In essi trovammo una semplice e terribile conferma delle informazioni che avevamo già tratto dalle strisce e dai rilievi. Nell’esporre ciò che tutto questo ci ha svelato, spero di non suscitare nel mio uditorio una curiosità più grande della necessaria cautela. Sarebbe tragico se qualcuno dovesse essere attratto verso quel regno della morte e dell’orrore dalle parole che scrivo per mettere in guardia la nostra razza.
Le pareti scolpite erano interrotte da alte finestre e imponenti arcate di circa quattro metri; entrambe, in qualche caso, conservavano i pannelli di legno pietrificato - a loro volta scolpiti e lavorati - che erano ciò che restava delle imposte o delle porte vere e proprie. I pezzi metallici erano scomparsi da tempo, ma alcune porte erano rimaste al loro posto e dovettero essere forzate man mano che passavamo da una stanza all’altra. Qua e là sopravviveva il telaio di una finestra con bizzarri pannelli trasparenti, perlopiù ellittici, ma non erano molti. Notammo alcune nicchie di grandi dimensioni, di solito vuote; ogni tanto qualcuna ospitava un bizzarro oggetto scolpito di steatite verde, ma portarli con noi sarebbe stato impossibile perché erano consunti e in condizioni troppo precarie per uscire indenni dal trasporto. Altre aperture erano senza dubbio collegate con antichissimi apparati meccanici - per l’illuminazione, il riscaldamento e simili - che le sculture a loro modo descrivevano. Di solito i soffitti erano lisci, ma alcuni erano stati decorati con piastrelle di steatite verde o altri minerali, ora perlopiù cadute. I pavimenti erano ricoperti da piastrelle dello stesso tipo, anche se nella maggior parte dei locali predominava la pietra pura e semplice.
Come ho detto, mobilia e altri oggetti trasportabili erano assenti, ma le sculture ci diedero un’idea abbastanza chiara degli apparati che un tempo avevano popolato quei saloni echeggianti come tombe. Sopra lo strato di ghiaccio i pavimenti erano generalmente ingombri di detriti, scorie e altri rifiuti, ma ai livelli inferiori il fenomeno diminuiva. In alcuni dei corridoi e saloni più bassi c’erano soltanto polvere rocciosa e antiche incrostazioni, mentre ogni tanto appariva come per miracolo una zona dall’aspetto quasi intatto e immacolato. Ovviamente, dove c’erano stati crolli o slavine i piani inferiori erano ingombri come i superiori. Un cortile centrale - simile a quello che avevamo notato dall’aereo in altri edifici - impediva che le zone più interne del dedalo sprofondassero nel buio completo, e grazie a questo fatto dovemmo ricorrere raramente alle torce elettriche per esaminare i particolari delle sculture. Questo, almeno, ai piani superiori: sotto la lastra di ghiaccio il buio infittiva e in numerosi punti, a pianterreno, regnava una tenebra quasi assoluta.
Per farsi un’idea anche approssimativa dei nostri pensieri e sentimenti, man mano che ci addentravamo in quel labirinto disumano e sprofondato nel silenzio da milioni d’anni, bisognerebbe mettere ordine in uno straordinario caos di emozioni, ricordi e sensazioni fuggevoli. La paurosa antichità del luogo e la sua mortale desolazione avevano il potere di schiacciare qualunque persona dotata di sensibilità, ma a questi elementi bisogna aggiungere il recente e inspiegabile orrore all’accampamento e le rivelazioni fin troppo improvvise delle tremende sculture murali. Quando c’imbattemmo in una rappresentazione perfettamente conservata, e in cui non esistevano ambiguità d’interpretazione, un esame molto breve bastò a rivelarci l’orribile verità… verità che Danforth e io avevamo già sospettato, è inutile negarlo, ma che ci eravamo vietati di esprimere persino l’uno all’altro. Ormai non potevano esserci dubbi sulla natura degli esseri che avevano costruito e abitato la mostruosa città morta da milioni di anni, quando gli antenati dell’uomo erano ancora mammiferi primitivi ed enormi dinosauri vagavano nelle steppe tropicali dell’Europa e dell’Asia.
Fino a quel momento ci eravamo aggrappati a una disperata alternativa, dicendo a noi stessi che l’onnipresente motivo a cinque punte non era che l’icona culturale o religiosa di un antichissimo oggetto naturale, la cui forma era appunto quella di una stella e che i costruttori della città adoravano: allo stesso modo nella Creta micenea questo simbolo era stato il toro, in Egitto lo scarabeo, a Roma la lupa e l’aquila, e in innumerevoli tribù selvagge un determinato animale-totem. Ma quest’ultima possibilità di rifugio ci fu letteralmente strappata, e dovemmo affrontare la sconvolgente verità che il lettore di queste pagine ha certo intuito da tempo. Anche adesso non sopporto l’idea di metterla nero su bianco, ma forse non sarà necessario.
Le creature che avevano costruito e popolato lo spaventoso labirinto che risaliva all’età dei dinosauri non erano dinosauri, ma molto peggio. A loro confronto i grandi rettili erano creature recenti e praticamente senza cervello, mentre i costruttori appartenevano a una razza antica e sapiente, e avevano lasciato impronte nella roccia che già allora risalivano a quasi un miliardo d’anni prima… E la roccia si era formata prima che la vita sulla terra progredisse oltre lo stadio di malleabili gruppi di cellule, ragion per cui precedeva assolutamente l’origine della nostra evoluzione biologica.
Perché erano essi ad aver creato le forme di vita terrestri e ad averle fatte schiave; e senza dubbio essi avevano fornito il modello delle creature mostruose descritte nei miti primigeni, quelli cui accennano con terrore i Manoscritti pnakotici e il Necronomicon. Erano i Grandi Antichi filtrati dalle stelle quando la terra era giovane… gli esseri plasmati da un’evoluzione aliena e dotati di tali poteri che il nostro pianeta non ne ha mai conosciuto l’uguale. E pensare che solo il giorno prima Danforth e io avevamo esaminato i frammenti della loro materia corporea, fossilizzata da milioni di anni… e il povero Lake e il suo gruppo li avevano visti interi…
È impossibile raccontare nell’ordine preciso le varie scoperte che ci hanno permesso di scoprire ciò che ora sappiamo su quel mostruoso capitolo di storia preumana. Dopo il primo shock della rivelazione dovemmo fermarci un poco per riprenderci, ed erano ormai le tre quando cominciammo un’esplorazione sistematica del luogo. Le sculture dell’edificio in cui eravamo entrati erano di data relativamente tarda, come confermarono una serie di informazioni geologiche, biologiche e astronomiche contenute nelle rappresentazioni: forse risalivano a due milioni di anni fa. La loro arte, a paragone degli esemplari più antichi che scoprimmo in altre costruzioni dopo aver attraversato alcuni ponti sotto il ghiaccio, aveva caratteristiche che definiremmo decadenti. Un edificio scavato direttamente nella roccia risaliva forse a quaranta o cinquanta milioni d’anni fa, al basso Eocene o al Cretaceo superiore, e conteneva bassorilievi di una maestria tale che superavano tutti gli altri (con un’unica eccezione, che avremmo poi incontrata).
È quello, come abbiamo convenuto, il più vecchio edificio domestico da noi attraversato.
Se non fosse per la documentazione fotografica che sta per esser resa pubblica, non rivelerei affatto ciò che scoprii o che dedussi per timore di essere rinchiuso in manicomio. Ovviamente le parti più antiche della grande saga scultorea (quelle che rappresentavano la vita pre-terrestre degli esseri dalla testa a forma di stella, e che erano ambientate su altri pianeti, in altre galassie o altri universi) possono essere lette come la loro fantastica mitologia; eppure anche le sculture più antiche contenevano disegni e diagrammi straordinariamente vicini alle ultime scoperte della matematica e dell’astrofisica. Non so cosa pensare: altri giudicheranno dopo aver visto le fotografie che pubblicherò.
Naturalmente ogni bassorilievo raccontava solo una frazione della storia complessiva, e non ci imbattemmo nei vari capitoli nell’ordine esatto. Alcune sale costituivano, dal punto di vista artistico, episodi indipendenti; altre volte una determinata serie di avvenimenti veniva continuata in una teoria di stanze o corridoi. Le mappe e i diagrammi migliori si trovavano sulle pareti di un abisso spaventoso sotto l’antico livello del suolo, una caverna del diametro di circa settanta metri e alta quasi venti che doveva essere stata una specie di centro educativo. Nelle varie stanze ed edifici c’erano parecchie interessanti ripetizioni dello stesso materiale, perché evidentemente alcuni episodi della loro esperienza e i riassunti di alcuni momenti-chiave della storia erano prediletti da parecchi artisti e dai proprietari delle rispettive dimore.
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