diceva che i miei progressi erano lenti ma sicuri, e che stavo andando bene. Diceva che non si vergognava più di me.

Una mattina mi è capitato di rovesciare la saliera a colazione. Più svelto di un gatto mi sono chinato a raccogliere un po' di sale da gettarmi dietro la spalla sinistra per tenere lontana la scalogna, ma Miss Watson è scattata a bloccarmi.