Malombra
Antonio Fogazzaro
Malombra
Edizione e-book a cura di
www.romanzieri.com
per www.liberliber.it
30 luglio 2001
LIBER LIBER
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IN QUESTO ARCHIVIO:
TITOLO: Malombra
AUTORE: Antonio Fogazzaro
TRADUZIONE E NOTE:
NOTE:
DIRITTI D'AUTORE: no
TRATTO DA: Malombra
Biblioteca Economica Newton, 102
Newton & Compton Editori, Roma, 1997
CODICE ISBN: 88-8183-575-4
1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 4 gennaio 1999
INDICE DI AFFIDABILITA': 1
0: il file è in attesa di revisione
1: prima edizione
2: affidabilità media (edizione normale)
3: affidabilità ottima (edizione critica)
ALLA EDIZIONE ELETTRONICA HANNO CONTRIBUITO:
Massimo Celani, [email protected]
REVISIONE:
Stefano D'Urso, [email protected]
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ANTONIO FOGAZZARO
MALOMBRA
PARTE PRIMA
Cecilia
1. In paese sconosciuto
Uno dopo l'altro, gli sportelli dei vagoni sono chiusi con impeto; forse, pensa un viaggiatore fantastico, dal ferreo destino che, ormai senza rimedio, porterà via lui e i suoi compagni nelle tenebre. La locomotiva fischia, colpi violenti scoppiano di vagone in vagone sino all'ultimo: il convoglio va lentamente sotto l'ampia tettoia, esce dalla luce dei fanali nell'ombra della notte, dai confusi rumori della grande città nel silenzio delle campagne addormentate: si svolge sbuffando mostruoso serpente, tra il labirinto delle rotaie, sinché, trovata la via, precipita per quella ed urla, tutto battiti dal capo alla coda, tutto un tumulto di polsi viventi.
V'ha poca probabilità d'indovinare che cosa pensasse poi quel viaggiatore fantastico, rapito tra fiotti di fumo, stormi di faville, oscure forme d'alberi e di casolari. Forse studiava il senso riposto dei bizzarri ed incomprensibili geroglifici ricamati sopra una borsa da viaggio ritta sul sedile di fronte a lui; poiché vi teneva fissi gli occhi, di tanto in tanto moveva le labbra, come chi tenta un calcolo, e quindi alzava le sopracciglia, come chi trova di riuscire all'assurdo.
Eran già passate alcune stazioni, quando un nome gridato, ripetuto nella notte, lo scosse. Una folata d'aria fresca gli disperse le fila sottili del ragionamento; il convoglio era fermo e lo sportello aperto. Egli discese in fretta; era il solo viaggiatore per...
"Signore" disse una voce rauca e vibrata "è Lei che va dai signori del Palazzo?"
Questa domanda gli fu tratta a bruciapelo da un uomo che gli si piantò di fronte con la sinistra al cappello e una frusta nella destra.
"Ma..."
"Oh, per bacco" disse colui, grattandosi la nuca "chi dev'essere allora?"
"Ma come si chiamano questi signori del Palazzo?"
"Ecco, vede, da noi si dice i signori del palazzo e non si dice altro. Per esempio, a dire così, per un dieci miglia tutto all'ingiro, capiscono; Lei, mettiamo, viene da Milano, è un'altra storia. Queste sono sciocchezze, io lo so benissimo il nome; ma adesso piglialo! Noi povera gente non abbiamo tanta memoria. È poi un nome tanto fuori di proposito!".
"Sarebbe..."
"Aspetti; Lei che taccia e che non mi confonda. Ehi, dalla lanterna!"
Un guardiano si avvicinò lentamente con le braccia penzoloni, facendo dondolare la sua lanterna a fior di terra.
"Non bruciarti i calzoni, che Vittorio non te li paga" disse il giovinotto di poca memoria. "Tira su quell'empiastro di una lanterna. Qua, prestamela un momento."
E, dato di piglio alla lanterna, la sbatté quasi sul viso al forestiere.
"Ah, è lui, è lui, è lui tal e quale come mi hanno detto. Un giovinotto, occhi neri, capelli neri, nera mica male anche la faccia. Bravo signore."
"Ma chi ti ha detto?..."
"Lui, il signore, il conte!"
"Oh, diavolo" pensò colui, "un uomo che non ho mai visto e che scrive di non avermi mai visto!"
"To'!" esclamò l'altro lasciando cader la frusta e cacciandosi la mano in tasca. "Proprio vero che più asino di così la mia vecchia non mi poteva fare neanche a volere. Il signor conte non mi ha dato un coso per farmi riconoscere? Ce l'ho ben qui. Tolga!"
Era un biglietto di visita profumato di tabacco e di monete sucide. Portava questo nome:
CESARE D'ORMENGO
"Andiamo" disse il forestiere.
Fuori della stazione c'era un calessino scoperto. Il cavallo, legato alla palizzata, col muso a terra, aspettava rassegnato il suo destino.
"S'accomodi, signore: non c'è troppo morbido, ma capisce, siamo in campagna. Ih!"
Il lesto vetturale, afferrate le redini, balzò d'un salto a cassetto e cacciò il cavallo a suon di frusta per una stradicciola oscura, così tranquillamente come se fosse stato mezzogiorno.
"Abbia mica paura, vede" diss'egli "benché sia scuro come in bocca al lupo. Questa strada la cavalla e io l'abbiamo sulla punta delle dita. Ih! Ho menato giù due forestieri anche la notte passata, due signori di Milano come Lei. Gran brava persona il signor conte!" soggiunse poi, tirandosi a sedere di sghembo e cacciandosi sotto le coscie il manico della frusta. "Che brav'uomo! E signore, ehi! Ha amici in tutte le sette parti del mondo. Oggi ne capita uno, domani un altro, tutti fior di gente, gran signori, sapienti, che so io. Già Lei sarà pratico!"
"Io? È la prima volta che vengo qua."
"Ah, vedo. Ma conoscerà il signor conte?"
"No."
"O bello, o bello!" disse il vetturale con accento di profonda meraviglia. "Una brava persona, sa! Sono suo amico", soggiunse senza spiegare se appartenesse alla categoria dei gran signori o a quella dei sapienti. "L'ho servito tante volte. Mi ha fatto bere un bicchiere anche oggi.
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