Lo strano caso del Dottor Jekyll e del Signor Hyde

Robert Louis Stevenson

Lo strano caso del Dottor Jekyll e del Signor Hyde

Strange Case of Dr. Jekyll and Mr. Hyde — 1886

I

STORIA DELLA PORTA

L’avvocato Utterson era un uomo dall’aspetto rude, non s’illuminava mai di un sorriso; freddo, misurato e imbarazzato nel parlare, riservato nell’esprimere i propri sentimenti; era un uomo magro, lungo, polveroso e triste, eppure in un certo senso amabile. Nelle riunioni di amici, quando il vino era di suo gusto, gli traspariva negli occhi qualcosa di veramente umano; qualcosa che non trovava mai modo di risultare nelle sue parole, e che si manifestava, oltre che in quella silenziosa espressione della faccia dopo una cena, più spesso ancora e più vivamente nelle azioni della sua vita. L’avvocato era severo nei riguardi di se stesso; quando si trovava solo, beveva gin, per mortificare l’inclinazione verso i buoni vini; e, sebbene il teatro lo attirasse, non aveva mai varcato la soglia di un teatro in vent’anni. Nei riguardi del prossimo era tuttavia di una grande indulgenza; talvolta si meravigliava, quasi con invidia, della forza con la quale certi animi potevano venire spinti alla malvagità; e, in ogni occasione, era disposto più ad aiutare che a disapprovare. «Io tendo all’eresia di Caino,» soleva dire argutamente, «lascio che mio fratello se ne vada al diavolo come meglio gli piace1.» Avendo un simile carattere, gli accadeva spesso di essere l’ultimo conoscente stimato, e di esercitare l’ultima buona influenza nella vita di uomini perduti. Costoro, sinché frequentavano la sua casa, venivano trattati senza il minimo mutamento di modi.

Indubbiamente questo contegno riusciva facile al signor Utterson, poiché egli era riservato al massimo grado, e anche le sue amicizie parevano fondate su una simile dottrina di bontà. È proprio dell’uomo modesto accettare il cerchio delle amicizie, così come sono, dalle mani della sorte; questo era il caso dell’avvocato. I suoi amici erano persone del suo stesso sangue, oppure gente che conosceva da lungo tempo; i suoi affetti, come l’edera, si sviluppavano con il tempo, e non implicavano particolari qualità nel loro oggetto. Di tal genere senza dubbio doveva essere il legame che lo univa al signor Richard Enfield, suo lontano parente, uomo molto conosciuto in città. Per molti restava un mistero cosa quei due potessero trovare uno nell’altro, e quali argomenti di conversazione potessero avere in comune. Coloro che li incontravano nelle loro passeggiate domenicali riferivano che non parlavano, e parevano singolarmente tediati, e salutavano con evidente sollievo l’apparire di un comune conoscente. E tuttavia, i due uomini tenevano in gran conto quelle passeggiate, considerandole il maggiore svago della loro settimana, e non solo scartavano ogni altra occasione di divertimento, ma resistevano persino al richiamo degli affari, per goderne senza interruzione.

In uno di quei vagabondaggi accadde che passassero per una strada secondaria di un quartiere affollato di Londra. La via era piccola e quel che si dice tranquilla, ma nei giorni feriali era piena di gente affaccendata. I suoi abitanti erano tutti gente agiata, a quanto pareva, e tutti speravano con emulazione di poter stare sempre meglio, e spendevano il sovrappiù dei loro guadagni in cose futili; perciò le vetrine dei negozi si allineavano lungo la via con aria invitante, come una fila di sorridenti venditrici. Anche la domenica, quando la strada velava la maggior parte dei suoi fascini, ed era relativamente vuota e quieta, splendeva pur sempre come un fuoco in mezzo alla foresta, a paragone con gli squallidi dintorni; e, con le sue persiane dipinte di fresco, gli ottoni ben lucidati, la sua pulizia generale e la sua vivacità di colori, colpiva subito e ammaliava l’occhio del passante.

A due porte dall’angolo, sul lato sinistro della strada procedendo verso est, la linea era spezzata dall’ingresso di un cortile, e, proprio in quel punto, sporgeva sulla via un sinistro fabbricato. Era alto due piani; non presentava finestre, solo una porta al piano inferiore, e una facciata cieca con il muro scolorito al piano superiore; recava in tutto i segni di una prolungata e sordida negligenza. La porta, senza campanello né battaglio, era sudicia e screpolata. I vagabondi sonnecchiavano nel vano, e accendevano i fiammiferi sui battenti; i bimbi giocavano sui gradini, e gli scolari avevano provato il loro temperino sul legno; e per quasi una generazione nessuno era mai apparso a cacciar via gli inopportuni visitatori né a riparare le loro malefatte.

Il signor Enfield e l’avvocato passavano sull’altro lato della strada; ma, quando arrivarono davanti a quell’ingresso, il primo alzò il bastone e lo indicò:

«Avete mai notato quella porta?» chiese; il compagno rispose affermativamente, e allora lui aggiunse: «nella mia mente è connessa a una storia molto strana.»

«Davvero?» disse il signor Utterson, con un leggero mutamento di voce «di che storia si tratta?»

«Ebbene, è così,» rispose il signor Enfield: «io stavo tornando a casa da qualche posto in capo al mondo, circa alle tre di una scura mattina d’inverno, e i miei passi mi portavano attraverso una parte della città dove non c’era letteralmente nulla da vedere se non lampioni. Una strada dopo l’altra — e tutta la gente addormentata — una strada dopo l’altra — e tutte illuminate come per una processione e tutte vuote come chiese — sinché alla fine mi trovai in quello stato d’animo nel quale uno si mette in ascolto, e comincia a desiderare di scorgere una guardia. A un tratto, vidi due figure: una era un uomo piccolo, che camminava in fretta verso est, e l’altra una bimba di circa otto o dieci anni che correva il più velocemente possibile per una via traversa. Ebbene, signore, quei due come era naturale si scontrarono all’angolo; allora accadde la cosa orribile: infatti l’uomo calpestò tranquillamente il corpo della bimba e la abbandonò che gridava, lì per terra. A sentir dire questo sembra nulla, ma era terribile a vedersi. Quello non somigliava a un uomo; era come una creatura infernale. Detti in un grido, mi misi a correre, e afferrai per il colletto il mio uomo, e lo riportai là, dove già s’era formato un gruppo di gente intorno alla bimba in lacrime. Si mostrava perfettamente calmo e non opponeva resistenza, ma mi lanciò un’occhiata, un’occhiata così atroce che mi bagnò di sudore quasi avessi corso a lungo. Coloro che erano comparsi appartenevano alla famiglia della bimba; e il dottore che avevano mandato a chiamare giunse subito sul posto. Ebbene, la bimba non aveva nulla di particolare, era solo spaventata, secondo il sega-ossi; e qui potreste credere che tutto finisse. Ma c’era una curiosa circostanza.