Se lo credi davvero, allora la pensiamo allo stesso modo.

Non sostengo naturalmente di essere divenuto quello che sono soltanto per la tua influenza. Sarebbe molto esagerato (e io sono addirittura incline a questa esagerazione). È possibilissimo che, anche se fossi cresciuto lontanissimo dalla tua influenza, non sarei egualmente divenuto quello che tu definisci un uomo.

Probabilmente sarei stato egualmente deboluccio, pauroso, titubante, inquieto, né Robert Kafka né Karl Hermann, ma comunque diversissimo da quello che sono davvero, e ci saremmo intesi alla perfezione.

Sarei stato felice di averti come amico, come principale, come zio, come nonno e persino (pur con qualche titubanza) come suocero. Solo come padre eri troppo forte per me, soprattutto in considerazione del fatto che i miei fratelli sono morti in tenera età e le sorelle sono giunte solo molto tempo dopo, e quindi io ho dovuto parare il primo colpo tutto da solo, ed ero davvero troppo debole per farlo.

Mettici a confronto: io, per esprimermi in modo assai sommario, un Lowy con un certo fondo kafkiano che però non è mosso dalla volontà kafkiana di vita, di affari e di scoperta, ma da un pungolo lowiano, che agisce in modo più segreto e ritroso, in un’altra direzione, e spesso viene completamente a mancare. Tu invece sei un vero Kafka, per forza, salute, appetito, intensità vocale, capacità oratorie, autocompiacimento, senso di superiorità, resistenza, presenza di spirito, conoscenza degli uomini, una certa generosità e naturalmente anche con tutti i difetti e le debolezze, attinenti a questi pregi, in cui talvolta ti cacciano il tuo temperamento e talvolta la tua iracondia.

Forse non sei interamente un Kafka per quel che riguarda la tua concezione generale del mondo, per quanto ti posso paragonare con gli zii Philipp, Ludwig e Heinrich. È singolare, non ci vedo troppo chiaro. Erano tutti più allegri, freschi, spontanei, spensierati, meno rigorosi di te. (In questo senso, fra l’altro, io ho preso molto da te, e questa eredità l’ho amministrata anche troppo bene, senza però che nel mio essere ci siano i necessari contrappesi, come ci sono nel tuo.) D’altra parte però tu, da questo punto di vista, hai attraversato periodi differenti, e forse eri più allegro prima che i tuoi figli, e io in particolare, ti deludessero e ti avvelenassero l’atmosfera familiare (quando venivano estranei eri diverso); e anche adesso sei forse tornato un po’ più allegro, da quando nipoti e genero ti ridanno qualcosa di quel calore che i figli, tranne forse Valli, non sono riusciti a darti. Ad ogni modo eravamo così diversi e, in questa diversità, così pericolosi l’uno per l’altro, che se si fosse cercato di prevedere come il bambino che lentamente cresceva e tu, l’uomo maturo, si sarebbero comportati l’uno nei confronti dell’altro, si sarebbe potuto supporre che tu mi avresti semplicemente calpestato, senza che di me rimanesse niente. E invece non è accaduto, la vita non si può prevedere, ma forse quel che è accaduto è anche peggio. Al contempo ti prego però di non dimenticare mai che non credo neppure lontanissimamente a una colpa da parte tua. Tu hai agito verso di me come dovevi agire, solo che devi smettere di credere che il mio soccombere a questo tuo agire sia dovuto a una particolare cattiveria da parte mia.

Ero un bimbo pauroso, ma ero anche testardo, come lo sono i bimbi; sicuramente la mamma mi ha anche un po’ viziato, ma non posso credere che fosse così difficile indirizzarmi, non posso credere che una parola gentile, un tacito prendermi per mano, uno sguardo buono non avrebbero potuto ottenere da me tutto quel che si voleva. Ora anche tu in fondo sei un uomo tenero e bonario (quel che segue non è una contraddizione, perché io parlo soltanto dell’aspetto che ebbe a influenzare il bambino), ma non tutti i bimbi hanno la resistenza e l’intrepidezza necessarie per continuare a cercare finché non giungono alla bontà.

Tu sai trattare un bambino solo come tu stesso sei fatto, con forza, strepito e iracondia; e nel caso specifico la cosa ti sembrava inoltre ancora più adatta, perché volevi fare di me un ragazzo forte e coraggioso.

Naturalmente non sono in grado di descrivere in modo diretto i tuoi metodi educativi nei primissimi anni, ma posso immaginarli con un procedimento deduttivo dagli anni successivi, e dal tuo comportamento nei confronti di Felix [Nipote di Kafka, figlio della sorella Elli]. Occorre considerare, a inasprire le cose, che allora eri più giovane, e quindi più fresco, più selvaggio, più istintivo, con minori preoccupazioni di oggi, e che inoltre eri completamente legato dal negozio, durante il giorno non ti vedevo mai e quindi facevi su di me un’impressione ancora più profonda, che non si appiattiva mai nell’abitudine.

Direttamente di quei primi anni ricordo soltanto un episodio. Forse lo ricordi anche tu. Una volta, di notte, frignavo perché volevo un po’ d’acqua, certo non per sete, ma probabilmente in parte per farvi arrabbiare, in parte per divertirmi. Dopo che alcune severe minacce non erano servite a niente, mi prendesti dal letto, mi portasti sul ballatoio e mi ci lasciasti per un po’, in camicia da notte, davanti alla porta chiusa.

Non voglio dire che sia stato ingiusto, forse davvero non c’era modo di ripristinare altrimenti la quiete notturna, voglio soltanto caratterizzare i tuoi metodi educativi e il loro effetto su di me. In seguito fui certo più arrendevole, ma ne riportai un danno interiore.

Data la mia natura, non riuscii mai a stabilire il giusto nesso tra l’elemento per me ovvio del mio insensato chiedere l’acqua e quello eccezionalmente spaventoso dell’essere portato fuori. Per molti anni ancora patii pene strazianti all’idea che quel gigante, mio padre, l’istanza ultima, poteva venire quasi senza motivo e, di notte, portarmi dal letto sul ballatoio, e che quindi io per lui ero una tale nullità.