Così travestito, don Juanne Perrez se n’andò nuovamente ad Oristano, spacciandosi per un medico arrivato da Alemagna, e che aveva studiato a Ratisbona.

E tanto disse e tanto fece, che lo accettarono per medico di Corte. Mariedda non lo riconobbe punto. Perciò, quando nacque il bellissimo bambino più sopra accennato, fu chiamato il falso medico; e il falso medico, che aspettava questa occasione per vendicarsi, nascose il bellissimo bambino, e lo sostituì destramente con un cagnolino nero, brutto e rognoso, che teneva pronto. E fece quest’azione vigliacca con tanta destrezza, che neppure Mariedda se ne accorse.

Don Juanne non uccise il bellissimo bambino, ma lo lasciò morir di fame; perciò ancor oggi, in molti punti della Sardegna, la fame vien chiamata Monsiù Juanne, in memoria di questo fatto.

Intanto nella Corte Reale si era immersi nel massimo dolore e spavento, perché mai si era vista una cosa simile; e Mariedda aveva la febbre dal dispiacere e dall’umiliazione. Pazienza fosse stata una popolana a diventar madre di un cagnolino nero, brutto e rognoso, Santo Iddio! la cosa sarebbe stata passabile, perché in quei tempi esistevano le streghe che si maritavano col diavolo, e da questi orribili matrimoni potevano nascere anche cagnolini e scorpioni: ma una Giudicessina, che aveva vestiti di broccato, i quali stavano ritti da sé tant’oro e argento portavano!…

Basta; la cosa fu scritta a don Mariano che, per la prima volta in vita sua, pianse di dolore. E forse egli avrebbe perdonato Mariedda; ma sparsasi nel campo spagnolo la notizia destò tale ilarità e tante beffe a danno del principe nemico, che egli salì su tutte le furie, e scrisse al suo Maggiordomo che tosto pigliasse la Giudicessina col suo mostriciattolo e la portasse lontano, lontano, in luogo donde non potesse far ritorno, poiché egli la ripudiava.

Il Maggiordomo obbedì; e una notte la povera Mariedda si vide trasportata lontano lontano, in una campagna deserta e silenziosa. Fra le braccia ella stringeva il cagnolino, al quale aveva posto un grande amore.

Lasciata sola in quella campagna deserta e silenziosa, in quell’ora tremenda di disperazione, ella ricordò finalmente il suo passato, ricordò Nostra Signora del Buon Consiglio, e cadde al suolo piangendo, chiedendo misericordia e perdono.

Allora, come nella stanza buia e remota della casa di don Juanne, ecco si fece una gran luce d’o-ro, e in essa apparve la Madonna col vestito bianco e il manto azzurro e il diadema simile a quello della Regina di Spagna.

«Mariedda, Mariedda», disse con voce soavissima, che consolò la povera afflitta, «tu ti sei di-menticata di me, e per ciò sventura t’incolse. Ma io non abbandono gli afflitti, e sono la madre dei dolorosi»

Con la fronte al suolo Mariedda piangeva e pregava.

«Mariedda», continuò la Madonna, «cammina, cammina. Troverai una casa che sarà tua, e dove nulla ti mancherà. Vivi là finché sia giunto il tuo giorno e non dimenticarti più di me.»

Ciò detto sparve. Sulle desolate campagne si sparse una luce di sole nascente, le siepi fiorirono, i ruscelli brillarono; un soave profumo di puleggio passò per l’aria, e una fila di merli dal becco giallo cantò su un muro vicino.

Quando sollevò la fronte dal suolo, Mariedda si trovò fra le braccia non più il cagnolino nero, ma un bellissimo bambino tutto color di rosa, le cui manine e i cui piedini sembravano fiori. Per un momento pensò di tornarsene in Corte con quel bellissimo bambino; ma le parole di Nostra Signora del Buon Consiglio le stavano fitte in mente: e tosto riprese a camminare attraverso la grande pianura improvvisamente fiorita.

Cammina, cammina e cammina, dopo lunghe ore si trovò davanti una bella casetta verde, nascosta in un boschetto d’aranci e rose. Dagli aranci pendevano grosse palle d’oro, e dalle rose salivano grandi fiori di corallo. Mariedda picchiò.

Una serva vestita in costume, con la sottana di scarlatto fiammante, il corsetto di broccato verde-oro e un gran velo bianco in testa, aprì e disse inchinandosi:

«Siete voi la padrona che s’aspettava?».

«Sì», rispose Mariedda sorridendo.

E da quel giorno, infatti, essa fu la padrona di quella casetta verde nascosta fra gli aranci e le ro-se.

Nessuno passava mai là vicino; il mondo era lontano, lontano, eppure nulla mancava mai nella casetta: c’era sempre il pane che sembrava d’oro; l’acqua che sembrava d’argento; il vino che sembrava sangue; l’uva che sembrava grappolo di perle; la carne che sembrava corallo; l’olio che sembrava ambra; il miele che sembrava topazio; il latte che sembrava neve. E infine tutte le cose. Mariedda era felice: pregava sempre, e aspettava il giorno promesso, nel quale sperava rivedere lo sposo diletto.