Ma una cosa è certa, gliele suonerò, a Sid, per quello che ha fatto. Mi venga la coda se non lo pesto!»
Non era il ragazzo modello del villaggio. Conosceva benissimo, però, il ragazzo modello, e lo odiava.
Due minuti dopo, o anche meno, aveva dimenticato tutti i suoi guai. Non perché quei guai fossero per lui meno opprimenti e assillanti di quanto lo sono le difficoltà della vita per un adulto, ma soltanto perché una nuova e formidabile distrazione li scacciò momentaneamente dai suoi pensieri, né più né meno come le disgrazie di un uomo vengono dimenticate nell’entusiasmo di nuove imprese. Questa nuova distrazione consisteva in una apprezzatissima novità nel fischiare, appena imparata da un negro, e ora egli stava cercando di metterla in pratica indisturbato. La novità era un singolare gorgheggio tipo uccello, una sorta di liquido trillo, prodotto toccando il palato con la punta della lingua a brevi intervalli nel bel mezzo della melodia. Il lettore, se è mai stato ragazzo, ricorda probabilmente come si fa. Diligenza e attenzione gli consentirono ben presto di scoprire il trucco per riuscirvi, e Tom si incamminò lungo la strada con la bocca piena di armonia e l’anima colma di gratitudine. Si sentiva press’a poco come può sentirsi un astronomo che abbia appena scoperto un nuovo pianeta. Ma, senza dubbio, per quanto concerne l’intensità e la profondità di uno sconfinato piacere, a trovarsi in vantaggio era il ragazzo, e non l’astronomo.
I crepuscoli estivi erano lunghi. Non faceva ancora buio. Di lì a non molto, Tom smise di fischiare. Davanti a lui si trovava uno sconosciuto; un ragazzo un pochino più robusto di quanto egli fosse. Ogni nuovo venuto, di qualsiasi età e di entrambi i sessi, costituiva una novità favolosa nel misero e piccolo villaggio di St Petersburg. Questo ragazzo era ben vestito, per giunta; ben vestito in un giorno feriale. La cosa sembrava, né più né meno, stupefacente. Il berretto era molto elegante, la giacchetta di stoffa blu, attillata e abbottonata, sembrava nuova e inappuntabile, come i pantaloni. Aveva persino le scarpe, anche se era venerdì, e la cravatta, un pezzetto di nastro dal colore vivace. Aveva un’aria cittadina tale da far sì che Tom si rodesse il fegato. Quanto più Tom fissava quella meraviglia, quanto più arricciava il naso di fronte a tanta eleganza, tanto più miseri sembravano diventare i suoi panni. Nessuno dei due ragazzi parlava. Se l’uno si muoveva, l’altro faceva altrettanto... ma soltanto di lato, in circolo. E sempre restavano di fronte, fissandosi negli occhi continuamente. Infine, Tom disse:
«Posso dartene un fracco!»
«Mi piacerebbe che ci provassi.»
«Be’, posso farlo.»
«E io dico che non puoi.»
«Sì che posso.»
«No, non puoi.»
«Posso.»
«Non puoi.»
«Posso.»
«No.»
Un silenzio imbarazzante. Poi Tom disse:
«Come ti chiami?»
«Questa è una cosa che non ti riguarda, forse.»
«E invece posso fare in modo che mi riguardi, potrei scommetterci.»
«Be’, perché non ci provi?»
«Se lo dici ancora una volta ci provo.»
«Lo ridico, lo ridico, lo ridico! Ecco fatto.»
«Ah, credi di essere un furbone, vero? Potrei dartele con una mano legata dietro la schiena, se volessi.»
«Be’, perché non me le dai? Lo dici di potermele dare.»
«È quello che farò, se mi prendi in giro.»
«Oh, sì... ho visto intere famiglie nei pasticci come te.»
«Spiritoso! Credi di essere chissà chi, eh?»
«Oh, che bel tipetto!»
«Dovrai mandarlo giù, questo tipetto, anche se non ti piace. Ti sfido a toccarmi, perché chiunque osi farlo verrà conciato per le feste.»
«Sei un bugiardo!»
«E tu lo sei più di me!»
«Ti batti soltanto a parole, ma non osi farlo sul serio.»
«Oh, cammina...
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