Sì, si trattava di scomparsa; anche qui, come nel folle testamento che da molto tempo aveva restituito al suo autore, anche qui l’idea della scomparsa era unita al nome del dottor Henry Jekyll. Ma nel testamento, quell’idea era nata dalla sinistra suggestione di Hyde; ed era lì con uno scopo sin troppo chiaro e orribile. Ma, scritta dal pugno di Lanyon, quella parola cosa poteva significare? L’avvocato provò un’enorme curiosità di trascurare la proibizione ed arrivare subito in fondo al mistero; ma l’onore professionale e la promessa fatta all’amico morto erano obblighi troppo vincolanti: e la busta restò a dormire nell’angolo più riposto della cassaforte.
Ma una cosa è mortificare la curiosità, e un’altra è vincerla; e si può proprio dubitare che, da quel giorno in poi, Utterson desiderasse la compagnia dell’amico superstite con lo stesso ardore. Pensava a Jekyll con bontà; ma i suoi pensieri erano inquieti e timorosi. Andò sì a trovarlo, ma provava un senso di sollievo quando non veniva ricevuto; forse dentro di sé preferiva parlare con Poole sulla soglia, circondato dall’aria e dai rumori della città, piuttosto che essere accolto in quella casa di volontaria reclusione, e sedersi a parlare con quell’imperscrutabile prigioniero. Poole non aveva, in realtà, piacevoli novità da raccontare. Il dottore, apparentemente, ora più che mai restava confinato nel suo gabinetto sopra il laboratorio, dove talvolta dormiva persino; era depresso, era diventato silenzioso, e non leggeva; pareva che avesse qualcosa nell’animo. Utterson si abituò tanto all’invariabile carattere di questi rapporti, che a poco a poco diradò la frequenza delle visite.
VII
L’EPISODIO DELLA FINESTRA
Una domenica, il signor Utterson era fuori per la solita passeggiata con il signor Enfield, e accadde loro di passare ancora una volta per la strada dei negozi; e, quando si trovarono di fronte alla famosa porta, tutt’e due si fermarono a guardarla.
«Ebbene,» disse Enfield «quella storia è finita, se Dio vuole. Non vedremo più il signor Hyde.»
«Spero di no» disse Utterson. «Non vi ho mai detto di averlo visto una volta, e di aver provato come voi un senso di repulsione?»
«Una cosa implica l’altra» rispose Enfield. «A proposito, che asino mi dovete aver giudicato, per non aver saputo che questa era un’entrata posteriore della casa del dottor Jekyll! In parte è stata colpa vostra, se l’ho scoperto.»
«Così, lo avete scoperto, eh?» disse Utterson. «Ma, se è così, possiamo inoltrarci nel cortile, e dare un’occhiata alle finestre. A dirvi la verità, mi preoccupa quel povero Jekyll; e, anche dall’esterno, mi sembra che la presenza di un amico possa fargli bene.»
Il cortile era molto freddo e un poco umido, pieno di prematura oscurità, sebbene il cielo, fuori, fosse ancora chiaro della luce del tramonto. La finestra centrale, delle tre, era aperta per metà; seduto proprio, davanti a essa, respirando l’aria con infinita tristezza, come un prigioniero sconsolato, Utterson vide il dottor Jekyll.
«Ehi! Jekyll!» gridò «spero che stiate meglio.»
«Sono molto giù, Utterson» rispose il dottore in tono lugubre «molto giù. Ma non durerà molto, grazie a Dio!»
«Restate troppo in casa!» disse l’avvocato - «dovreste uscire, per attivare la circolazione, come faccio io con il signor Enfield. Questo è mio cugino, il signor Enfield, il dottor Jekyll. Venite, ora. Prendete il cappello e venite a fare una breve passeggiata con noi.»
«Siete molto buono,» sospirò l’altro «e mi piacerebbe assai; ma no, no, no, è proprio impossibile; non oso. Ma, veramente, Utterson, sono molto contento di vedervi; è proprio un grande piacere per me; vorrei invitare voi e il signor Enfield a salire, ma il posto non è proprio adatto.»
«Ebbene, allora» disse l’avvocato, di buon animo «la cosa migliore che possiamo fare è restare quaggiù e parlare con voi da dove ci troviamo.»
«È quello che volevo arrischiarmi a proporvi» rispose il dottore con un sorriso. Ma aveva appena pronunciato queste parole che il sorriso scomparve a un tratto dalla sua faccia e fu seguito da un’espressione di così abietto terrore e di così abietta disperazione che agghiacciò il sangue dei due amici che si trovavano lì sotto. Essi lo videro solo in un lampo, perché la finestra venne istantaneamente chiusa; ma quel lampo era stato sufficiente, e essi si voltarono, e uscirono dal cortile senza una parola. Pure in silenzio attraversarono la strada; e, solo quando si trovarono in una via vicina, dove persino di domenica si svolgeva un certo traffico, il signor Utterson finalmente si provò a guardare il suo compagno. Erano tutt’e due pallidi; e nel loro sguardo era un identico orrore.
«Dio ci perdoni, Dio ci perdoni» disse il signor Utterson.
Ma il signor Enfield si limitò a scuotere il capo con molta serietà, e continuò a camminare in silenzio.
VIII
L’ULTIMA NOTTE
Il signor Utterson era seduto accanto al camino, una sera dopo cena, quando fu sorpreso di ricevere la visita di Poole.
«Santo cielo, Poole, cosa vi porta qui?» esclamò; poi, guardandolo di nuovo. «Cosa c’è?» chiese. «Il dottore sta male?»
«Signor Utterson,» disse l’uomo «c’è qualcosa che non va.»
«Prendete una sedia, e qui c’è un bicchiere di vino per voi» disse l’avvocato. «E, ora, calmatevi, e ditemi chiaro quello che volete.»
«Voi conoscete i modi del dottore, signore,» rispose Poole «e come se ne stia chiuso in casa. Ebbene, ora è di nuovo chiuso nel suo gabinetto; e la cosa non mi va, vorrei poter morire se mi va. Signor Utterson, io ho paura.»
«Brav’uomo,» disse l’avvocato «siate esplicito. Di cosa avete paura?»
«Ho avuto paura per una settimana,» rispose Poole, trascurando completamente la domanda «e non posso più resistere.»
L’aspetto dell’uomo confermava ampiamente le parole; le sue maniere erano penosamente mutate; e, tranne nel momento in cui aveva per la prima volta rivelato il suo terrore, non aveva ancora guardato in faccia l’avvocato. Anche ora, sedeva con il bicchiere di vino intatto posato sul ginocchio, e con gli occhi fissi in un angolo del pavimento.
«Non resisto più» ripeté.
«Su, su,» disse l’avvocato «capisco che dovete avere una buona ragione, Poole; capisco che ci deve essere qualcosa di serio.
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