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E venne tempo, e patria sola il plaustro
restò. Giaceva la città di pietra.
E il plaustro parve il Gran Carro di stelle
che intorno a un punto sempre va nel cielo.
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Ma vennero altri plaustri, altre vaganti
città tranate dai muggenti bovi,
altri raminghi popoli. Fu il mese
d’aprile, il mese che aprono le gemme.
Di fiori in boccia sorridea l’altare.
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Le Martinelle sonavano a gloria.
E il doppio a festa si faceva immenso
e percotea nell’avvenir profondo.
Misto era a scrosci, a voci, a urla, a rombi.
Forse tonava sopra la Redorta.
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Era d’aprile. Il figlio della lupa
quel mese arò con la giovenca e il toro.
Era d’aprile. Dalle tue macerie
nascean, Milano, l’erbe ancora e i fiori.
Vi aveva arato l’arator selvaggio:
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dal solco fondo germinò l’Italia.
E fu l’Italia giovinetta, eterna,
su te, con te, Carroccio di Milano,
quel fin di maggio! Già sfiorian le rose.
Andava lento in val d’Olona il plaustro.
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Il distruttore di città lo scorse:
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 21
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli
Giovanni Pascoli Le canzoni di re Enzio
– La canzone del carroccio Q
gli si avventò coi cavalier di ferro,
ruppe le schiere, i sacri bovi attinse,
l’azza scagliò contro la sacra antenna.
Allor su lui con novecento spade,
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splendide al sole, si gettò la Morte.
E quella sera il carro del convento,
il santo carro di Pontida, attese.
Reddiano stanchi i falciatori a vespro,
rossi di sangue, e rosso era di sangue
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il carro, e i bovi, che muggian sommesso.
Ma il canto andava, delle trombe, al cielo.
Rosso era il cielo, che s’empìa di stelle.
Lucean le stelle ai morti. In mezzo, eretto,
si riposava su l’enorme spada
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Alberto da Giussano.
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 22
ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli
Giovanni Pascoli Le canzoni di re Enzio
– La canzone del carroccio Q
VII
La via Emilia
Il Podestà coi giudici e’ notari
scendono, in ricchi sciamiti velluti.
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