Vennero fondate nuove città in superficie, le più grandi delle quali nell’antartico: la regione del primo approdo rimaneva la più sacra. Da allora, e come già era avvenuto in passato, l’antartico rimase il centro della civiltà degli Antichi e tutte le città che la progenie di Cthulhu vi aveva costruito furono distrutte man mano che venivano identificate. Poi le terre del Pacifico sprofondarono di nuovo, portando negli abissi la spaventosa città di pietra di R’Iyeh e le piovre venute dal cosmo; in questo modo gli Antichi rimasero padroni del pianeta, minacciati soltanto da un oscuro timore di cui preferivano non parlare.

In epoche più tarde le loro città sorsero in tutti gli oceani e le terre del mondo: per questo nella monografia che sto per pubblicare raccomando che alcuni archeologi, muniti dei macchinari di Pabodie, svolgano una serie di scavi sistematici anche in regioni molto lontane fra loro.

Attraverso i millenni la tendenza degli Antichi fu sempre quella di trasferirsi dal mare alla terraferma: movimento incoraggiato dal sorgere di nuove masse terrestri che tuttavia non portò all’abbandono completo dell’oceano. Un’altra causa dello spostamento verso la superficie era la difficoltà, mai sperimentata prima, di allevare e dirigere gli shoggoth, da cui la vita sottomarina dipendeva profondamente. Con il passare del tempo, come le sculture confessavano tristemente, l’arte di creare nuova vita dalla materia inorganica era andata perduta e gli Antichi avevano dovuto accontentarsi di rimodellare forme già esistenti. Sulla terraferma i grandi rettili si erano rivelati estremamente trattabili, ma gli shoggoth marini (che si riproducevano per fissione e avevano sviluppato accidentalmente un pericoloso livello di intelligenza) costituirono per diverso tempo un grave problema.

Gli Antichi li avevano sempre controllati ipnoticamente, modellandone la robusta struttura plastica in vari organi e appendici temporanee, ma con il tempo gli shoggoth avevano imparato ad automodellarsi ed ad esercitare questa facoltà indipendentemente, imitando le forme già note per suggestione. A quanto pare avevano sviluppato un cervello più o meno stabile la cui autonomia e a volte ostinata capacità di volizione scimmiottava le istruzioni impartite dagli Antichi senza necessariamente obbedirvi. Le immagini degli shoggoth presenti nei bassorilievi riempirono Danforth e me di orrore e disgusto. Si trattava, solitamente, di entità informi e fatte di una gelatina viscosa che ricordava un agglomerato di bolle; quando assumevano un aspetto vagamente sferico il diametro si aggirava sui cinque metri e più. In realtà cambiavano continuamente forma e dimensioni, ed erano in grado di sviluppare appendici temporanee e di formare quelli che sembravano organi della vista, dell’udito e della parola a imitazione dei loro padroni. Questo processo avveniva spontaneamente o per suggestione.

Verso la metà del Permiano, circa centocinquanta milioni di anni fa, queste peculiari creature erano diventate del tutto intrattabili e gli Antichi che vivevano nel mare avevano dovuto combattere una vera e propria guerra di riassoggettamento nei loro confronti. Nonostante l’abisso dei secoli che ci separava, le rappresentazioni della guerra e del modo in cui gli shoggoth abbandonavano le loro vittime (decapitate e coperte di umori viscosi) avevano una capacità quasi portentosa di suscitare il terrore. Contro i ribelli gli Antichi avevano usato potenti armi che causavano scompensi molecolari, e in definitiva avevano riportato una vittoria completa. Le sculture successive dipingevano un periodo in cui gli shoggoth venivano catturati e addomesticati dai padroni in armi, un po’ come i cavalli selvatici dell’ovest americano sono stati addomesticati dai cowboy. Benché durante la rivolta gli shoggoth avessero mostrato una certa capacità di vivere fuori dell’acqua, questo passo non venne incoraggiato dai padroni, poiché la loro utilità sulla terraferma difficilmente avrebbe compensato gli sforzi necessari a mantenerli.

Durante il Giurassico gli Antichi avevano dovuto affrontare altre difficoltà, rappresentate da una nuova invasione spaziale: questa volta si trattava di creature metà funghi e metà crostacei che provenivano da un pianeta identificabile con il lontano Plutone, da poco scoperto anche dai nostri astronomi. Le creature in questione sono senz’altro le stesse di cui parlano certe oscure leggende del nord e che nell’Himalaya sono ricordate come Mi-Go, gli abominevoli uomini delle nevi. Per combattere i nuovi nemici, e per la prima volta dopo il loro arrivo sulla terra, gli Antichi tentarono di volare nello spazio interplanetario, ma nonostante i laboriosi preparativi scoprirono che non riuscivano a lasciare l’atmosfera terrestre. Qualunque fosse, il segreto del volo interstellare era perduto per sempre. Alla fine della guerra i Mi-Go erano riusciti a scacciare gli Antichi da tutte le regioni del nord, anche se avevano potuto ben poco contro quelli che vivevano nel mare. Poco a poco la vecchia razza cominciò la sua lenta ritirata verso l’originario ambiente antartico.

Dalle raffigurazioni delle battaglie notammo, con sorpresa, che la progenie di Cthulhu e i Mi-Go sembravano composti di materia molto diversa da quella che sappiamo essere la sostanza degli Antichi: capaci di trasformazioni impossibili ai loro avversari, questi invasori provenivano originariamente da abissi anche più lontani dello spazio cosmico. A parte la loro incredibile robustezza e le peculiari facoltà vitali, gli Antichi erano esseri materiali senz’altro originatisi nel continuum spazio-temporale che conosciamo; degli altri, possiamo solo azzardare la provenienza col fiato sospeso. Tutto ciò, ovviamente, dando per scontato che la provenienza extraterrestre e le anomalie attribuite agli invasori non siano pura leggenda. È

possibile che gli Antichi abbiano inventato un mito cosmico per giustificare le loro occasionali sconfitte, perché è ovvio che orgoglio e interesse per la storia costituivano le loro principali caratteristiche psicologiche. Altro dato significativo è che i loro annali non facciano alcuna menzione delle numerose e potenti razze evolute le cui influenti culture, e grandiose città, figurano costantemente nelle oscure leggende del passato.

Numerose mappe e sculture rappresentavano i cambiamenti in corso sulla terra attraverso le ère geologiche; in alcuni casi la scienza che conosciamo dovrà essere rivista, mentre in altri le sue più audaci teorie trovano una splendida conferma. Come ho già detto l’ipotesi di Taylor, Wegener e Joly secondo cui tutti i continenti sarebbero frammenti di un’originaria massa antartica, che si spezzò a causa della forza centrifuga e andò alla deriva su una più bassa superficie viscosa (ipotesi suggerita dal contorno complementare dell’Africa e del Sudamerica, e dalla conformazione delle grandi catene di montagne), trova una straordinaria conferma in questa fonte impensata.

Le mappe che rappresentavano il mondo del Carbonifero, oltre cento milioni di anni fa, mostravano una serie di fratture e spaccature che più tardi avrebbero separato l’Africa dal continente un tempo ininterrotto che comprendeva l’Europa (o Valusia, come è conosciuta in certe antiche e sinistre leggende), l’Asia, le Americhe e l’antartico. Altre raffigurazioni del mondo - più significativa delle quali una che risaliva al periodo in cui era stata fondata la città dove ci trovavamo mostravano gli attuali continenti ben differenziati. Nella mappa più recente, e che più o meno risaliva al Pliocene, era riconoscibile con una certa approssimazione il mondo attuale, nonostante i legami che ancora univano Alaska e Siberia, Nord America ed Europa (tramite la Groenlandia) e Sud America e antartico (attraverso la Terra di Graham). Nelle rappresentazioni del Carbonifero le grandi città di pietra degli Antichi erano simboleggiate in tutto il mondo, sia in fondo al mare che sulla terraferma; ma nelle mappe successive la graduale recessione verso l’antartico diventava evidente. La mappa più recente, quella del Pliocene, non segnalava città in superficie tranne che nel continente antartico e all’estremità meridionale del Sud America, e anche le metropoli sottomarine non si spingevano oltre il cinquantesimo parallelo di latitudine sud. Gli Antichi avevano perso ogni interesse per il mondo settentrionale, fatta eccezione per lo studio delle coste che avevano intrapreso, probabilmente, nel corso di lunghe esplorazioni rese possibili dalle loro ali membranose e simili a ventagli.

La distruzione delle città durante la formazione di nuove catene montuose, l’allontanamento dei continenti dovuto alla forza centrifuga, i grandi terremoti, maremoti e altri fenomeni naturali erano comunemente registrati negli annali degli Antichi, ed era curioso osservare come, col passare del tempo, un numero di insediamenti sempre minore sostituisse quelli precedenti.