"Io non ho mai potuto soffrire quella lurida, puzzolente, cenciosa città di Venezia, che perde a brani il suo manto unto e bisunto di vecchia cortigiana, e mostra certa biancheria sudicia, certa vecchia pelle schifosa. Voi dite in cuor vostro: Quest'uomo è una gran bestia! Non è vero? Sì, me lo hanno fatto capire degli altri. Ooh! naturalmente. Notate che io sono un grande ammiratore de' veneziani antichi, che ho parenti a Venezia e forse qualche poco di sangue veneziano nelle vene, del migliore. Cosa volete? Sono un animale grosso ma nuovo in Italia, dove, grazie a Dio, le bestie non mancano. Dove trovate un italiano bastantemente colto che vi parli come vi parlo io dell'arte? La grande maggioranza degli uomini educati non ne capisce niente, ma si guarda molto bene dal confessarlo. È curioso di star ad ascoltare un gruppo di questi sciocconi ipocriti davanti ad un quadro o a una statua, quando fanno una fatica del diavolo per metter fuori dell'ammirazione, credendo ciascuno di aver che fare con degli intelligenti. Se potessero levarsi la maschera tutti ad un tratto, udreste che risata!"
S'affacciò alla terza finestra, e chiamò:
"Enrico!"
Una voce quasi infantile rispose dalla cucina:
"Son qui! Vengo!"
Il conte attese un poco, e poi disse:
"Portami su quel libro." Quindi chiuse la finestra.
Silla non si poteva staccare dai quadri.
"Starei qui un giorno" diss'egli.
"Anche Voi?"
Anche! L'altro chi era? Era forse la giovane signora di cui gli aveva parlato il vetturale? Il seggiolone fuor di posto, il libro, il profumo di mown-hay erano indizi del suo recente passaggio? Quella porta chiusa in fretta, quel lampo degli occhi del conte?... Silla non aveva ancor visto al palazzo che il conte, Steinegge e i domestici. Nessuno gli aveva nemmanco parlato d'altre persone.
Alcune ore più tardi, dopo aver girato per lungo e per largo il palazzo e il giardino senza trovar nessuno ed essersi ritirato per qualche tempo nella sua stanza, notò, entrando nella sala da pranzo con il conte e Steinegge, che quattro posate erano state disposte ai quattro punti cardinali della tavola. I commensali nord, sud e ovest presero il loro posto; ma l'ignoto commensale dell'oriente non compariva. Il conte uscì, tornò dopo dieci minuti e fece portar via la posata.
"Credevo che avrei potuto presentarvi mia nipote" diss'egli a Silla "ma pare ch'ella non si senta bene."
Silla disse una parola di rammarico; Steinegge, rigido più che mai, seguitò a mangiare, tenendo gli occhi sul piatto; il conte pareva molto rannuvolato, e persino il cameriere che serviva aveva una fisionomia misteriosa. Per quasi tutto il pranzo non si udì nella sala scura e fresca che il passo ossequioso del cameriere, il tintinnìo delle posate e dei bicchieri che si allargava tra gli echi della volta. Per le finestre socchiuse entrava un ampio strepito di cicale, si vedevano brillar nel sole le frondi del vigneto, cangiar colore l'erbe piegate via via dal vento. Là fuori si doveva stare più allegri.
3. Fantasmi del passato
Il sole era tramontato e le cicale non cantavano più. La costa boscosa in faccia alla biblioteca si disegnava nera sotto il limpido cielo aranciato che posava un ultimo lume caldo sul pavimento della sala presso alle finestre, e, fuori, sulle foglie lucide brune della magnolia, sulla ghiaia del giardinetto. Per la porta aperta entrava l'aria fresca del vallone e lo stridìo dei passeri intorno ai cipressi.
Il conte, seduto allo stesso posto della mattina, si teneva coperto il viso con ambe le mani, appoggiando i gomiti al tavolo. Silla, in faccia a lui, aspettava che parlasse.
Ma il conte pareva di pietra; né parlava, né si moveva. Solo qualche volta le otto magre dita nervose si alzavano dalla fronte tutte insieme, si tendevano; poi, ripiegandosi, parevano volersi imprimere nell'osso. Silla guardava rotear sul pavimento l'ombra d'un pipistrello che non trovava la via di uscire, batteva le librerie, il soffitto angosciosamente.
Anche dentro alla fronte severa del vecchio gentiluomo v'era un'angoscia di parole che non trovavan la via di uscire. Era l'ora che turba il cuore; quell'ora in cui, mancando la luce, le cose e le anime si sentono libere, quasi, da una vigilanza fastidiosa; i monti paiono coricarsi a grande agio sul piano, le campagne dilagano sopra i villaggi e casali, le ombre pigliano corpo, i corpi sfumano in ombra, nel cuore umano affondano le impressioni, i pensieri del presente, e vien su un movimento confuso di ricordanze lontane, di fantasmi che inteneriscono e fanno sospirare in silenzio.
Ad un tratto il conte alzò con impeto il viso e disse:
"Signor Silla!"
Tacque un momento e riprese lentamente:
"Quando avete letto la mia lettera, il nome che vi trovaste sotto Vi era sconosciuto?"
"Sconosciuto."
"Non era nella memoria Vostra la traccia più lieve di questo nome?"
"Nessuna."
"Dalle persone con le quali avete vissuto non udiste mai parlare di qualcuno il cui nome non era pronunciato e che avrebbe potuto trovarsi un giorno nelle circostanze più difficili della vita?"
"No. Da chi ne avrei inteso parlare?"
Il conte esitò un istante, poi ripeté a voce bassa:
"Dalle persone con le quali avete vissuto."
"Mai."
"Vi ricordate almeno di aver veduta la mia fisionomia?"
Silla era sorpreso di tanta insistenza.
"Ma no" diss'egli.
"Eppure" ripigliò il conte "or sono diciannove anni, un giorno in cui vi si era punito severamente per avere spezzato un vaso di cristallo, all'uscire da uno stanzino buio, dove Vostro padre vi aveva tenuto chiuso per parecchie ore, vedeste un momento il mio ritratto."
Silla balzò in piedi; il conte si alzò pure e, dopo un momento di silenzio, girato il tavolo, andò a piantarsi presso il suo interlocutore, voltando il viso al chiarore morente del crepuscolo.
"Vi ricordate?" diss'egli.
Silla rispose stupefatto. Non ricordava il ritratto, ma sapeva benissimo d'aver spezzato il vaso di cristallo e d'essersi rifugiato, dopo il castigo, nella stanza di sua madre.
"Vedete che Vi conosco da lungo tempo. Ne dubitate? Adesso vado a dirvi quello che so di Voi."
Il conte si pose a camminare su e giù parlando. Si udiva il suo vocione andare e venire per la sala piena d'ombra: si vedeva la sua figura bizzarra illuminarsi e oscurarsi a vicenda, quando passava davanti alle finestre.
"Voi siete nato nel 1834 a Milano, in via del Monte di Pietà. Vostra madre Vi diede il suo latte, Vostro padre vi diede una culla d'argento e una bambinaia brianzuola che doveva esser creduta dal mondo la Vostra balia. Questa donna è morta appena lasciato il Vostro servizio. Voi non la potevate soffrire, non è vero?"
"Non lo ricordo; me l'hanno detto, però; me l'ha detto più volte mia madre."
"Sicuramente. Volete sapere qual è il Vostro ricordo più lontano? Questo.
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