Ma il rosso alfine le ginocchia ponta
e piega a terra: e in pace, a paro, entrambi
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ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli
Giovanni Pascoli Le canzoni di re Enzio
– La canzone del carroccio Q
girano poi la macina dei denti.
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Comincia l’anno delle lor fatiche:
a paro, in pace, romperanno il campo:
tra poco al campo porteranno il concio
tiepido e nero; e poi faranno i solchi,
i lunghi solchi per la pia sementa,
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per grano e lino, canapa orzo spelta.
L’aratro è fondo, ma il biolco preme
la stiva più.“Là, Bianco!” urla;“Qua, Rosso!”
Fumano insieme il fiato della terra
rotta e dei bovi e del nebbioso cielo
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e del seminatore.
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Giovanni Pascoli Le canzoni di re Enzio
– La canzone del carroccio Q
II
Il custode dell’arengo
Sul limitare siedono i biolchi,
mangiano pane. E quali son manenti,
quali arimanni, del contado, astretti
al suolo altrui come le quercie e gli olmi.
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Ma dietro loro stridono le chiavi
e i chiavistelli, ed apparisce il vecchio
ch’ha in sua balìa le porte delle stalle:
Zuam Toso. Il lume ha grave ormai degli occhi;
traguarda e dice: “Uomini, dove siete?”
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Cala il cappuccio, stringe a sé la cappa
con pelli agnine, ch’ebbe dal Comune
ad Ognissanti per il suo lavoro.
Zuam Toso trema, abben che sia d’ottobre.
Guarda a’ suoi piedi, sulla soglia, e dice:
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“Traete dentro, uomini, i bovi: è l’ora.
Già Bonifazio monta al bitifredo”.
Dice il custode dell’Arengo; e i servi
taciti in piedi s’alzano, e del piede
tentano i lombi a gl’indolenti bovi
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che s’alzano soffiando.
E parla il Toso, volto a gli arimanni,
volto ai manenti: “Io vedo ormai più poco.
Ben converrà che il frate mio m’aiuti,
buon uomo e savio: ch’io non son quel ch’ero
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quando il passaggio feci in Terra Santa.
Oh! mi ricordo Orso Cazanimici,
Pietro Asinelli, Scappa Garisendi,
pro’ cavalieri: io, piccolo ragazzo.
Io, sì, tornai: niuno tornò, di loro,
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sì che in Bologna ne fu poi gran pianto.
Poi l’altra volta mi crociai. Ricordo
il Lambertazzo e il Geremeo seduti
placidi all’ombra, all’ombra d’una palma.
Era in Soria. Tenevo io per le briglie
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 8
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Giovanni Pascoli Le canzoni di re Enzio
– La canzone del carroccio Q
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i due cavalli: si mordean rignando…”
Quivi un biolco avanti trae la coppia
prima de’ bovi, e dice: “Misèr Toso…”
E quei dà luogo, ed esce nella piazza.
Sotto l’Arengo vi son già fanciulli
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con gli occhi aperti al cielo.
Vogliono il re. Dice Zuam Toso: “Andate!
Quando ero putto come voi, ben altro
io vidi! Vidi, grande, alto a cavallo,
l’imperatore dalla barba rossa.
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Lì!” Gli occhi tondi vanno dietro al dito.
“Egli solcava col suo grande aratro
le piazze e vie delle città romane:
seguiano il solco nugoli di corvi.”
Più lungi è un crocchio di donzelle e donne;
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chinano gli occhi all’appressar del Toso.
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