Metamorfosi

Mary Shelley

Metamorfosi

Racconti gotici

Traduzione di

Masolino d’Amico

La Tartaruga edizioni

www.bcdeditore.it e-mail: [email protected]

Traduzione dall’inglese di Masolino d’Amico

Titolo originale: «Transformation»

© 2006 La Tartaruga edizioni

Baldini Castoldi Dalai editore S.p.A. - Milano ISBN 88-7738-445-X

Indice

METAMORFOSI ____________________________________________________________________ 3

IL MORTALE IMMORTALE ________________________________________________________ 17

IL MALOCCHIO ___________________________________________________________________ 28

NOTA BIOGRAFICA _______________________________________________________________ 43

METAMORFOSI

Subito questa mia forma mortale fu squassata

Da una pena dolorosa,

Che mi costrinse a iniziare il mio racconto,

E quindi mi affrancò.

Da allora, in un momento qualunque,

Quella pena riappare;

E finché la mia sinistra storia non è stata narrata Arde questo cuore che ho dentro.

Coleridge, La ballata del vecchio marinaio

Ho sentito dire che quando a un essere umano è occorsa una qualsivoglia avventura strana, soprannaturale, negromantica, quell’essere umano, per quanto desideroso di occultarla possa essere, si sente in certi periodi lacerato, per così dire, da un terremoto intellettuale, ed è costretto a denudare le profondità più intime del suo spirito con qualcun altro. Di quanto ciò sia vero io sono testimone. Ho solennemente giurato a me stesso di non rivelare mai a orecchie umane le nefandezze alle quali una volta, in un eccesso di orgoglio diabolico, mi sono abbandonato. Il sant’uomo che ha ascoltato la mia confessione, e che mi ha riconciliato alla chiesa, è morto. Nessuno sa che una volta…

Perché non dovrebb’essere così? Perché narrare una storia di empia sfida alla provvidenza, e di umiliazione prevaricatrice dell’anima? Perché? Rispondetemi, voi che siete esperti dei segreti della natura umana! Io so solo che così è; e nonostante una forte decisione presa - nonostante un orgoglio che mi domina anche troppo -

nonostante la vergogna, e sinanco la paura, di rendermi in tal modo odioso alla mia specie - debbo parlare.

Genova! Mia patria - fiera città! Che ti affacci sulle azzurre onde del Mediterraneo

- ti ricordi di me nella mia fanciullezza, quando le tue scogliere e i tuoi promontori, il tuo cielo luminoso e le tue liete vigne, erano il mio mondo? Tempo felice! Quando al giovane cuore l’universo strettamente limitato, che lascia, per i suoi stessi confini, libero campo alla fantasia, incatena le nostre energie fisiche e, unico periodo nella nostra vita, innocenza e piacere sono una cosa sola. Pure, chi può voltarsi indietro a guardare la fanciullezza e non ricordare i suoi dolori e le sue ricorrenti paure? Io nacqui con lo spirito più imperioso, altezzoso, indomabile di cui mai mortale sia stato dotato. Mi schermivo solo davanti a mio padre; e lui, generoso e nobile, ma capriccioso e tirannico, alimentò e controllò a un tempo la folle impetuosità del mio carattere, rendendo necessaria l’obbedienza, ma senza ispirare il rispetto per i motivi che guidavano i suoi comandi. Essere un uomo - libero, indipendente, o, per dirla meglio, insolente e prepotente - era la speranza e la preghiera del mio cuore ribelle.

Mio padre aveva un amico, un ricco aristocratico genovese che in seguito a uno sconvolgimento politico fu improvvisamente condannato all’esilio e alla confisca dei beni. Il marchese Torella andò in esilio, da solo. Come mio padre, era vedovo; aveva una figlia unica, Giulietta, ancora quasi un’infante, che fu lasciata alla tutela di mio padre. Io sarei certo stato un burbero padrone per l’incantevole fanciulla, se la mia posizione non mi avesse costretto a diventarne il protettore. Una serie di piccoli episodi infantili tesero tutti verso un punto - a farmi vedere da Giulietta come una roccia e un rifugio; e a far vedere lei a me come una che doveva soccombere alla delicata sensibilità della sua natura esposta ad attacchi troppo violenti, stornati solo dalla mia tutela. Crescemmo insieme. La rosa che sboccia a maggio non era più dolce di questa cara fanciulla. Una irradiazione di bellezza le si diffondeva sul volto. Le sue forme, il suo incedere, la sua voce… ancora oggi il mio cuore piange al pensiero di tutta la fiducia, la gentilezza, l’affetto e la purezza che erano riposti in quella teca celestiale. Quando io avevo undici anni e Giulietta otto, un mio cugino, molto più grande di entrambi - ci sembrava un uomo - mise gli occhi sulla mia compagna di giochi; la chiamò sua sposa, e le chiese la mano. Lei rifiutò, e lui insistette, attirandola a sé benché riluttante. Con l’espressione e le emozioni di un folle, io mi gettai su di lui - tentai di estrarre la sua spada - mi appesi al suo collo, furiosamente deciso a strozzarlo; lui fu costretto a chiamare aiuto per svincolarsi da me. Quella sera portai Giulietta nella cappella di casa nostra: le feci toccare le sacre reliquie - mi imposi sul suo cuore di bambina e profanai la sua bocca di bambina col giuramento che sarebbe stata mia, e mia soltanto.

Ebbene, quei giorni passarono. In capo a qualche anno Torella tornò, e diventò più ricco e più prospero che mai. Quando avevo diciassette anni, mio padre morì; era stato splendido, fino alla prodigalità; Torella fu felice che la mia minore età gli consentisse di restaurare le mie fortune. Io e Giulietta ci eravamo fidanzati al letto di morte di mio padre - Torella sarebbe stato un secondo genitore per me.

Volevo vedere il mondo, e mi fu consentito.