A stento se la scamparono, ma giunta la notizia dell’immane delitto alla corte del Giudice di Logudoro questi, d’accordo col papa, mandò un bando, che il monastero venisse distrutto e i monaci cacciati in esilio.
Invano i poveretti cercarono giustificarsi; né a Roma né in Ardara, sede allora dei Giudici, fu concesso loro né ascolto né pietà. Il convento venne diroccato e i monaci, già sì forti ed opulenti partirono raminghi. Ma prima di andarsene essi scagliarono le loro più formidabili scomuniche su gli abitanti del villaggio e sui loro discendenti. Infatti, d’allora in poi, la maledizione gravò su questo villaggio: le pestilenze, le carestie, le disgrazie più inaudite piombarono in ogni tempo su di es-so, e, ciò non bastando, gli abitanti, rôsi dagli odi e dalle inimicizie più funeste, si dilaniarono tra loro, massacrandosi e sperdendosi a vicenda.
Madama Galdona
Pare ci fosse a Sassari una ricca dama, molto pia e devota, chiamata madama Galdona, la quale, venuta a morire, testò un suo possedimento ai frati di non ricordo più qual ordine. Spossessati questi dei loro beni dal Governo, si dice, sparsero la scomunica sul podere. E infatti tutti coloro che l’ac-quistarono, uno dopo l’altro, subirono molte disgrazie. E la dama (prima possessora) ovvero il suo spirito, vaga di tanto in tanto fra gli alberi del podere borbottando maledizioni e scongiuri contro gli spogliatori dei suoi benamati e prediletti eredi.
Queste le leggende sarde serie e tradizionali. Come ho già detto, in Sardegna le leggende sono infinite, tutte improntate dalle fantasticherie meridionali dei popoli che in ogni tempo vennero a mescolarsi col nostro. A raccoglierle tutte se ne formerebbero dei grossi volumi, ed io qui ne ho e-sposto solo qualche esemplare, scelto fra le più corte, le più gentili e le meno intrecciate.
Prologo6
Oggi io voglio narrare due graziosissime leggende nostrane alle spirituali lettrici di Vita Sarda.
Ora le leggende sono di moda, e nella rinascente fioritura degli studi popolari, verso cui tutti, pensa-tori, scrittori, poeti, volgono lo sguardo, quasi ad un fresco lido ove approdare, dopo tante oscure tempeste letterarie, la leggenda ha il primo posto, senza parerlo. La leggenda è aristocratica, è arti-stica, è volgare e popolare nello stesso tempo; desta lo stesso interessamento nello spirito fine della signora colta e nella fantasia rozzamente poetica della popolana; nell’animo sognatore dell’artista e nella percezione spregiudicata e indagatrice dello scienziato. La leggenda richiama l’attenzione del poeta e dello storico, che la sfronda per trovare nel suo fusto le tracce delle generazioni sepolte, l’indole delle generazioni viventi e il germe di quella delle generazioni future.
Può destare lo stesso fremito nei circoli gai dei salotti eleganti, e negli intenti animi dei pastori riuniti intorno al triste focolare - nei fanciulli e nei grandi -, e può, infine, fornire i materiali per un volume serio, dotto, scientifico, e per un volume di amena lettura, spumoso, elegantemente inutile.
Ho studiato altrove, benché rapidamente, il carattere della leggenda sarda, che, all’infuori dei ci-cli di leggende sarcastiche, vòlte a porre in satira un dato personaggio o un dato villaggio, ha il profilo serio e melanconico delle tradizioni meridionali.
Dirò qui alla sfuggita che la Sardegna, terra per sé stessa leggendaria e misteriosa, è piena di leggende. Ogni chiesa campestre, ogni rovina di castello o di chiostro, ogni villaggio, ogni cussorgia (tratto di regione che ha un dato nome), ogni grotta, ogni dirupo, ogni montagna, ogni landa ha la sua leggenda. Talune leggende si incrociano e si confondono con le fiabe, - ed una di queste è la prima delle due che oggi ho il piacere di narrarvi, - al verosimile mescolando il fantastico, con lon-tane reminiscenze delle leggende nordiche, delle saghe, delle fiabe fiamminghe o alemanne, - ma la miglior parte ha una esplicazione tutta locale, che ne delinea nitidamente il carattere.
Sono personaggi storici che si mescolano coi diavoli, con le fate, con le streghe e le janas; sono i giganti, da cui il popolo sardo crede fossero abitati i nuraghes, sono i Saraceni, i Pisani, i Genovesi, gli Spagnoli, i Giudici, i Vescovi che in ogni tempo, - dopo la dominazione romana, di cui soltanto i Sardi, pur restando tanto profondamente latini, negli usi e nella favella, non si ricordano quasi, - fecero del bene e del male all’isola. Sono i Doria e i Malaspina, sono i giudici di Torres, i vicerè ara-gonesi, i frati, le maliarde fiorite nel medio-evo, sono le scorrerie e le avventure dei pirati saraceni, negli ultimi secoli prima del mille, sono artisti ignoti, forse del trecento e del quattrocento, non ri-cordati neppure dalle scarse cronache sarde, e dame misteriose e santi e guerrieri, e talvolta lo stesso Gesù o la stessa Maria.
Molte poi delle leggende sarde hanno un vero valore storico, specialmente quelle di talune chiese e di qualche montagna. Senza ombra di fantasticheria, senza fronde, senza personaggi sovrannatura-li, formerebbero, se ben raccolte e ben studiate, degli elementi, dirò anzi dei documenti vivi, utili per la storia sarda.
6 Questo prologo e le leggende “I tre fratelli” e “Monte Bardia” sono state pubblicate in Vita Sarda, III, 10 dicembre 1893.
I tre fratelli7
Nella catena di monti che circondano Nurri, e precisamente nel monte chiamato Pala Perdixi o Corongius, c’è una grotta naturale, assai ampia e interessante, dove i contadini e i pastori si rifugia-no per riposarsi, e talvolta per passarvi la notte. Una volta tre fratelli, tre buoni abitanti del villaggio, stanchi di aver raccolto olive tutta la giornata entrarono, verso sera, per riposarsi in questa grotta. Mentre stavano ragionando tranquillamente fra loro di cose di campagna, e cenando con del pane e del magro companatico, videro entrare tre donne, che si fermarono dubbiose sull’ingresso, guar-dandoli con diffidenza. Ma subito essi, da buoni giovani che erano, le invitarono gentilmente ad avanzarsi ed a prender parte alla loro cena.
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