Avevate cinque anni. La sera di un giorno in cui vi era stato in casa Vostra un insolito affaccendarsi di servi, un trambusto d'operai e si eran portate montagne di dolci e di fiori, Vi posero a letto prima dell'ora solita. A tarda notte foste svegliato da un suono di musica. Poco dopo, l'uscio della camera si aperse. Vostra madre venne a chinarsi sopra di Voi, Vi baciò e pianse."

"Signor conte!" esclamò Silla con voce soffocata "come fa Lei a sapere queste cose?"

"Alcuni anni più tardi" continuò senz'altro il vocione del conte "quando Voi ne avevate tredici, nel 47 insomma, avvenne in casa Vostra qualche cosa di straordinario."

Il vocione tacque, il conte si fermò, lontano da Silla, con le spalle alla porta del giardinetto.

"Non è vero?" diss'egli.

Silla non rispose.

Il conte riprese la sua passeggiata.

"È forse crudele" proseguì "di ricordare queste cose, ma io non sono amico di certe mollezze sentimentali moderne; io credo che è molto bene per l'uomo di ripassare ogni tanto le lezioni e i precetti ch'egli ha avuto, direttamente o indirettamente, dalla sventura, e di non lasciarne estinguere, di rinnovarne il dolore, perché è il dolore che li conserva. E poi il dolore è un gran ricostituente dell'uomo, credete; e in certi casi è un confortante indizio di vitalità morale, perché dove non vi è dolore, vi è cancrena. Dunque, nel 47 accadde in casa Vostra qualche cosa di straordinario. Andaste a dimorare parecchi giorni a Sesto, in casa C... La carrozza che vi ricondusse a Milano, si fermò davanti ad un'altra casa, in via Molino delle Armi. Era una casa molto diversa da quella del Monte di Pietà e vi avete fatto una vita molto diversa. Non più servi, non più ricche suppellettili. Voi sapete, una parte di quelle suppellettili, dove si trova."

"Ma come?.." interruppe Silla.

"Furono vendute, naturalmente."

"Ma perché Lei?.."

"Quello è diverso, ne parleremo in seguito. Cosa dicevo? Ah, Voi siete dunque andato ad abitare un quinto piano in via Molino delle Armi. Dalla finestra di una camera da letto si vedevano queste montagne. Lassù avete cominciato a fare anche Voi il solito sogno di diventare qualche gran cosa e di empire il mondo del Vostro nome."

"Signor conte" disse Silla "mi pare che basti. Dica cosa desidera da me!"

"Più tardi. Non è vero che basti. Vado a dirvi dei fatti della Vostra vita che non sapete Voi stesso. Vi è dunque venuta questa salutare follìa della gloria, che Vi ha preservato, con una promessa fatta di niente, dalle solite corruzioni. Sciaguratamente avete pensato a procacciarvi la gloria con gli scritti invece che con le azioni. Lasciatemi dire; sono un vecchio. Con gli scritti letterari, poi! E non avete avuto la forza di carattere, la fiducia in Voi stesso che ci voleva per seguire da uomo questo proposito. Invece di chiudervi nel Vostro bozzolo della letteratura, siete andato a Pavia. Cosa avete studiato a Pavia?"

"Leggi."

"Tutto fuorché leggi avete studiato. Lo so, volevate una carriera proficua, pensando a Vostra madre; ma allora bisognava volere virilmente: tagliarsi via mezzo il cuore e andare avanti col resto. Cosa avete fatto al vostro ritorno da Pavia? Avete pubblicato un romanzo. Ecco il fatto che non sapete. Quel poco di oro che Vostra madre Vi diede perché servisse alla stampa del libro, non era punto, come ella Vi disse e Voi avete creduto, un dono de' suoi parenti; il giorno prima ell'aveva portato al gioielliere i suoi ultimi brillanti, una memoria cara di famiglia."

"Il Suo diritto?" esclamò Silla slanciandosi verso il conte. "Il Suo diritto di sapere queste cose?"

"Il mio diritto? Questione molto oziosa. Vostro diritto è sicuramente di vedermi in faccia."

Il conte suonò.

Silla taceva, ansante.