E per essere meno grottesco aveva sostituito il titolo di hospodar (sottoprefetto), con quello di principe.
“Ecco, esclamava, un titolo che può esser trasmesso ereditaria-mente. Hospodar, indica una funzione amministrativa, ma è giusto che chi si e distinto nell’amministrazione abbia diritto a un titolo. Mi faccio nobile. In fin dei conti, sono un avo anch’io: i miei figli e i miei nipoti me ne saranno grati”.
Il principe Vibescu era molto legato al vice-console di Serbia, Bandí Fornoski che, si diceva in città, inculava volentieri l’affascinante Mony. Un giorno il principe si vesti’ correttamente e si diresse verso il vice-consolato di Serbia.
Per strada, tutti lo guardavano e le donne se lo bevevano con gli occhi pensando: “Che bel tono parigino!”
In effetti il principe Vibescu camminava come a Bucarest si pensa che camminino i parigini, cioè a passettini minuti e ancheggiando moltissimo. Straordinario! quando un uomo cammina in questo modo, a Bucarest non c’è una donna che gli resista, si trattasse pure della moglie del primo ministro!
Giunto dinnanzi alla porta del viceconsolato di Serbia, Mony pisciò a lungo contro la facciata, poi suonò.
Un albanese vestito con una fustanella bianca andò ad aprirgli.
Il principe sali’ rapidamente al primo piano. Il vice-console Bandí Fornoski se ne stava completamente nudo nel suo salotto.
Sdraiato su un morbido sofà, si poteva notargli una ottima erezione: vicino a lui c’era Mira una bruna montenegrina che gli titillava i testicoli. Era nuda anche lei, e un poco reclina: la posizione metteva in mostra un bel culo paffutello, bruno e vellutato, dalla pelle fine tesa da rompersi. Le natiche erano divi-se da una lunga fessura ben netta e bruno-pelosa e si scorgeva GLI AMORI DI IN OSPODAR
(parte 2)
anche il buco proibito, tondo come una pasticca. Al disotto, si allungavano le cosce, nervose e lunghe, e poiché la posizione co-stringeva Mira a tenerle aperte, si poteva vedere la vulva, piena e spessa, dal taglio preciso, ombreggiata da una criniera fitta e nerissima.
Quando Mony entrò non si scomodò affatto.
In un altro angolo, su un’ottomana, due belle ragazze dal gran culo, si manovravano a vicenda lanciando piccoli “Ah!AH!” di voluttà. Mony si liberò rapidamente dei vestiti e poi, il membro in aria ben eretto, si precipitò sulle due donne tentando di sepa-rarle. Ma le sue mani scivolavano sui loro corpi umidi e lisci che si torcevano come serpenti. Vedendo come schiumavano di voluttà, e furioso di non poterla condividere, Mony si mise a menar grandi schiaffi sul gran culo bianco che gli stava a portata. Ma questo sembrò eccitare notevolmente la sua proprietaria, cosicché lui si mise a picchiare con molta più forza, in modo che il dolore fosse superiore alla voluttà.
La bella ragazza di cui aveva fatto rosso il sedere che aveva bianco sino a poco prima, si alzò allora tutta arrabbiata e gli disse:
- Maiale, principe degli inculati, non rompere le scatole, non sappiamo che farcene del tuo bischero. Vai a dare il tuo biscotto a Mira, e lasciaci in pace. Non è vero, Zulmé?
- Si’, Toné, rispose l’altra ragazza.
Il principe brandi’ il suo gran coso gridando:
- Come, giovani troie, ancora e sempre a passarvi la mano nel didietro?
Poi, afferrando una di loro, tentò di baciarla sulla bocca.
i trattava di Toné, una bella bruna il cui corpo bianco aveva ai posti giusti dei bei nei che ne facevano risaltare il candore ancora di più; il volto era pallido, e un neo sulla guancia sinistra rendeva più affascinante l’aspetto della fanciulla. Il seno era ornato da due superbe tette dure come il marmo, cerchiate di blu e sormontate da fragole rosa-tenero, quella di destra abbel-lita anch’essa da un neo messo li’ come una mosca, una mosca assassina.
Mony Vibescu, afferrandola, aveva spinto le mani sotto il bel cu-lo, che faceva pensare a un melone cresciuto al sole di mezzanotte, tanto era bianco e pieno. Ognuna delle due natiche sembrava tagliata in un blocco di Carrara privo di imperfezioni, e le cosce che ne scendevano erano rotonde come colonne di un tempio greco.
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