L’acqua non ti farà del male.»

Tom rimase un po’ sconcertato. Il catino venne riempito di nuovo e questa volta lui uscì e rimase chino verso di esso per qualche tempo, chiamando a raccolta il coraggio; infine trasse un gran respiro e cominciò a lavarsi. Quando rientrò in cucina, di lì a poco, con tutti e due gli occhi chiusi, brancolando in cerca dell’asciugamano, una onorevole testimonianza di bolle di sapone e d’acqua gli stava gocciolando dalla faccia. Ma, una volta emerso dall’asciugamano, Tom non risultò essere molto soddisfacente; infatti, il territorio pulito terminava sul mento e intorno alle gote come una maschera; al di là di questo confine si vedeva una scura distesa di terreno non irrigato che si estendeva davanti e all’indietro intorno al collo. Mary lo prese per mano e quando ebbe finito, Tom era un uomo e un fratello, senza differenze di colore; aveva inoltre i capelli zuppi bene spazzolati e i corti riccioli disposti in modo simmetrico, con un grazioso effetto generale. (Di nascosto egli si lisciava i riccioli, con fatica e difficoltà, schiacciandosi i capelli sulla testa; infatti riteneva che i riccioli fossero effeminati e i suoi gli colmavano la vita di amarezza.) Poi Mary tirò fuori il vestito che era stato indossato soltanto le domeniche per due anni – lo chiamavano, semplicemente, “gli altri panni” – per cui sappiamo adesso in che cosa consistesse il guardaroba di Tom. La ragazza lo “sistemò come si deve” dopo che se lo era messo; gli abbottonò fino al mento la giacchetta, rivoltò sulle spalle l’ampio colletto della camicia, lo spazzolò e lo incoronò con il cappello di paglia picchiettato. Il ragazzo sembrava adesso straordinariamente migliorato, ma a disagio; e si sentiva effettivamente a disagio quanto lo sembrava; infatti il vestito della festa e tutta quella pulizia costituivano una restrizione che lo esasperava. Sperò che Mary dimenticasse le scarpe, ma la sua risultò essere una vana speranza; ella le spalmò meticolosamente con sego, come si usava allora, e gliele portò. Tom perdette la pazienza e disse che lo si costringeva sempre a fare tutte le cose per lui più insopportabili. Ma Mary mormorò, persuasiva:

«Per favore, Tom... fa’ il bravo ragazzo.»

E così lui si mise le scarpe, digrignando i denti. Mary fu ben presto pronta e si incamminarono tutti e tre verso la scuola domenicale, un posto che Tom odiava con tutto il cuore; per Sid e per Mary, invece, era piacevolissimo.

L’orario della scuola domenicale andava dalle nove alle dieci e mezzo; veniva poi la funzione in chiesa. Due di loro si trattenevano sempre spontaneamente per la predica; e il terzo rimaneva sempre anche lui, per ragioni ancora più importanti. Le panche dallo schienale alto, e senza cuscini, della chiesa potevano contenere circa trecento persone; l’edificio era piccolo e semplice, con una sorta di gabbia, fatta con assi di pino, in cima, a mo’ di campanile. Sulla porta, Tom indietreggiò di un passo e avvicinò un suo compagno, anche lui con il vestito della festa:

«Ehi, Bill, ce l’hai uno scontrino giallo?»

«Sì.»

«Che cosa vorresti in cambio?»

«Che cosa mi daresti?»

«Un pezzo di liquerizia e un amo da pesca.»

«Vediamo.»

Tom esibì i due oggetti. Risultarono soddisfacenti e lo scambio ebbe luogo. Poi Tom barattò un paio di bilie extra-grandi contro tre scontrini rossi e qualche altra bagatella contro un paio di scontrini bianchi. Aspettò al varco altri ragazzi man mano che arrivavano e continuò a procurarsi scontrini di vari colori per altri dieci o quindici minuti. Entrò in chiesa, infine, insieme a uno sciame di ragazzi e ragazze, tutti puliti e rumorosi, andò a sedersi al suo posto ed ebbe un litigio con il primo ragazzo a portata di mano. L’insegnante, un uomo austero e anziano, intervenne; poi voltò le spalle per un momento e Tom tirò i capelli a un ragazzo seduto sulla panca davanti alla sua, ma era già assorto nella lettura del suo libro quando la vittima si voltò; di lì a poco conficcò uno spillo in un altro ragazzo, per sentirlo gridare “Ahi!”, e venne nuovamente rimproverato dall’insegnante.

I compagni di classe di Tom erano tutti uguali... irrequieti, rumorosi e molesti. Quando giunse il momento di recitare la lezione, risultò che nessuno di loro aveva imparato bene a memoria i versetti, e tutti ebbero bisogno di continui suggerimenti. Comunque, se la cavarono in qualche modo, e ognuno ottenne il premio sotto forma di scontrini blu sui quali erano stampati passi delle Sacre Scritture; ciascuno scontrino blu compensava due versetti della lezione. Dieci scontrini blu valevano uno scontrino rosso e potevano essere scambiati con quello; poi dieci scontrini rossi equivalevano a uno scontrino giallo; per dieci scontrini gialli il preside regalava una Bibbia rilegata molto semplicemente (del valore di quaranta centesimi di dollaro in quel periodo di frugalità) all’allievo. Quanti dei miei lettori avrebbero la costanza e la voglia di imparare a memoria duemila versetti, sia pure per una Bibbia illustrata dal Doré? Eppure Mary si era assicurata due Bibbie, in questo modo: il frutto delle pazienti fatiche di due anni; e un ragazzo di origine tedesca ne aveva vinte quattro o cinque. Una volta era riuscito a recitare a mente tremila versetti senza mai fermarsi; ma, lo sforzo imposto alle sue facoltà mentali essendo risultato troppo grande, egli aveva finito con l’essere poco più di un idiota da quel giorno in poi – una disgrazia tremenda per la scuola, poiché nelle grandi occasioni, alla presenza di visitatori, il preside aveva sempre chiamato quel ragazzo a “mettersi in vetrina” (come si esprimeva Tom). Soltanto gli allievi più grandi riuscivano a conservare gli scontrini e a imparare a memoria le noiose lezioni sufficientemente a lungo per meritarsi una Bibbia, per cui la consegna di uno di quei premi costituiva una circostanza rara e degna di nota; l’allievo che riusciva a meritarsela diventava tanto importante e in vista, quel giorno, da far sì, seduta stante, che nel petto di tutti gli altri ragazzi ardesse la fiamma di una nuova ambizione la quale resisteva spesso anche per due settimane.