Dunque, pel farro cosa facciamo, mastro Lio?

    Pirtuso era rimasto accoccolato sul moggio,  tranquillamente,  come  a

    dire che non gliene importava del farro,  guardando sbadatamente qua e

    là le cose strane che c'erano nel magazzino vasto quanto  una  chiesa.

    Una volta,  al tempo dello splendore dei Rubiera, c'era stato anche il

    teatro.  Si vedeva tuttora l'arco dipinto a donne nude e  a  colonnati

    come  una  cappella;  il gran palco della famiglia di contro,  con dei

    brandelli di stoffa che spenzolavano  dal  parapetto;  un  lettone  di

    legno  scolpito  e sgangherato in un angolo;  dei seggioloni di cuoio,

    sventrati  per  farne  scarpe;  una  sella  di  velluto  polverosa,  a

    cavalcioni sul subbio di un telaio; vagli di tutte le grandezze appesi

    in  giro;  mucchi di pale e di scope;  una portantina ficcata sotto la

    scala che saliva al palco, con lo stemma dei Rubiera allo sportello, e

    una lanterna antica posata sul copricielo, come una corona. Giacalone,

    e Vito Orlando,  in mezzo  a  mucchi  di  frumento  alti  al  pari  di

    montagne,  si dimenavano attorno ai vagli immensi, come ossessi, tutti

    sudati e bianchi di pula,  cantando in  cadenza;  mentre  Gerbido,  il

    ragazzo, ammucchiava continuamente il grano con la scopa.

    -  Ai miei tempi,  signora baronessa,  io ci ho visto la commedia,  in

    questo magazzino, - rispose Pirtuso per sviare la domanda.

    - Lo so! lo so!  Così si son fatti mangiare il fatto suo i Rubiera!  E

    ora vorreste continuare!... Lo pigliate il farro, sì o no?

    - Ve l'ho detto: a cinque onze e venti.

    - No, in coscienza, non posso. Ci perdo già un tarì a salma.

    - Benedicite a vossignoria!

    - Via, mastro Lio, ora che ha parlato la signora baronessa! - aggiunse

    Giacalone,  sempre facendo ballare il vaglio. Ma il sensale riprese il

    suo moggio,  e se ne andò senza rispondere.  La  baronessa  gli  corse

    dietro, sull'uscio, per gridargli:

    - A cinque e vent'uno. V'accomoda?

    - Benedicite, benedicite.

    Ma  essa,  colla  coda  dell'occhio,  si accorse che il sensale si era

    fermato a discorrere col canonico Lupi, il quale,  sbarazzatosi infine

    del Ciolla,  se ne veniva su pel vicoletto.  Allora,  rassicurata,  si

    rivolse al cugino Trao, parlando d'altro:

    - Stavo pensando giusto a voi,  cugino.  Un po' di quel  farro  voglio

    mandarvelo a casa...  No,  no,  senza cerimonie...  Siamo parenti.  La

    buon'annata deve venire per tutti.  Poi il Signore ci aiuta!...  Avete

    avuto  il fuoco in casa,  eh?  Dio liberi!  M'hanno detto che Bianca è

    ancora mezza morta dallo spavento...  Io non potevo  lasciare,  qui...

    scusatemi.

    - Sì... son venuto appunto... Ho da parlarvi...

    -  Dite,  dite pure...  Ma intanto,  mentre siete laggiù,  guardate se

    torna Pirtuso... Così, senza farvi scorgere...

    - E' una bestia!  - rispose Vito Orlando dimenandosi sempre attorno al

    vaglio.  - Conosco mastro Lio.  E' una bestia!  Non torna.  Ma in quel

    momento entrava il canonico Lupi, sorridente,  con quella bella faccia

    amabile  che  metteva  tutti d'accordo,  e dietro a lui il sensale col

    moggio in mano.  - Deo gratias!  Deo  gratias!  Lo  combiniamo  questo

    matrimonio, signora baronessa?

    Come s'accorse di don Diego Trao, che aspettava umilmente in disparte,

    il  canonico  mutò  subito  tono  e  maniere,  colle  labbra  strette,

    affettando di tenersi in disparte anche lui,  per  discrezione,  tutto

    intento a combinare il negozio del frumento.

    Si  stette  a  tirare  un  altro  po';  mastro  Lio  ora  strillava  e

    dibattevasi quasi volessero rubargli i denari di tasca.  La  baronessa

    invece coll'aria indifferente,  voltandogli le spalle, chiamando verso

    la botola:

    - Rosaria! Rosaria!

    - E tacete!  - esclamò infine il canonico  battendo  sulle  spalle  di

    mastro Lio colla manaccia. - Io so per chi comprate. E' per mastro-don

    Gesualdo.

    Giacalone accennò di sì, strizzando l'occhio.

    -  Non  è  vero!  Mastro-don Gesualdo non ci ha che fare!  - si mise a

    vociare il sensale. - Quello non è il mestiere di mastro-don Gesualdo!

    - Ma infine,  come s'accordarono sul  prezzo,  Pirtuso  si  calmò.  Il

    canonico soggiunse:

    - State tranquillo, che mastro-don Gesualdo fa tutti i mestieri in cui

    c'è da guadagnare.

    Pirtuso   il   quale  s'era  accorto  della  strizzatina  d'occhio  di

    Giacalone, andò a dirgli sotto il naso il fatto suo: - Che non ne vuoi

    mangiare pane, tu? Non sai che si tace nei negozi? - La baronessa, dal

    canto suo,  mentre il sensale le voltava le spalle,  ammiccò anch'essa

    al canonico Lupi, come a dirgli che riguardo al prezzo non c'era male.

    -  Sì,  sì,  -  rispose  questi  sottovoce.  - Il barone Zacco sta per

    vendere a minor prezzo.  Però mastro-don Gesualdo  ancora  non  ne  sa

    nulla.

    -  Ah!  s'è  messo  anche  a  fare il negoziante di grano,  mastro-don

    Gesualdo? Non lo fa più il muratore?

    - Fa un po' di tutto,  quel diavolo!  Dicesi pure che vuol  concorrere

    all'asta per la gabella delle terre comunali...

    La  baronessa allora sgranò gli occhi: - Le terre del cugino Zacco:...

    Le gabelle che da  cinquant'anni  si  passano  in  mano  di  padre  in

    figlio?... E' una bricconata!

    -  Non  dico  di  no;  non  dico di no.  Oggi non si ha più riguardo a

    nessuno. Dicono che chi ha più denari, quello ha ragione...

    Allora si rivolse verso don Diego,  con grande  enfasi,  pigliandosela

    coi tempi nuovi:

    -  Adesso  non c'è altro Dio!  Un galantuomo alle volte...  oppure una

    ragazza ch'è nata di  buona  famiglia...  Ebbene  non  hanno  fortuna!

    Invece  uno  venuto  dal  nulla...  uno come mastro-don Gesualdo,  per

    esempio!...

    Il canonico riprese a dire come in aria di mistero parlando piano  con

    la baronessa e don Diego Trao sputacchiando di qua e di là:

    - Ha la testa fine quel mastro-don Gesualdo!  Si farà ricco ve lo dico

    io! Sarebbe un marito eccellente per una ragazza a modo...  come ce ne

    son tante che non hanno molta dote.

    Mastro Lio stavolta se ne andava davvero.  - Dunque signora baronessa,

    posso venire a caricare il grano?  - La  baronessa,  tornata  di  buon

    umore, rispose: - Sì ma sapete come dice l'oste? " Qui si mangia e qui

    si beve; senza denari non ci venire."

    -  Pronti  e  contanti,  signora  baronessa.  Grazie a Dio vedrete che

    saremo puntuali.

    - Se ve l'avevo detto!  - esclamò Giacalone ansando sul vaglio.  -  E'

    mastro-don Gesualdo!

    Il canonico fece un altro segno d'intelligenza alla baronessa,  e dopo

    che Pirtuso se ne fu andato, le disse:

    - Sapete cosa ho pensato?  di concorrere  pure  all'asta  vossignoria,

    insieme a qualchedun altro... ci starei anch'io...

    - No,  no, ho troppa carne al fuoco!... Poi non vorrei fare uno sgarbo

    al cugino Zacco!  Sapete bene...  Siamo nel mondo...  Abbiamo  bisogna

    alle volte l'uno dell'altro.

    - Intendo... mettere avanti un altro... mastro-don Gesualdo Motta, per

    esempio. Un capitaluccio lo ha; lo so di sicuro... Vossignoria darebbe

    l'appoggio  del  nome...  Si potrebbe combinare una società fra di noi

    tre...

    Poscia,  sembrandogli che don Diego Trao stesse ad  ascoltare  i  loro

    progetti,  perchè  costui  aspettava il momento di parlare alla cugina

    Rubiera,  impresciuttito nella sua palandrana,  e aveva tutt'altro per

    la testa il poveraccio! il canonico cambiò subito discorso:

    -  Eh,  eh,  quante  cose ha visto questo magazzino!  Mi rammento,  da

    piccolo,  il marchese Limòli che recitava Adelaide  e  Comingio  colla

    Margarone,  buon'anima,  la madre di don Filippo, quella ch'è andata a

    finire poi alla Salonia.  "Adelaide!  dove  sei?"  -  La  scena  della

    Certosa...  Bisognava vedere!  tutti col fazzoletto agli occhi!  Tanto

    che don Alessandro Spina per la commozione,  si mise  a  gridare:  "Ma

    diglielo che sei tu!..." e le buttò anche una parolaccia...  Ci fu poi

    la storia della schioppettata che tirarono al marchese Limòli,  mentre

    stava a prendere il fresco,  dopo cena;  e di don Nicola Margarone che

    condusse la moglie in campagna,  e non le fece più vedere anima  viva.

    Ora  riposano  insieme marito e moglie nella chiesa del Rosario,  pace

    alle anime loro!

    La baronessa affermava coi segni del capo, dando un colpo di scopa, di

    tanto in tanto,  per dividere  il  grano  dalla  mondiglia.    -  Così

    andavano in rovina le famiglie.  Se non ci fossi stata io, in casa dei

    Rubiera!... Lo vedete quel che sarebbe rimasto di tante grandezze!  Io

    non  ho fumi,  grazie a Dio!  Io sono rimasta quale mi hanno fatto mio

    padre e mia madre... gente di campagna,  gente che hanno fatto la casa

    colle loro mani,  invece di distruggerla!  e per loro c'è ancora della

    grazia di Dio  nel  magazzino  dei  Rubiera,  invece  di  feste  e  di

    teatri...

    In quella arrivò il vetturale colle mule cariche.

    - Rosaria! Rosaria! - si mise a gridare di nuovo la baronessa verso la

    scaletta.

    Finalmente  comparvero dalla botola le scarpaccie e le calze turchine,

    poi la figura di scimmia  della  serva,  sudicia,  spettinata,  sempre

    colle mani nei capelli.

    -  Don  Ninì  non  era alla Vignazza,  - disse lei tranquillamente.  -

    Alessi è ritornato col cane, ma il baronello non c'era.

    - Oh,  Vergine Santa!  - cominciò a strillare la padrona,  perdendo un

    po' del suo colore acceso.  - Oh,  Maria Santissima!  E dove sarà mai?

    Cosa gli sarà accaduto al mio ragazzo?

    Don Diego a quel discorso si faceva rosso  e  pallido  da  un  momento

    all'altro.  Aveva la faccia di uno che voglia dire: - Apriti, terra, e

    inghiottimi! - Tossì, cercò il fazzoletto dentro il cappello,  aprì la

    bocca  per  parlare;  poi  si volse dall'altra parte,  asciugandosi il

    sudore.  Il canonico s'affrettò a rispondere,  guardando sottecchi don

    Diego Trao.

    - Sarà andato in qualche altro posto...  Quando si va a caccia, sapete

    bene...

    -  Tutti  i  vizi  di   suo   padre,   buon'anima!   Caccia,   giuoco,

    divertimenti...   senza   pensare   ad   altro...   e   senza  neppure

    avvertirmi!... Figuratevi,  stanotte,  quando le campane hanno suonato

    al  fuoco,  vado  a  cercarlo  in  camera  sua,  e  non  lo trovo!  Mi

    sentirà!... Oh, mi sentirà!...

    Il canonico cercava di troncare il discorso,  col  viso  inquieto,  il

    sorriso sciocco che non voleva dir nulla:

    - Eh,  eh,  baronessa! vostro figlio non è più un ragazzo; ha ventisei

    anni!

    - Ne avesse anche cento!...  Fin che si  marita,  capite!...  E  anche

    dopo!

    - Signora baronessa, dove s'hanno a scaricare i muli? - disse Rosaria,

    grattandosi il capo.

    - Vengo,  vengo.  Andiamo per di qua.  Voialtri passerete pel cortile,

    quando avrete terminato.

    Essa chiuse a catenaccio Giacalone e Vito Orlando dentro il magazzino,

    e s'avviò verso il portone.

    La casa della baronessa  era  vastissima,  messa  insieme  a  pezzi  e

    bocconi,  a  misura  che i genitori di lei andavano stanando ad uno ad

    uno i diversi proprietari,  sino a cacciarsi poi colla  figliuola  nel

    palazzetto  dei  Rubiera  e  porre  ogni  cosa in comune: tetti alti e

    bassi; finestre d'ogni grandezza, qua e là, come capitava;  il portone

    signorile incastrato in mezzo a facciate da catapecchie. Il fabbricato

    occupava  quasi  tutta  la  lunghezza  del  vicoletto.  La  baronessa,

    discorrendo sottovoce col canonico Lupi,  s'era quasi dimenticata  del

    cugino,  il  quale veniva dietro passo passo.  Ma giunti al portone il

    canonico si tirò indietro prudentemente:  -  Un'altra  volta;  tornerò

    poi.  Adesso vostro cugino ha da parlarvi. Fate gli affari vostri, don

    Diego.

    - Ah, scusate, cugino. Entrate, entrate pure.

    Fin dall'androne immenso e buio,  fiancheggiato  di  porticine  basse,

    ferrate a uso di prigione,  si sentiva di essere in una casa ricca: un

    tanfo d'olio e di formaggio che pigliava alla gola;  poi un  odore  di

    muffa e di cantina. Dal rastrello spalancato, come dalla profondità di

    una caverna, venivano le risate di Alessi e della serva che riempivano

    i barili, e il barlume fioco del lumicino posato sulla botte.

    -  Rosaria!  Rosaria!  -  tornò  a  gridare  la  baronessa  in tono di

    minaccia.  Quindi rivolta al cugino Trao: - Bisogna  darle  spesso  la

    voce,  a  quella  benedetta ragazza;  perché quando ci ha degli uomini

    sottomano è un affar serio!  Ma del resto è  fidata,  e  bisogna  aver

    pazienza. Che posso farci?... Una casa piena di roba come la mia!...

    Più in là, nel cortile che sembrava quello di una fattoria popolato di

    galline,  di  anatre,  di  tacchini,  che si affollavano schiamazzando

    attorno alla padrona,  il tanfo si mutava in un puzzo di concime e  di

    strame  abbondante.  Due o tre muli dalla lunga fila sotto la tettoia,

    allungarono il collo ragliando;  dei piccioni calarono  a  stormi  dal

    tetto;  un cane da pecoraio feroce, si mise ad abbaiare, strappando la

    catena;   dei  conigli  allungavano   pure   le   orecchie   inquiete,

    dall'oscurità  misteriosa  della  legnaia.  E  la baronessa in mezzo a

    tutto quel ben di Dio, disse al cugino:

    - Voglio mandarvi un paio di piccioni, per Bianca...

    Il poveraccio tossì, si soffiò il naso, ma non trovò neppure allora le

    parole da rispondere.  Infine,  dopo  un  laberinto  di  anditi  e  di

    scalette,  per stanzoni oscuri, ingombri di ogni sorta di roba, mucchi

    di fave e di orzo riparati dai graticci,  arnesi di campagna,  cassoni

    di biancheria,  arrivarono nella camera della baronessa,  imbiancata a

    calce,  col gran letto nuziale  rimasto  ancora  tale  e  quale,  dopo

    vent'anni  di vedovanza,  dal ramoscello d'ulivo benedetto,  a piè del

    crocifisso, allo schioppo del marito accanto al capezzale.

    La cugina Rubiera era tornata a lamentarsi del  figliuolo:  -  Tale  e

    quale  suo padre,  buon'anima!  Senza darsi un pensiero al mondo della

    mamma o dei suoi interessi!...

    Vedendo  il  cugino  Trao  inchiodato  sull'uscio,   rimpiccinito  nel

    soprabitone,  gli porse da sedere: - Entrate,  entrate, cugino Trao.