Viandante, va!». E siccome lui insisteva lo consigliò di ricovrarsi nella chiesa vicina, ma egli replicò che la chiesa cadeva in rovina e dentro ci nevicava come fuori.

«Fatene una voi, allora!», esclamò la voce.

«Io farolla se voi m’ispirerete il disegno!»

«Te lo darò, va!» E la voce non parlò più.

Il giovine se ne andò, e dopo molti mesi vide nella finestra sparso un magnifico arazzo con una chiesa pisana ricamatavi. Era meraviglioso: vi si scorgeva tutto l’interno, coi più minuti particolari, e l’artista capì subito e si scolpì in testa quel disegno. Ma abbisognavano molti denari per costrurre un simile tempio e il paese era poverissimo. Come fare? Il giovine, innamorato perdutamente della misteriosa abitatrice di Sorres che gli aveva proposto la costruzione della chiesa, deciso di adempie-re la sua promessa pur di giungere a conoscerla, dipinse una Madonna in campo d’oro, con un mandorlo fiorito in mano, e regalò la squisita sua dipintura alla vecchia chiesa cadente. Tutti ammiraro-no il quadro, e una mattina videro che la Madonna invece del mandorlo teneva in mano, una chiesa.

Era simile a quella dell’arazzo, ed era stato il giovine che, introdottosi furtivamente nella notte in chiesa, l’aveva dipinta, cancellandovi il mandorlo. Si gridò al miracolo, e si disse subito che la Madonna voleva una chiesa così! Allora un fraticello prese il dipinto miracoloso e corse per i castelli ed i contadi e le ville raccogliendo denari e offerte per la costruzione della chiesa. E quando ebbe riempito d’oro molti forzieri propose al giovine mastro di Sorres di edificare il tempio. Egli accettò: molti operai vennero chiamati all’opera e in breve - non ostante i mali spiriti che ogni notte distrug-gevano il fabbricato -, la chiesa sorse, bella e ricca come nel disegno dell’arazzo!

Nella notte precedente il dì della consacrazione, mentre tutto il villaggio, animato dalle genti dei villaggi vicini, festeggiava il grande avvenimento, il giovine mastro si recò alla casetta misteriosa e batté alla porta.

«Chi sei tu?», chiese la dolce voce incantatrice.

«Son venuto a prendere un fiore dalle tue mani e porlo alla Madonna, sospirò il giovine, apri-mi!…»

«Bene sta, vengo.» La porta si aperse per incanto ed il giovine si trovò dinanzi alla misteriosa, che pareva vestita d’argento, con una stola nera sulla veste, sparsi i biondi capelli sulle spalle e pal-lidissimo il viso che spiccava nettamente innanzi ai ricami delle pareti, i quali sempre s’andavano cangiando, in intrecci di rabeschi e figure perfettamente intessute e disegnate. Nel mezzo di dette stoffe, immutabile campeggiava la chiesa di San Pietro di Sorres. In un canto stava il telajo, e d’oro tutti parevano i fili. La bella accennò con gli occhi sereni, senza mutamento, tutta composta nella soavità dell’atto come le figure che si vedono nei mosaici bizantini. Aveva al piedi ramoscelli d’oli-vo e nelle mani rami di alloro con le bacche d’oro.

La bella lasciò andare una foglia di lauro, ed egli si chinò per raccoglierla, e come vide che la donna accennava d’avvicinarglisi, bella così come i sogni dell’ideale, il giovine si avvicinò ed un bacio pose su quelle labbra divine. Ma non appena ebbela baciata, che tutto si sentì un gelo come di sfinimento per le membra, e cadutole ai piedi, dolcemente guardandola morì!

La scomunica di Ollolai

Radicatissima è ancora nel popolino sardo la credenza che la scomunica del papa o magari di un semplice sacerdote, apporti davvero maledizione su chi è lanciata e sulle sue generazioni.

A tal proposito ho trovato fra le altre questa leggenda. In un villaggio del circondario di Nuoro c’era un ricco monastero i cui frati spadroneggiavano non solo sulle loro proprietà e sui loro sotto-posti, ma in tutte le terre e gli abitanti vicini. Perciò erano sommamente malvisti, e già, segretamen-te, gli abitanti del villaggio avevano inviato molte suppliche al Santo Padre perché mettesse un fre-no alle angherie loro. Ma a Roma si pensava ad altro che al piccolo villaggio sardo: allora un gruppo di giovini un po’ scapestrati e senza pregiudizi decise di far qualche tiro ai monaci, che li scredi-tasse presso il papa e segnasse la loro rovina. L’occasione li favorì stranamente. Un giorno di festa, in cui nella chiesa del monastero si facevano solenni funzioni, morì improvvisamente un bambino, forse figlio d’uno dei congiuranti contro i monaci. Senza che nel villaggio se ne spargesse la notizia quei giovanotti presero il cadaverino e lo gettarono, di notte, in un pozzo del chiostro.

L’indomani tutto il villaggio commentava la scomparsa del fanciullo, che il giorno prima era stato veduto aggirarsi, sano e lieto, con gli altri bambini della sua età, per le navate della chiesa dei monaci. E cerca e cerca e cerca fu finalmente ritrovato il cadavere nel pozzo! Figurarsi l’indigna-zione e il furore del popolo! Perché subito si disse che il bimbo era stato trucidato dai frati, chissà perché.