Continuò per qualche tempo a sfoggiare quelle grottesche scempiaggini; ma, di lì a non molto, mentre stava eseguendo alcune pericolose acrobazie ginniche, sbirciò di lato e vide che la ragazzina stava andando verso la casa.

Si avvicinò allora alla recinzione e si appoggiò a essa, soffrendo e sperando che la bambina indugiasse ancora per qualche momento. Ella sostò un attimo sui gradini, poi si mosse nella direzione della porta. Tom emise un gran sospiro mentre la sconosciuta metteva il piede sulla soglia, ma poi, subito, si illuminò in viso, poiché lei lanciò una viola del pensiero al di là della recinzione, prima di scomparire. Il ragazzo corse intorno alla recinzione, si fermò a un mezzo metro circa dal fiore, poi si fece schermo agli occhi con la mano e prese a guardare lungo la strada come se avesse scoperto qualcosa di interessante che stava accadendo da quella parte. Dopo qualche momento, raccattò un filo di paglia e cominciò a cercare di tenerlo in equilibrio sul naso, la testa molto arrovesciata all’indietro; e mentre, facendo quei tentativi, si spostava da un lato e dall’altro, si avvicinò sempre e sempre più alla viola del pensiero; infine vi mise su il piede nudo, con le dita chiuse sul fiore, quindi saltellò via con il tesoro, e scomparve dietro l’angolo. Ma soltanto per un minuto, giusto il tempo di infilare la viola del pensiero sotto la giacchetta, contro il cuore, o più probabilmente contro lo stomaco, in quanto non era molto versato in anatomia, né troppo pignolo, del resto.

Tornò indietro subito dopo e rimase intorno alla recinzione fino al cader della notte, “esibendosi” come prima; ma la ragazzetta non si fece più vedere e Tom si consolò un poco con la speranza che ella fosse rimasta per tutto quel tempo dietro qualche finestra, consapevole delle sue attenzioni. Infine tornò a casa riluttante, con la povera testa colma di visioni.

Per tutto il tempo, durante la cena, fu così effervescente da far sì che la zia si domandasse “che cosa poteva essere accaduto al bambino”. Si prese una bella ramanzina per avere scagliato le zolle di terra contro Sid, ma parve non curarsene minimamente. Cercò di rubare zucchero proprio sotto il naso della zia e si beccò una bacchettata sulle nocche per questo. Disse:

«Zia, tu non punisci Sid quando ruba lo zucchero!»

«Be’, Sid non tormenta nessuno come fai tu. Se non ti sorvegliassi, non faresti altro che cacciarti zucchero in bocca.»

Di lì a poco ella andò in cucina, e Sid, esultante a causa della sua immunità, allungò la mano verso la zuccheriera, con una sorta di vanteria nei riguardi di Tom che era quasi insopportabile. Ma la zuccheriera gli scivolò tra le dita e cadde e andò in pezzi. Tom era in estasi... un’estasi tale da consentirgli persino di tenere a freno la lingua e tacere. Disse a se stesso che non avrebbe pronunciato una sola parola, nemmeno una volta entrata la zia, ma che sarebbe rimasto del tutto immobile fino a quando ella avesse domandato chi era stato; dopodiché glielo avrebbe detto e niente al mondo sarebbe potuto essere piacevole quanto assistere alla punizione di quel bambino monello, di quel tesoruccio.

Era talmente traboccante di esultanza che quasi non riuscì a trattenersi quando l’anziana signora rientrò e rimase in piedi davanti ai cocci, sprizzando fulmini d’ira al di sopra degli occhiali. Tom si disse: “Ora ci siamo!”. E, un attimo dopo, eccolo lungo disteso sul pavimento! Il palmo possente era alzato per colpire ancora, quando egli gridò:

«Ehi, un momento, perché stai picchiando me? È stato Sid a romperla!»

Zia Polly tacque, perplessa, e Tom aspettò la compassione consolatrice. Ma la zia, una volta ritrovata la favella, si limitò a dire:

«Uhm! Be’, non sei stato picchiato per niente, credo. Sono sicura che anche tu ne hai combinata qualcuna delle tue, mentre io non mi trovavo qui.»

Poi la coscienza la rimproverò ed ella anelò a dire qualcosa di gentile e di affettuoso; ma ritenne che ciò sarebbe stato interpretato come una confessione da parte sua del fatto che aveva avuto torto, e la disciplina lo sconsigliava. Pertanto tacque e continuò a sbrigare le sue faccende ma con il cuore molto turbato.

Tom fece il broncio in un angolo, ingrandendo nell’immaginazione le proprie disgrazie. Sapeva che la zia, in cuor suo, gli si stava inginocchiando dinanzi, ed era tetramente soddisfatto rendendosene conto. Ma non intendeva inalberare segnali, o badare a quelli che gli venivano fatti.

Sapeva che, di quando in quando, uno sguardo struggente si posava su di lui attraverso un velo di lacrime, ma si rifiutava di avvedersene. Immaginò se stesso a letto malato e in punto di morte, e la zia che si chinava su di lui, implorando una sola, breve parola di perdono; e vide se stesso voltarsi verso la parete e morire senza aver pronunciato quella parola. Ah, che cosa avrebbe provato, allora, zia Polly?

Poi immaginò di essere portato a casa dal fiume, morto, con tutti i riccioli zuppi, e le povere mani immobili per sempre, e il cuore afflitto fermo in eterno.