In quei giorni nefasti sentivasi soffiare un vento gagliardo che, pur venendo da levante recava dal Limbara ricoperto di neve il suo alito glaciale. E mentre gli abitanti di Aggius sentivano il corpo in-tirizzito, il diavolo soffiava sulle anime loro, suscitandovi pensieri di odio, di vendetta e di sangue!

Si diceva che gli aggesi fossero in origine d’indole serena e tranquilla; ma lo spirito infernale, vo-lendo dannare le loro anime, aveva preso stanza sulla reggia di granito, ch’era la cima del monte, e si compiaceva nelle notti insonni di tribolare quei poveretti.

Le vecchie tremavano di paura nel loro letto, e dicevano il rosario sotto le coltri, mentre il vento furioso urlava dalle fessure delle imposte. Era il figlio dell’inferno che, non potendo dormire, si divertiva a turbare il sonno dei figli della terra. E ogni tanto si affacciava alla rupe, e dopo aver an-nunziata la sua presenza con un rullo sordo e prolungato gridava per tre volte rivolto al villaggio:

Aggius meu, Aggius meu, e candu sarà la di chi ti n’aggiu a pultà in buleu? “2.

La minaccia infernale era il pronostico della distruzione del paese; e il rullo prolungato che la precedeva significava che un uomo era designato a morire di morte violenta. Così almeno diceva la tradizione.

Figurarsi lo sgomento della popolazione! Si ricorse al parroco, si chiamarono a consulta i ragio-nanti del paese, ma sempre invano! Il diavolo non si dava per inteso e continuava a tormentarli.

Verso la metà del secolo XVIII ad uno zelante missionario, capitato ad Aggius, venne l’ispira-zione di piantare una croce di ferro sul monte (che perciò venne chiamato poi il Monti di la cruzi) 2 «Aggius mio, Aggius mio, e quando verrà il giorno che ti porterò via in un turbine?»

per far fuggire il diavolo. E in quella notte spirò un vento così gagliardo che sradicò molte querce secolari, e fece precipitare dai monti più di un masso di granito. Tutte le case tremarono dalle fon-damenta, ma la croce stette salda sulla punta del monte.

Udendo quel baccano infernale i popolani corsero al Rettore, che li rimandò a casa tranquilli dicendo loro: “Non temete, è il diavolo che prepara le valigie per tornarsene all’inferno. Non verrà più a tormentarci!”. Pare però che il diavolo non volesse rinunziare alle anime di cui aveva giurato la perdizione. Aveva bensì abbandonato il monte della Croce, ma forse per ricoverarsi sul monte Frai-le o sul monte Pinna, donde, come per lo passato, continuò a soffiare il livore sulle anime dei buoni aggesi, i quali, alla lor volta, continuarono a dilaniarsi l’un l’altro, spargendo il terrore nella Gallura.

La croce del missionario è sopra un masso gigantesco, quasi isolato, che misura da venti a trenta metri di altezza, e che forma il cucuzzolo del monte, bersagliato dai fulmini e dai venti. In origine quella croce era di ferro, e vi durò oltre mezzo secolo, finché un giorno, schiantata dalla folgore, fu sostituita con un’altra di legno, che viene rinnovata ogni due o tre anni».

La Conca della Madonna è una specie di nicchia naturale scavata nel sasso. Dicesi che la Madonna vi abitasse qualche volta per tener lontano lo spirito delle tenebre.

Il gran tamburo ( su tamburu mannu) è una gran lastra di granito a base convessa la quale posa sopra un blocco spianato. Basta salire sull’orlo e far forza col corpo, perché la pietra oscilli, dondoli, e produca un rullìo cupo, sordo, continuo, come il mugolìo di un tuono in lontananza. Il gran tamburo di Aggius ha molta analogia colla famosa pietra ballerina di Nuoro; la differenza è una sola: quest’ultima, da parecchi anni, non balla più, - quello invece continua a suonare - perché i curiosi che la tentano sono pochissimi. A memoria dei più vecchi questo tamburo è sempre esistito; e gli si annettono ancora non so quali malefici influssi. Dicono, per esempio, che allorquando si ode il suo rullo è indizio certo che una persona è morta, o deve morire di morte violenta!

La leggenda di Castel Doria

Interessanti sono le leggende intorno a Castel Doria; e specialmente quella dell’ultimo principe.

Pare che questo misterioso maniero sia stato edificato dai Doria verso il 1102, quando cioè i Genovesi fortificarono tutti i loro possedimenti al nord dell’isola, e specialmente l’attuale Castel Sardo.

Esiste tutt’ora un’alta torre a cinque angoli, di pietre rettangolari saldate l’un l’altra a cemento. Edificato su alte rocce poco distanti dalla riva del Coghinas, il castello godeva di un grande panorama, e verde ai suoi piedi si stendeva la pianura. La leggenda dice che un condotto sotterraneo conduceva dal castello alla chiesa di San Giovanni di Viddacuia, sita all’altra riva del Coghinas, e che questo sotterraneo i Doria lo avessero scavato semplicemente per recarsi alla messa nei giorni di festa.

Un marciapiede conduce dalla torre alla Conca di la muneta, dove, si dice, i Doria battevano denaro. Questa Conca, a quanto ne ho potuto capire, pare sia una grande cisterna di una immensa pro-fondità: nel fondo esisteva una campana d’oro, e i passanti gettavano una pietra, per farla suonare, talché ora la cisterna è piena in fondo di pietre, e quindi la campana è invisibile e non suona più.