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X La notte …………………………………………… 65
XI L’Alba …………………………………………….. 68
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 3
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli
Giovanni Pascoli Le canzoni di re Enzio
– La canzone del carroccio Q
I La canzone del carroccio
I
I bovi
Mugliano i bovi appiedi dell’Arengo.
Sull’alba il muglio nella città fosca
sparge l’odor del sole e della terra.
L’aratro appare che ricopre il seme,
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appare il plaustro che riporta il grano.
Torri Bologna più non ha, che pioppi:
tra i suoi due fiumi, tremoli alti pioppi.
Più non ha case, che tra il verde, rare,
con le ben fatte cupole di strame;
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più non ha piazze, che grandi aie bianche
su cui vapora un polverìo di pula.
Vi son gli stabbi sotto i tamarischi;
le cavedagne all’ombra dei vecchi olmi;
e il sonnolento macero, che pare
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quasi ronfare il canto delle rane.
Il muglio parla d’opere e ricolti,
parla di solitudine e di pace
e d’abbondanza. Il muglio desta i falchi
lassù, prigioni: ch’empiono la muda
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d’un loro squittir rauco.
I falchi d’Eristallo e Solimburgo,
vedeano in sogno brighe zuffe stormi.
Narrano desti l’uno all’altro il sogno.
Sognava Buoso d’essere a Dovara,
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nel suo castello, e di sognar l’inferno…
Quieti a basso ruminano i bovi.
L’anno è finito delle lor fatiche.
Finita è l’ansia di tirare il plaustro
per l’ampia via del console romano.
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Traean pur ieri alla città turrita
le castellate dal lucente usciolo;
fasci traean di canapa e di stoppa,
a cui nel verno esercitar le ancelle;
e bianche sacca turgide di grano,
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 5
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli
Giovanni Pascoli Le canzoni di re Enzio
– La canzone del carroccio Q
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e scabri ciocchi e fragili sarmenti:
hanno provvisto il pane, il vino, il fuoco,
e il saldo filo onde si tesse il drappo
rude e sincero. E ruminano gravi
di maraviglia, ad or ad or mugliando
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nella città che dome.
Il bianco e il rosso stanno sotto in giogo:
i due colori della tua bandiera,
forte Bologna. I rossi magri bovi,
dalle ampie corna e dai garretti duri,
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fendean gemendo la satunia terra,
allor che madre grande era di biade,
grande d’eroi. Rapidi aravano. Era
forse alla bure un dittator di Roma.
Rapidi vanno: ne’pelosi orecchi
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risuona ancora il grido dell’impero.
Ma poi dall’ape scesero, tranando
le case erranti d’Eruli e di Goti,
i bovi bianchi, a cui restò negli occhi
lo stupor primo della terra sacra,
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i monti, i laghi, i prati, i campi, i fiumi.
Ella giacea sotto la mano stesa
del condottiere; e i piccoli e le donne
gli occhi celesti confondean nel cielo.
Stendea la mano il Barbaro esclamando:
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Italia! Italia! Italia!
Ed ora i pigri bovi bianchi a terra
piegan le gambe e sdraiano le membra.
Ma resta in piedi il fulvo lor compagno,
così ch’è il giogo a tutti e due più grave.
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L’un capo e l’altro appressa torvi il giogo
comune, e gli umidi aliti stranieri.
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